Cap. 14- La cacciatrice di Troll

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Rolak'un

Caddi in uno stramaledetto buco.

In quanto assassino avevo imparato fortunatamente a cadere, altrimenti mi sarei come minimo spezzato l'osso del collo.
Quando il passaggio si richiuse entrai letteralmente nel panico e iniziai a raschiare le pareti di terra con le unghie.
Temevo di essermi seppellito vivo e che sarei morto in modo tanto misero.
Stavo quasi per perdere la speranza, quando, avanzando nel buio mi accorsi che in realtà vi erano diverse uscite.
Il canale sotterraneo sbucava direttamente nel centro della città di Foltausto.
Sembrava solo una piacevole combinazione o giusto un po' di fortuna, una volta tanto.
Certo, era buia, sporca e non vi era molta aria, ma quella misteriosa galleria che collegava la città-stato al bosco, sembrava il rifugio perfetto per condurre tranquillamente la mia solitaria vita.
Nessuno mi avrebbe rotto le scatole, insomma.

Vissi laggiù per anni, sotto terra.
Alla fine, le mie abitudini erano divenute più simili a quelle di un dragopistrello piuttosto che di un elfo.
Certo, non mi avreste trovato appeso a testa in giù ad un albero, ma avevo iniziato a dormire di giorno, per poi dirigermi a Foltausto la notte.
Durante quest'ultima sarebbe stato ancor più semplice per me depredare delle provviste.
Girare nell'oscurità mi consentiva di fare ciò che volevo senza che la maggior parte della gente potesse vedermi.
Non era la migliore delle esistenze e avevo persino iniziato a conversare con pipistrelli e polli selvatici.
E nonostante avessi ormai giurato a me stesso di non togliere più la vita a nessuno, non avevo mai smesso di allenarmi e di migliorare le mie abilità.
L'attitudine ad adattarsi tipica dei tendryan mi aveva inoltre consentito di affinare le capacità visive.
I miei occhi erano ora in grado di vedere meglio le cose al buio, perciò iniziai a detestare irrimediabilmente il sole.
In pratica non vedevo più alla luce.
L'unica pecca della vista notturna consisteva nel non essere più in grado di distinguere i colori: il mio mondo era ormai pertanto composto da cose più chiare e cose più scure.
Era trascorso circa un lustro dalla tragedia, non usavo più contarne i giorni esatti.
La lunghezza di barba e capelli parlava assai chiaramente: apparivo in tutto e per tutto il trascurato eremita che ero divenuto.

Era notte fonda ormai.
Me ne stavo seduto per terra, fra il fitto della boscaglia che ormai conoscevo bene come una casa.
Ero immerso nei pensieri, come spesso facevo, poichè sentivo tremendamente la mancanza della mia famiglia e mi capitava di soffrirne.
Anche il mio credo era ormai dubbio e sofferto.
Le ultime possessioni di Akhraz lo mostravano tremendamente arrabbiato.
Minacciava di tormentare la mia anima oltre la morte se non avessi reso onore a lui e al suo dono.
Più volte in questi anni avevo tentato di sbarazzarmi del suo amuleto.
Lo gettavo lontano, lo riducevo in pezzi.
Riusciva sempre a tornare intatto, al mio collo, ad ogni risveglio.
Dopo molti tentativi la divinità aveva smesso di rivolgermi parola.
Chissà, forse era solo stanco.
O forse aveva solo bisogno di tramare un modo per raggirare nuovamente la mia volontà.
L'unica gioia era ricevere la visita saltuaria del dragopistrello amante delle percussioni, con il quale avevo ormai stretto una confidenziale amicizia.

D'un tratto udii un rumore in lontananza.
Si trattava di un boato, o forse un tonfo.
Seguì un fruscio di foglie.
Un altro tonfo.
Poi un altro, e un altro ancora.
Sembravano passi, come se qualcosa di enorme mi si stesse avvicinando.
Alzai noiosamente gli occhi, immaginavo già cosa fosse.
Nella foresta si aggiravano diversi troll, di due famiglie diverse.

I più numerosi erano i troll boschivi, dalle caratteristiche molto simili ai comuni umani, rispetto ai quali si presentavano tuttavia più grossi e decisamente più brutti.

Le Cronache di Hadm -La dinastia dei Kohah (PARTE PRIMA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora