La tenda in salotto

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La pioggia batteva sui vetri violentemente, rendendo ancora più cupo il cielo già scuro di suo. Mancava un quarto d'ora alle otto e Martino era già in classe. Seduto sul banco, le gambe a penzoloni e con la testa poggiata tra le mani.
Non era solito credere a queste stronzate, ma oggi gli sembrava proprio che il tempo riflettesse il suo umore: si sentiva proprio come quel cielo nero, che continuava a rilasciare acqua, fulmini e lampi.
"Non lo so." Disse puntando lo sguardo in quello di Giovanni, tempestivamente accorso in classe prima delle lezioni per parlare con l'amico che la sera prima gli aveva inviato un messaggio tanto lapidario quanto pieno d'angoscia.
"Io non so se ce la faccio" Recitava così e Giovanni capì subito che si riferiva a Niccolò e al momento che stava attraversando.
"Come non lo sai zi'" Disse Giovanni interrogativo. "Dopo tutto quello c'avete passato non sai se ce la fai? Stai a impazzì?" Continuò spingendo la spalla dell'amico.
Martino restò qualche secondo in silenzio a riflettere su ciò che era accaduto nelle ultime ore, nel momento in cui aveva ricevuto l'ennesimo rifiuto da parte di Niccolò, scatenando in Martino tutto ciò che non era necessario, opportuno.
"A volte è dura." Ammette più a se stesso, come a rassicurarsi. Ma non riusciva ad aggiungere altro. Nella sua mente c'era solo il primo tentativo di avvicinarsi al suo fidanzato, il quinto, il ventesimo. Riusciva soltanto a ricordare il dolore di ogni no urlato dietro una porta, il silenzio dei messaggi, gli squilli a vuoto, le lacrime versate nel buio della stanza.
"Marti tu non devi curare Niccolò. Tu lo devi amare." Affermò Giovanni prendendo la spalla di Martino tra le mani.
"Lui non vuole nemmeno quello." Rispose allora Martino.
"Stronzate zi', lui pensa di essere un peso. Ogni tanto torna nel trip in cui tu soffri per colpa sua." Disse con serietà e sicurezza. "Tu gli devi ricordà che non è così. Prima o poi se rassegna." Giovanni osservò la faccia stanca del suo amico e gli si strinse il cuore. Voleva avere una bacchetta magica e trovare il modo di far avere un equilibrio a quei due ragazzi che si amavano in una maniera che non aveva mai visto prima. E si sorprese.
Qualche mese avrebbe sperato per il suo migliore amico un amore semplice che l'avrebbe reso banalmente sereno.
Oggi non riusciva a pensare a nessun altro accanto a Martino. "Perché è così no? Non ti pesa, ve'?" Chiese ancora nell'intento di non voler dare per scontato la grande situazione che stava affrontando l'amico.
"Dopo tutto pensa ancora che me frega qualcosa di fare progetti, di comprare un biglietto di un concerto mesi prima e sapere di andarci insieme: Giová non me ne frega un cazzo, io sto bene se so che anche se non c'andiamo a sto benedetto concerto a sta festa de merda, io posso stendermi vicino a lui e farlo sentire meglio." Disse Martino con poco fiato in gola e con gli occhi troppo lucidi.
"Diglielo Marti. Questo vuole sentire." Disse allora Giovanni abbracciandolo, giusto allo scoccare della campanella della prima ora.

Martino salì le scale di casa di Niccolò di corsa, mille pensieri in testa da tramutare in parole ed il cuore accelerato.
Salutò Anna che lo aspettava sulla porta con lo sguardo ferito e stanco. Gli diede una pacca leggera sulla spalla ed accennò un saluto, indicando la porta chiusa di Niccolò.
"È chiuso lì." Affermò. "Non prenderla male se rifiuta di vederti, Martino." Il ragazzo scosse la testa con vigore.
"Devo solo dirgli delle cose. L'importante è che...ascolti." Aggiunge prima di bussare alla porta.
"Nico...sono io, Martino." Provò avvicinando la bocca alla porta di legno. Il silenzio era tutto ciò che ricevette in risposta per minuti interi.
"Ok. Io mi siedo qui fuori." Affermò alzando un po' la voce e sedendosi proprio con le spalle sulla porta. Osservò lo sguardo attento della madre di Niccolò, intenerito e triste.
"Ho bisogno di dirti delle cose. Poi giuro che vado via." Provò ancora mentre le lacrime iniziavano a farsi spazio nei suoi occhi.
Sentì dei rumori provenire dalla stanza e si accorse che Niccolò era seduto esattamente dall'altra parte della porta.
"Ok" Disse prima di prendere un quaderno dallo zaino. Frugò alla ricerca di una penna e poi si mise a scrivere.
"Non mi fai male. Sto male se ti sto lontano." Posizionò il foglietto sotto la porta e sorrise appena quando notò la mano di Niccolò tirare immediatamente il foglio per leggere. Ma non vi fu comunque risposta.
"Tutto quello che desidero è starti vicino, anche quando stai male." Continuò imperterrito.
"Non mi stai privando di niente. Sono felice con te."
"Non mi interessa se un giorno non ti va di uscire. Mi interessa sapere di potermi stendere accanto a te e restare abbracciati fino a quando ti va."
"Non mi tagliare fuori."
"Cosa ci trovi di strano? Io ti amo Niccolò, non è forse una ragione abbastanza forte per superare qualsiasi cosa?" Scrisse infine, ormai in lacrime. Il petto scosso dai singhiozzi ma assurdamente più leggero per essere riuscito a dire al suo fidanzato tutto, tutto racchiuso in quelle due parole maledette che gli martellavano la testa da giorni.
Si alzò dal pavimento, asciugando gli occhi ed il naso con la manica della giacca.
"Scusa." Mormorò ad Anna prima di lasciare la casa in fretta.
Non importava più molto nemmeno della pioggia battente, pioveva nell'anima di Martino, fitto.

Erano state ore lunghe, pesanti e piene di domande. Martino si chiedeva ininterrottamente cosa avesse sbagliato, dove avesse fallito nel dimostrare al suo fidanzato quanto fosse ormai coinvolto in quella storia. Senza via d'uscita.
Aveva pianto, si era arrabbiato, aveva urlato.
Erano state le 36 ore più strane del mondo: piene di emozioni e terribilmente apatiche.
Sembrava che Niccolò avesse toccato le corde di qualsiasi sentimento presente nella sua anima.
Sembrava che il mondo fosse incapace di fargli sentire qualsiasi cosa.
Non riusciva a provare nemmeno gratitudine verso gli amici che si erano stabili a casa sua. La stanza sembrava un accampamento di cibo che non aveva toccato e di vani tentavi di aiutarlo.
"Che ne dici se andiamo a fare un giro?" Propose Elia guardando l'orologio.
Martino scosse la testa. "Andate raga, è sabato sera." Disse soltanto. Luca si gettò sul letto accanto a lui.
"Ma non esiste." Affermò in un moto di serietà tanto profondo quanto strano per lui che era un giocherellone nato.
Giovanni osservava l'amico in silenzio, senza sapere cosa fare. Non era arrabbiato con Niccolò, era triste. Era triste pensare a quanto a volte l'amore per qualcuno ti faccia essere così idiota. A quanto una persona che ama si spinga per proteggere l'altro.
"Vuoi che provo a chiamarlo?" Chiese Giovanni, preso da uno slancio di iniziativa.
"E a che serve?"
A rompere quel silenzio fu il cellulare di Martino, sotterrato da cuscini e cartoni di pizza. Prima squillò e poi si accese per l'arrivo di una notifica.
"Marti è Nico." Disse Elia, recuperando il telefono e passandoglielo come se fosse una bomba pronta ad esplodere.
"Che fai? Vieni a casa?" Recitava così.
Erano state trentasei ore di dolore e domande senza risposte ma Martino aveva già il giubbotto addosso.
Ed il tragitto per casa del suo fidanzato non era mai stato così breve e così lungo.
Si era trovato fuori la sua porta dopo quella che sembrava una eternità, col cuore che batteva come un pazzo nel petto. Si appoggiò la mano alla base della gola, come ad impedire che scappasse da qualche parte, come a rassicurarlo.
Bussò al campanello con mani tremanti e quasi gli sembrò un sogno trovarsi davanti agli occhi il suo fidanzato. Con i capelli arruffati ed una tuta in cui navigava. Ma il suo fidanzato era lì.
L'espressione colpevole, innamorata e ferita.
Gli si buttò tra le braccia tra le lacrime e la gioia.
Niccolò lo baciò come se ne dipendesse la vita, come se fosse stato in apnea per tutto quel tempo trascorso in solitudine.
"Scusami." Mormorò sulle sue labbra prima di affondare la testa nel suo collo.
"Non farlo più Nico, ti prego." Provò ad articolare una frase di senso compiuto. "Lasciami stare accanto a te."
Disse prima di alzare lo sguardo e notare la casa totalmente immersa nel buio.
"Io..ho pensato a quello che mi hai detto. E... ok. Non posso prometterti di stare sempre bene perché ehi, ho questa cosa che...esiste, è parte di me. Ma non è tutto. Allora ho pensato ad un modo, un modo per non sentirmi male se qualche volta non riesco ad accontentare delle richieste banali, semplici." Mormorò insicuro Niccolò gesticolando in maniera nervosa.
"Ehi Nico non serve..."
"No aspetta." Lo interruppe. "Possiamo avere tutto. Possiamo farlo. E quando non possiamo perché non ne ho la forza...possiamo farlo qua.
Ho chiesto a mia madre di aiutarmi a fare questa cosa stupida ma..." Lo condusse nel salotto mostrando a Martino una scena dolcissima e romantica.
Tutti i mobili erano stati spostati ai lati, vicino alle pareti in modo da lasciare la stanza quanto più libera possibile.
Attorno al soffitto erano attaccate tante lucine, che illuminavano la stanza che era nella penombra. Piccole lanterne tutte intorno al tappeto ed una enorme tenda al centro della stanza, creata con sedie e coperte, come quelle che si divertiva a fare da bambino, sognando di stare in un bosco incantato.
"Ti prometto che questa stanza diventerà un cinema, una discoteca, un bosco, una casa al mare e qualsiasi cosa tu possa desiderare quando non avrò la forza di uscire fuori da queste mura.
Ti prometto che troverò la forza di creare questo per te." Disse in un sussurro prima che Martino lo inondasse con le sue lacrime, le sue risate ed i suoi baci.
Si trovarono in quella tenda in salotto, con la compagnia delle lucine che sulle lenzuola sembravano stelle, le lanterne e il rumore dei loro sospiri.
"Perché hai scelto la tenda?" Domandò Martino, prendendo la mano del fidanzato, sotto le coperte che avvolgevano i loro corpi.
"Perché qualche tempo fa mi hai raccontato che è un ricordo felice della tua infanzia. Volevo ridarti quella sensazione."
Niccolò si strinse a lui, strofinando il suo naso sulla guancia dell'altro, per poi osservare gli occhi dubbiosi di Martino.
"Non ti sembra abbastanza?" Disse ancora. "L'ho fatto perché ti amo. Questo è abbastanza?" Rispose con semplicità. Finalmente anche lui libero da quell'emozione che gli premeva nel petto.
Quel bacio fu il più consapevole che si fossero mai scambiati. Fu quello di resa. Avevano ammesso a loro stessi la necessità di avere l'altro accanto.
"Ti amo anche io." Mormorò Martino nel collo del fidanzato.
Fin quando avrebbero avuto la forza di mettere quell'amore in prima linea, niente sarebbe andato male.


Ci sono ricascata. 🤦🏻‍♀️
Scusate l'angst e il trooooooppo romanticismo.

Life bites. RAMES|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora