Subdola.

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Niccolò guardava in silenzio il suo fidanzato appoggiato con il volto sul finestrino, gli occhi semichiusi nella penombra della macchina di Giovanni. I capelli rossicci erano illuminati ogni tanto dai fari delle macchine che procedevano in direzione opposta alla loro e grazie a quegli sprazzi di luce poteva osservare a scatti l'espressione tesa ed assorta di Martino. Aveva la mascella stretta e sembrava che stesse digrignando i denti piano, involontariamente. Niccolò sapeva benissimo cosa significasse: conosceva ogni piccolo vizio ed ogni abitudine del ragazzo che sedeva al suo fianco che in quel momento sembrava completamente assente.
Qualche ora prima avevano deciso di non prendere l'auto del più grande ma chiedere un passaggio a casa dalla festa di Edoardo a Giovanni. Avevano immaginato di bere come pazzi e di tornare da Niccolò, ubriachi e pazzi d'amore e continuare la loro serata in camera da letto. Eppure qualcosa era andato storto.
Era successo in un attimo e Niccolò aveva sentito il cuore stringersi in un pugno, da qualche metro di distanza aveva visto Martino parlare con dei ragazzi che non aveva mai visto prima e improvvisamente Giovanni ed Elia saltare al collo a questi nel tentativo di iniziare una rissa: aveva capito. Non gli era passato per la testa nemmeno per un secondo che il motivo poteva essere un altro, non aveva pensato che stessero litigando per una spallata di troppo o per una cretinata simile, aveva avvertito immediatamente che l'oggetto della lite era quella latente omofobia che serpeggiava anche nella sua vita.
Niccolò aveva sempre avuto una grande libertà d'animo. Da sempre aveva sentito necessità di non darsi troppi limiti, di non costringersi in certi schemi e questo l'aveva portato però ad entrare in dinamiche complicate.
Lui che si sentiva spesso il più grande difensore degli emarginati, dei deboli, di quelli che venivano considerati diversi, aveva ben presto capito che non tutti vedevano quel tipo di diversità come un valore aggiunto. Non tutti si beavano della ricchezza delle differenze tra esseri umani. La maggior parte della gente era sprezzante, cattiva e crudele. Ma non era come nei film, non c'era solo l'omofobo del quartiere che ti ammazzava di botte nel vialetto di casa, non c'erano solo i ragazzetti pronti a deriderti, l'odio era fatto di sguardi, di sussurri, di sentimenti repressi e sfogati in una parola, un gesto scortese. Niccolò aveva fatto fatica più ad abituarsi a quel tipo di omofobia. Quella che in realtà credeva fosse la più diffusa.
Ricorda benissimo una serata passata sul divano con i suoi genitori ed il suo fidanzato, non più di qualche mese fa. Stavano guardando un talk in tv e c'era un servizio sull'ondata di Pride che invadevano le strade d'Italia. Qualche giornalista commentava cercando di metter su un discorso su come sfilare al Pride mettesse gli omosessuali e tutti gli altri partecipanti in una situazione di diversità. "Crei differenza tra te e gli altri: ti autodiscrimini!" Affermò platealmente evidentemente non consapevole di aver detto una stronzata.
"L'Italia non è omofoba. Sono dei casi isolati." Continuò facendo innervosire il padre di Niccolò.
"Ma che stronzate va sparando questo coglione?" Urlò alla televisione in preda ad un attacco d'ira. Ma in fondo Niccolò non poteva che essere d'accordo col padre.
Martino li ascoltava in silenzio, annuendo con vigore, stretto nel suo abbraccio.
"Secondo me" Commentò Anna. "Dovrebbero fare però anche tanta educazione alla sessualità a scuola. C'è sicuramente la violenza, le aggressioni ai ragazzi ma c'è anche tanta aggressività latente che si nasconde dietro gli atteggiamenti dei ragazzi. Per far male a volte non c'è bisogno di nessun cazzotto." E Niccolò non poteva essere più d'accordo.
Aveva sin da subito, per un innato e profondo senso di protezione verso il suo fidanzato, cercato di fargli render conto anche di come avrebbe potuto difendersi in certe situazioni e a malincuore aveva preso piccole precauzioni affinché non accadessero cose spiacevoli: era triste ma la sicurezza di Martino era la prima cosa. Se tornavano a casa a notte fonda spesso evitavano di tenersi per mano o di scambiarsi un bacio per cercare di non scatenare una reazione del cazzo da qualche fascistello in cerca di rogne, avevano cercato di allontanare qualsiasi conoscenza potesse rappresentare un problema e spesso si trovavano a fare i conti su quanto fosse conveniente frequentare certi luoghi piuttosto che altri.
Chiaramente Niccolò avrebbe fatto l'amore a Piazza di Spagna con il suo fidanzato, che per quanto gli riguardava, era un'opera d'arte da esporre in tutti i musei ma le teste di cazzo erano ovunque e detestava l'idea che qualcuno potesse fargli del male.
Martino dal canto suo si era abituato a queste cose e aveva compreso purtroppo il mondo infame in cui era costretto a vivere, dove non solo tuo padre ti volta le spalle perché lo metti in un buco diverso da quello in cui lo mette lui, ma anche degli idioti per strada si sentono in diritto di ammazzarti di botte perché pensano che l'omosessualità sia la causa della futura estinzione umana.
Nonostante ciò Niccolò aveva cercato di proteggere anche l'anima del suo ragazzo, circondandolo d'amore e sperando che non venisse mai a contatto con quella forma di discriminazione che ti fa male più delle botte, perché ti colpisce nel profondo. E così lo aveva ricoperto di attenzioni, bene attento a tutto. Aveva avuto la fortuna di avere amici che erano una famiglia per Martino, che gli stavano attorno come con un fratello e che lo riempivano di affetto. E così le sue serate per locali, le sue feste, le sue giornate al bar erano piene degli occhi puri dei suoi amici di sempre e di qualche compagno di scuola, come un potente filtro che nascondesse quelle occhiate rivolte alle loro mani intrecciate sotto al tavolo o quello sdegno per un bacetto a stampo. Voleva che Martino mai si accorgesse che qualcuno lo deridesse mentre ballava con il suo fidanzato, che qualcuno lo imitasse alle sue spalle o che evitasse accuratamente di passargli vicino neanche fosse in grado di passargli una malattia. Niccolò voleva evitare che si rendesse conto che degli idioti gli giravano al largo quasi impauriti di poter mettere in crisi la loro mascolinità o di perdere la loro verginità anale con un tocco. Che poi no, lo avevano visto? Non poteva essere minimamente possibile che Martino fosse attratto da uno di loro, bello come il sole era così al di sopra di qualunque altra persona al mondo che era troppo anche per qualsiasi essere umano, figuriamoci per quattro stronzi repressi.
Eppure non ce l'aveva fatta, Martino aveva appreso di vivere in un mondo in cui anche la festa di un compagno di scuola può diventare un incubo, aveva appreso che tutto quello che dicono sull'omofobia è vero: esiste, è subdola ed è una merda.
E Martino era rimasto immobile davanti a quella feccia e poi per il resto della serata. Si era seduto in macchina in silenzio e dopo aver appoggiato il palmo sulla gamba del fidanzato, come a prendere un po' coraggio, aveva socchiuso gli occhi ed era rimasto lì su quel maledetto finestrino.
"Zì siamo arrivati." Disse Giovanni con la voce rauca a causa del silenzio forzato lungo il tragitto. La situazione aveva scosso un po' tutti, compresa Sofia che pur conoscendoli poco continuava a girarsi verso Martino con il volto in apprensione, sperando di vederlo stare meglio.
"Grazie Giò." Disse Martino scendendo dall'auto.
"Tutto okay?" Chiese ancora, ricevendo di risposta una alzata di spalle.
Niccolò scese anche lui dall'auto, girandosi a fare un occhiolino a Giovanni per rassicurarlo.
"Buonanotte" Disse avvicinandosi a Martino già intento ad inserire la chiave del portone.
Salirono le scale in silenzio, lo stesso con cui si ritrovarono in camera. Niccolò tolse il giaccone con la lentezza di chi cercava le parole giuste ma anche di chi si sentiva un po' in colpa.
La colpa di chi avrebbe dovuto attraversare quei metri di distanza per vivere quel momento terribile, quell'incubo disastroso col suo fidanzato. Ormai non ricordava nemmeno più per quale ragione si era allontanato un attimo, non ricordava nemmeno con chi fosse ma ricordava benissimo gli occhi spenti del suo Bambi e la sua paura mentre quel ragazzo si sporgeva ad un passo dal suo naso.
Martino si lasciò cadere sul letto, stanco.
"Marti..." Cercò le parole l'altro.
"Sono arrabbiato." Disse soltanto il ragazzo dai capelli rossi e Niccolò voleva sprofondare, perché la rabbia era l'ultimo sentimento che si leggeva sul volto del suo fidanzato: c'era delusione, paura, sconforto ma poca rabbia.
"Sono stato lì fermo come un coglione, non ho detto niente Nico!" Disse senza fiato. "Gli ho dimostrato che aveva ragione, che sono un debole!"
"Martino." Tuonò Niccolò. "Non te lo aspettavi, è per questo che non hai reagito. Non è mai successa una cosa del genere."
"Ma potevo aspettarmelo Nico!"
"Perché è normale che accada?"
"Niccolò non farmi la paternale adesso. No, non è normale ma so che poteva succedere. Avevo la certezza di vivere in un ambiente, almeno il mio, sano! Invece uno stronzo de' Monti mi ha chiamato frocio e io so rimasto là come 'ncoglione!" Continuò alzando la voce senza preoccuparsi della tarda notte.
"Marti guardami: non sei un coglione né un debole. Sei più forte de lui perché hai il coraggio di essere te stesso senza andare in giro a dire alla gente merdate solo per non ricordarti che ne a vita non concluderai mai 'ncazzo. Tu sei meglio de loro." Disse accorciando la distanza che li separava e prendendo il suo viso tra le mani.
"Hai capito?" Chiese ancora. Martino annuì piano.
"La prossima volta li mandi 'affanculo e
glie molliamo pure un calcio nei coglioni." Disse cercando di farlo ridere ma scatenando esattamente la reazione opposta da parte del fidanzato. Gli occhi di Martino si riempirono immediatamente di lacrime per poi sgorgare fuori dai suoi splendidi e dolcissimi occhi. Si aggrappò istantaneamente alle spalle del suo fidanzato che lo accolse tra le sue braccia calde e si lasciò andare ad un pianto liberatorio che portava via stanchezza, sofferenza e rabbia. I singhiozzi scuotevano il suo petto nel tentativo di cacciar fuori tutto quello che aveva accumulato in quelle ore, tutta la vergogna, il senso di umiliazione ed inadeguatezza che aveva provato.
Niccolò lo strinse di più a sé, col cuore a pezzi, lasciando dei piccoli baci tra i suoi capelli morbidi e profumati.
"Scusami se non ero con te. Giuro che starò più attento." Disse poi stringendolo.
Martino scosse la testa asciugandosi gli occhi con la manica della maglia. "Nico, non è colpa tua. Non puoi proteggermi da tutto."
"Lo so." Sospirò. "Ma vorrei." Disse prima di avvicinare le sue labbra a quelle dell'altro e dando vita ad un bacio che invece era speranza, amore, fiducia e vita.
Restarono così. Mezzi vestiti e abbracciati sul letto di Niccolò, stretti in una morsa di amore e protezione che avrebbero voluto fosse abbastanza forte da tenere fuori tutto anche quando sarebbe stato difficile farlo.
C'era qualcosa che non andava in questo maledetto mondo, c'era qualcosa di folle nelle persone che si ostinavano a combattere l'amore con così tanta forza, come se fosse il male del mondo. Persone che invadono piazze, che professano una parola di un chissà quale Dio che ci impone dall'altro cos'è giusto e cosa è sbagliato. Ma non è forse assurdo credere che il bene sia nel negare alle persone di esser quello che sono, di amare coloro che amano, di vivere come vogliono farlo?
Niccolò era arrabbiato con mezzo mondo, forse tre quarti, perché quella sera uno di loro, uno di quella merda umana che serpeggia tra la gente aveva ferito l'anima più candida e preziosa che esistesse sulla faccia della terra e questo non poteva permetterlo. E se avesse potuto si sarebbe caricato Martino sulle spalle e lo avrebbe portato in un posto in cui sarebbero stati felici per sempre, tutti e due. Una piccola isola speciale in mezzo al mare dove vivere senza essere toccati dalla sporcizia del mondo. Oppure avrebbe voluto schiacciare tutte quelle persone come formichine impedendo loro di fare anche solo un graffio al suo bellissimo Martino.
Eppure si trovava steso in un letto, accarezzando quei capelli rossi e sottili, nella speranza che il suo amore fosse abbastanza forte e solido per proteggerlo da qualsiasi male avrebbe provato a sfiorarli.

Quella clip è stata una doccia fredda. Quella scena mi ha fatto pensare ad una cosa vissuta non più di un anno fa con il mio migliore amico e mi ha ricordato la rabbia che ho provato in quel momento ma anche il senso di protezione e la voglia di fare qualcosa affinché questo possa non accadere mai più .
Ma sono certa che ora Marti sta bene, insieme a Nico che sicuramente avrà trovato il modo di fargli dimenticare tutto.

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