Capitolo 3

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Il giorno dopo stetti più tempo sotto la doccia per pensare a quello che avrei dovuto dire.

Ero agitata e un po' impaurita, considerando che lui, Ethan, era venuto due volte nel bosco di casa mia.

Senza essere stato visto dalle guardie.

Sospirando finii di insaponarmi e, dopo essermi sciacquata, uscì dalla doccia.

Finito di asciugarmi, andai nella cabina armadio per mettermi la divisa, il bracciale e la collana.

Alla finestra presi un grosso respiro ma, purtroppo, non si sentiva nessun profumo di pino.

Delusa mi girai per andare a fare colazione ma l'occhio mi cadde sulla scrivania, dove un foglio accuratamente piegato e, con una rosa rossa sopra, spiccava sul bianco del legno.

Lo aprii incuriosita e subito il profumo di pino mi riempii le narici.
"La vita è morte ma morte siamo noi,
e arriverà colui che farà diventare morte,
speranza e amore."

Era la prima poesia scritta sui compagni e delineava come una legge le unioni vampiresche.

Noi siamo la morte, perché siamo vampiri ma, quando troviamo il nostro compagno, viviamo in amore e speranza. Me l'aveva spiegato mio padre quando, a dieci anni, mi ero imbattuta nella poesia per la prima volta.

Confusa che quella poesia fosse li, presi il foglio, lo piegai mettendolo nella borsa e andai ha fare colazione.

Dopo aver salutato i miei genitori andai a suola con Fabian.

Nel tragitto ripensai alla poesia e mi chiesi chi poteva averla mandata.

Non poteva essere stato lui.

Persa nei miei pensieri non mi accorsi che eravamo arrivati a scuola finché Fabian non mi aprì la portiera.

L'aria fresca di settembre mi scompigliò i capelli ed .inspirai forte per riconoscere la fragranza di pino, e fui delusa non trovandola.

Entrai in classe e fui sorpresa di non trovarlo neanche li.

Non lo vidi quel giorno, e mi sentii strana, incompleta.

Tornata a casa ero esausta e mi buttai sul letto appisolandomi quasi subito.

* * *

Un suono dolce e profondo chiamava il mio nome.

«Juliette?»

Alzandomi di scatto a sedere sul letto, vidi nell'oscurità una figura alta e prestante.

«S-sei tu? Sei Ethan vero?»

Non fui sorpresa quando mi diede un cenno positivo e presa da un impeto di coraggio mi avvicinai e scostai la tenda della finestra, illuminando la stanza con i bagliori della luna.

Sotto quella luce, possibilmente, era ancora più bello e mi accorsi di un particolare che prima mi era sfuggito.

Sul labbro inferiore, nel lato destro, Ethan aveva un piercing.

Trovavo incredibilmente eccitante il modo in cui il labbro superiore risucchiava il piercing facendolo scomparire e riapparire lentamente.

Non resistendo e, non riconoscendomi, mi avvicinai ancora e con un dito gli toccai il labbro ornato dall'anellino e lo sentii trattenere il fiato.

Indietreggiai improvvisamente borbottando qualche scusa quando, la sua mano si poggiò sotto il mio mento per alzarlo, in modo che i nostri sguardi si incontrassero.

Occhi azzurri in occhi dorati.

Scandendo bene le parole lui disse «Voglio baciarti, appoggiare le mie labbra sulle tue e sentire che mi vuoi.» Respirando profondamente continuò «Ne ho bisogno.»

Non lasciandomi tempo per rifiutare, mi baciò con foga facendo saettare la lingua sulle mie labbra, finché non le aprii e lui ci si tuffò, impaziente.

All'improvviso sentii qualcosa allungarsi nella mia bocca e graffiarmi il labbro, facendo uscire una goccia di sangue.

Ethan si tirò subito indietro con gli occhi sgranati e un'espressione famelica sul volto.

«S-scusami, non volevo graffiarti.»

Corrugò la fronte facendo capire che stava pensando e facendo saettare la lingua sul suo labbro lentamente disse «Posso?»

Si avvicino ed io capì cosa voleva fare e, timidamente gli diedi il permesso.

La sua lingua saetto fuori dalle sue labbra e avvicinandosi a me lecco la goccia di sangue che fuoriusciva dal mio labbro, gemendo lentamente.

Dopo pochi minuti che ci stavamo guardando mi avvicinai a lui e alzandomi sulle punte gli posai un bacio dolce e casto sulle labbra, facendogli capire che non mi pentivo di quello che avevamo fatto.

Ethan sorrise, un sorriso malizioso sul bel viso e disse «Juliette...» Disse il mio nome con studiata lentezza, gustandoselo come se fosse qualcosa di squisito.

«Mi piace molto il tuo nome. Non penso di aver capito come mai fai entrare sconosciuti nella tua camera. E di notte per giunta.»

Sorridendo imbarazzata gli feci cenno di sdraiarsi con me sul letto e, quando lo fece, ci mettemmo a parlare dei nostri interessi.

Scoprii che a lui piaceva molto disegnare e, che mi aveva fatto un disegno quando, due notti prima, mi aveva vista sulla balconata.

Gli raccontai della mia passione per le rose e stavo per dirgli di rimanere tutta la notte quando, improvvisamente, un forte tuono si sentì e mi svegliai alzandomi a sedere di scatto.
Oh, no.

Era stato tutto un sogno, un sogno bellissimo, ma pur sempre un sogno.

Fuori dalla finestra, il temporale scuoteva gli alberi ed io mi buttai sul cuscino stanca e delusa che non fosse la realtà.

Mi alzai e andai in bagno per togliermi dalla pelle il velo di sudore che mi copriva.

Andai verso lo specchio e sbarrai gli occhi alla vista del mio labbro.

Un sorriso si levò leggermente dalle miei labbra e d'improvviso non vidi l'ora di andare a scuola.

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