Mapache era una bella città. Era piccola e tranquilla, questo non andava bene perché dove c'è tranquillità non ci sono i banditi e lei stava cercando proprio uno di loro. Lì non conosceva nessuno, nessuno le aveva mai rivolto la parola, il che non guastava. Quando era arrivata si erano tutti voltati a guardare quella strana ragazza dai capelli rossi, strana perché non si era mai vista una donna attraversare il deserto accompagnata solo dal suo cavallo, con due pistole nel cinturone, un fucile sulla schiena e con indosso i pantaloni per di più. Un vero sacrilegio. Ma quegli sguardi straniti presto cessarono, gli abitanti di Mapache si abituarono alla sua presenza ed ella diventò, agli occhi di tutti, un cittadino come gli altri. Fortunatamente, al di fuori di Periquito, la città in cui abitava prima di partire alla ricerca di Alexander Martin, nessuno sapeva che fosse ricercata, altrimenti sarebbe dovuta partire appena arrivata. Era successo un gran pasticcio a Periquito: aveva ucciso un uomo, l'aveva scambiato per Alexander Martin. Era buio e da lontano sembravano identici, avevano gli stessi occhi azzurri e gli stessi capelli neri, ma erano due persone differenti. Aveva ucciso un uomo innocente e se n'era dovuta andare.
Andare a Mapache le aveva consentito di ricominciare e provare in tutti i modi di rintracciare quel bandito che cercava da quando aveva sei anni.
Era diretta al saloon, come ogni sera, vestita con i soliti abiti: una maglietta bianca impolverata, aderente, scollata e con la manica destra strappata, sostituita con un bracciale di pelle marrone che andava dal polso al gomito, un paio di pantaloni neri aderenti e un paio di stivali impolverati con un piccolo tacchetto.
Naturalmente era accompagnata dalla sua pistola.
Mentre si dirigeva all'entrata, notò un gruppo di donne che la guardavano con disprezzo, erano vestite con i loro abiti elegantissimi e con i capelli legati in acconciature complicatissime.
La ragazza non si curò di loro, si limitó ad entrare nel saloon con i capelli rossi scossi dalla brezza serale.
Appena entrata fu investita da un odore misto a quello dell'alcool e quello del sudore, dal brusio degli uomini che chiacchieravano e dal tintinnare dei bicchieri di vetro.
C'erano pochi uomini quella sera, quello significava più posti liberi per giocare a Elementos e pagarsi la cena.
Si avvicinò ad un tavolo. Erano seduti due uomini, uno sulla sessantina con pressoché tutti i capelli grigi e un sigaro in bocca, l'altro sulla cinquantina con due profonde rughe sulle guancie.-Posso unirmi a voi, ragazzi?-
Ragazzi non era certamente il termine più appropriato per definirli, ma gli uomini di Mapache amavano le lusinghe.
La rossa appena arrivata era stata investita dal fumo rilasciato dal sigaro dell'uomo. Si era poi seduta ancora prima che le rispondessero.
L'uomo con il sigaro alzò lo sguardo.-Certo bambola- si rivolse poi al suo amico -Jack muoviti, dalle le carte!-
L'uomo, visibilmente poco sobrio, raccolse tutte le carte sul tavolo, le mischiò per bene e poi ne diede cinque ai tre giocatori. La faccia posteriore delle carte aveva un disegno formato da un complesso intreco di linee verdi, che a loro volta formavano un albero con una chioma maestosa. La faccia anteriore delle carte poteva avere diverse figure: delle linee azzurre e ondulate che rappresentavano l'acqua, un triangolo verde a testa in giù attraversato da una linea che rappresentava la terra, un semplice triangolo rosso che rappresentava il fuoco, un vortice viola con delle piume che rappresentava l'aria, una carta nera che rappresentava l'oscurità, una candela accesa che rappresentava la luce. Il fuoco vinceva sulla terra e sull'oscurità, l'aria e l'acqua vincevano sul fuoco, la luce vinceva sia sull'oscurità sia sul fuoco e infine l'oscurità vinceva sulla luce. Alcune carte combinate assieme andavano a formare altri elementi, ad esempio, acqua e aria messe insieme formavano il ghiaccio, che era rappresentato come l'acqua, solo che le linee non erano ondulate, bensì spigolose, e vinceva su tutti gli elementi, esclusi luce, oscurità e aria. Le carte vinte diventavano proprietà del giocatore che le aveva sconfitte. Il giocatore in possesso di una carta "Terra", una "Acqua" e una "Luce", era in grado di formare la carta "Albero", allora aveva il diritto di prendere tutti i soldi sul tavolo e di concludere la partita.
I giocatori erano obbligati a giocare tre carte, o due di cui una carta combinata, di quelle in cui sono in possesso.
La ragazza osservò le sue carte: due carte "Acqua", una "Fuoco" e una "Aria".
Molto bene, c'è la speranza che combinando l'acqua e l'aria possa ottenere una carta "Terra", poi col fuoco potrò ottenere una carta "Oscurità" con cui poi ottenere una carta "Luce", formare la carta "Albero" e infine vincere. Pensò la rossa.
Lo spazio al centro del tavolo era adibito ai soldi giocati durante la partita e alle carte che diventavano bianche a causa dell'unione degli elementi, lo spazio davanti ad ogni giocatore era pere carte che venivano giocate. Si poteva, ovviamente, pescare delle carte dal mazzo posizionato al lato del tavolo.
L'uomo chiamato Jack, prese cinque banconote e le mise sul tavolo.
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Pelirroja
FantasyPelirroja, questo è il nome dato da Fèlix Santiago ad una ragazza dall'identità sconosciuta e dagli strani poteri. Ella è alla ricerca di un uomo, chiamato Alexander Martin, un bandito, con l'apparente scopo di intascarsi la taglia sulla testa di qu...