Prologo (1) - Let me in

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La intravedeva dal vetro della finestra, scoperta dalla mancanza di tende, mentre spolverava svogliatamente una foto dalla cornice argentea, forse una delle istantanee del suo matrimonio.

Se non l'avesse vista di persona, Alberto non avrebbe mai pensato che Tish potesse ridursi in quella maniera, a un gesto così meccanico e senza significato come togliere la polvere da una cornice che, con tutta probabilità, aveva già spolverato il giorno prima, e quello prima ancora.

Tentennò, con la mano vicina al campanello: non era stato difficile, trovare il suo indirizzo, lo era stato doverlo chiedere a Giordana che, ovviamente,non si era risparmiata un degno interrogatorio a cui però, lui, non aveva saputo rispondere. Non lo sapeva, da dove gli era nata quell'esigenza, il volere andarla a cercare, nonostante fossero passati sei anni dall'ultima volta che si erano visti, poco dopo la finale di Amici.

Era stato un momento, in cui avevano entrambi brindato ai quattro finalisti, e poi lei era sparita nel nulla: Alberto un po' l'aveva avuta, la percezione che quella era stata la loro ultima volta, ma non aveva detto niente. Non ci era riuscito, né ci aveva voluto credere, che sarebbe finita così,senza un chiarimento, un bacio, un qualcosa.

Ed era finita, per davvero, non si erano più visti. Un paio di volte era stato lui, a cercarla, e lei gli aveva risposto laconicamente o non gli aveva risposto proprio.

Finché, il 23 giugno di quattro anni prima, non gli aveva inviato l'invito per il suo matrimonio e, tutto questo, ad Alberto era sembrato tremendamente ironico e di pessimo gusto. Non ci era andato.

Non ci era andato e nemmeno le aveva mandato un biglietto di auguri, in un raro momento di maleducazione di cui non era riuscito a non andare fiero.

Eppure, l'immagine di lei vestita di bianco, che camminava lungo la navata, non se l'era tolta dalla testa per mesi. Per anni.

Più o meno finché, dopo anni di autocostrizione, non si era deciso ad andare a cercarla,nonostante le chiare minacce di Giordana.

Ha trovato un suo equilibrio, per quanto sia discutibile. Non rovinare tutto ancora una volta, gli aveva detto, ed Alberto, per quasi un anno, si era convinto che forse doveva darle ascolto.

Fino ad oggi, giorno in cui ha rispolverato la nota sul cellulare dove si era appuntato l'indirizzo di Tish e, quasi senza pensarci, si era diretto lì,verso quella porta, senza sapere se suonare il campanello oppure no.

Ormai siamo qui,pensò, mentre finalmente si decideva a bussare. Ora o mai più.

«Oh,ciao».

Quando se la trovò davanti, fu quasi sorpreso di riscoprirla sempre uguale,con i soliti capelli rossi, gli stessi occhi azzurri. Senza puntini,ma quelli li aveva smessi da un po'.

«Ciao»mormorò Alberto, pentendosi di quella sua iniziativa. «Come stai?».

Lei sembrava non trovare le parole, o i gesti, così rimase in silenzio,disorientata.

«Cosa ci fai qui?» biascicò, infine.

Lui non riuscì a non notare che le tremavano le mani, un tempo curate,ora con le unghia mordicchiate fino alla carne viva.

Cercò di risponderle ma, questa volta, sembrò lui quello che non riusciva a trovare le parole. Quando finalmente si decise ad aprire la bocca,fu interrotto dal pianto di un bambino.

«Dannazione»biascicò Tish e, in quel momento, si accorse quanto sembra stanca.

Aveva dei brutti aloni neri, un po' occhiaie e un po' trucco di chissà quante sere prima, che le circondavano gli occhi, e il contorno delle labbra un po' segnato. C'erano sempre stati, quei solchi, quand'era che era invecchiata tutta in un colpo?

«Non stare lì» gli urlò Tish, dalle viscere della casa. «Entra pure».

Me minus youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora