6. Direct fly

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Tish si era raggomitolata sul divano, quando il cellulare iniziò a squillare: non si sorprese, aspettava la chiamata di suo marito da quella mattina ma, per qualche ragione che al momento le sfuggiva, non aveva più voglia di rispondere.

Si costrinse a prendere il telefono, però, e a stamparsi in faccia un sorriso allegro, mentre si appoggiava allo schienale del divano. Se non l'avesse fatto, se lo sentiva, probabilmente sarebbe caduta.

Così, quando il volto di Stash comparve sullo schermo, lei si ritrovò a guardarlo con un sorriso da bambola, sperando che tutta la stanchezza che si sentiva addosso non trasparisse.

«Ehi, amore» mormorò lui, sistemando i capelli con una mano. 

Anche Stash sembrava stanco, aveva delle brutte occhiaie che spiccavano sulla pelle pallida, la bocca era una linea tirata sul viso.

Controluce, poteva sembrare una ferita.

«Come stai?» mormorò, con una vena di preoccupazione che gli increspava la fronte. «Mi sembri stanca».

«Non lo sono» mentì Tish. «Sono solo annoiata. Come al solito».

Lui incassò il colpo, chinando appena il capo. «Lo so» sussurrò. «Vorrei essere lì con te, lo sai».

«Ma non ci sei» rispose lei, fredda. «Non ci sei mai. Ti stai perdendo tua figlia che cresce e io... te lo giuro, non ce la posso fare da sola».

«Se hai bisogno» rispose Stash, dolcemente. «Dimmelo e basta. Prendo il primo aereo e cerco di essere a casa per domani».

«E a che cosa servirebbe?» mormorò lei, tristemente. «Quanto rimarresti? Due giorni, forse tre, poi dovresti andar via di nuovo».

«Posso provare a spostare alcune date del tour e magari...».

«E magari avremmo una settimana?» lo interruppe Tish. «Se proprio ti impegnerai magari due, o un mese?».

«Lo so che sei arrabbiata» disse lui, calmo. «Ma così non risolviamo nulla: posso tornare per un mese, questo sì, e nel mentre possiamo cercare una soluzione più a lungo termine. Possiamo cercare qualcuno che ti faccia compagnia, se ti senti sola, oppure...».

«Non voglio qualcuno» borbottò Tish, con le lacrime che le pizzicavano gli occhi. «Voglio te, qui».

«Anche io vorrei essere lì conte e Vivì, lo sai» rispose Stash, dolcemente. «Ma possiamo trovare una soluzione insieme... potreste venire con me».

«Non possiamo far crescere nostra figlia senza una casa» disse lei, atona. «Lo sai. Però non posso nemmeno continuare a pensare che un giorno Vivì dirà papà e tu non sarai lì a sentirla».

«E io non posso pensare che potrei perdere quel momento» sussurrò lui. «Dirò di spostare le date del tour, torno a casa domani. Promesso».

«Io...» Tish fece un sospiro, aveva le mani che le tremavano. «Non ti preoccupare. Lo so che lavori anche per me e Vivì, e i miei sono capricci...».

«Torno domani» ripeté Stash. «Mi sembra evidente che c'è qualcosa che non va, che non sei felice. E io non ti posso lasciare così».

«Scusami» mormorò lei, con le lacrime che le rigavano il viso. «È solo che mi manchi, tanto, e non so più come fare, qui da sola».

«Anche tu mi manchi. Mi mancate» rispose lui. «Va bene così, faccio immediatamente il biglietto».

«Grazie» disse Tish, che ormai piangeva deliberatamente. «A che ora devo venirti a prendere all'aeroporto?».

«Non devi preoccuparti» disse Stash, scuotendo il capo. «Posso prendere un taxi, non c'è bisogno che guidi fin lì».

«No» rispose lei. «Non c'è bisogno, ma io voglio venire. Lascio Vivì con Virginia, ma ho bisogno...» sospirò, asciugandosi il viso. «Ho bisogno di vederti».

«Anche io» mormorò lui. «Mi manchi, ogni giorno».

E allora perché non sei tornato prima, pensò lei, ma non riuscì a dirglielo. Avrebbe rovinato tutto.

«Ti amo» disse invece, facendolo sorridere. «Grazie per avermi accontentata».

«Farei di tutto per renderti felice».

Lei pensò che non era giusto, che lui l'amasse in quel modo, mentre lei lo metteva in discussione con ogni gesto, con ogni pensiero. E lui l'amava.

Da anni, quasi disperatamente, e sembrava non aver mai smesso. Nemmeno quando lei non lo voleva, e aveva appena diciotto anni, non un pensiero in testa, e lui era già talmente innamorato di lei da volerla aspettare.

Aveva aspettato, mesi, finché lei istintivamente non si era rivolta verso di lui, bisognosa di conforto.

Adesso aveva ancora bisogno di lui?

Istintivamente, guardandolo sorriderle nello schermo del telefono, si disse che sì,aveva ancora bisogno di lui. E, a modo suo, lo amava, sebbene meno di quanto facesse lui con lei.

Ma lo amava.

«Ti aspetto, domani» disse Stash. «Mi sembri stanca, è meglio se vai a riposarti».

«Buonanotte» mormorò lei, chiudendo la chiamata.

Quasi senza rendersene conto, mentre posava il cellulare sul bracciolo del divano, sorrise, pregustando il ritorno di suo marito, la mattina seguente.

Ma durò poco.

Perché, mentre sentiva il rumore della chiave nella toppa, si rese conto che non gli aveva minimamente accennato di Alberto.

Me minus youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora