3. Supermarket

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Pochi minuti dopo Tish, in jeans e maglietta nera, stava vestendo sua figlia, incurante dei piccoli gorgheggi di lei.

«Ci sono supermercati, qui vicino?» domandò Alberto, chinandosi per aiutarla a mettere le scarpe alla piccola Vivì.

Lei gli lanciò un'occhiata riconoscente. «No, direi di no» rispose.«Ma non siamo obbligati a rimanere qui vicino, possiamo anche allontanarci un po'».

«Sì,certo, ma... insomma, tu non guidi, vuoi farmi credere di avere un'automobile che non usi mai» ridacchiò. «Magari pronta per me?».

«Equi ti sbagli, mio caro» rispose Tish, con aria di superiorità. «Ho preso la patente circa tre anni fa».

Alberto non riuscì a non nascondere la sorpresa e, senza riuscire adirglielo, si rese conto che anche quello faceva parte del bagaglio di informazioni e momenti che si era perso, in quei sei anni.

«Ma tu non eri quella che...?» iniziò, prima che lei lo interrompesse.

«Quella che non distingueva la destra dalla sinistra e aveva paura di andare a sbattere contro le altre macchine?» completò Tish. «Sì, ma ho dovuto imparare, altrimenti avrei dipeso sempre da altri».

Da mio marito,pensò lei, e non c'era molto da dipendere da Stash. Trattenne un sospiro.

«Okay, te lo concedo, hai ragione» rispose Alberto, alzando le mani. «Però fai guidare me».

«Non se ne parla» rispose lei. «La mia macchina la guido io. E poi ho l'immagine di madre quasi single che devo mantenere».

Alberto cercò di non farle notare quel quasi single che gli si era inciso nella mente a lettere infuocate, e semplicemente le sorrise.

«Nemmeno se te lo chiedo per favore?» domandò. «Viste le premesse immagino che potrai capire perché non mi fido particolarmente della tua guida».

Lei scosse il capo, tirando via i capelli dal viso e fermandoli con gli occhiali da sole.

«O ti fidi o rimani a casa» rispose, prendendo sua figlia in braccio.«Quindi vieni o ti devo chiedere cosa ti serve per quella famosa pasta?».

Lui si sbrigò a seguirla, aprendole la porta. «Mi fido, mi fido»disse. «Ma come minimo devi iniziare a raccontarmi quella storia in macchina».

Tish alzò gli occhi al cielo, ma non disse di no, e lui lo interpretò come un segno positivo. La aiutò a sistemare la piccola in macchina,prima di accomodarsi nel posto del passeggero.

«Allora?»domandò, subito dopo aver sentito il click della cintura di sicurezza di Tish. «Questa storia?».

«Allacciala cintura, mi rendi nervosa altrimenti» disse lei, distrattamente,sistemando lo specchietto retrovisore. «Conosci Virginia Tomarchio?».

Alberto la guardò, perplesso. «Sì, certo, faceva la professionista quando noi ancora stavamo ad Amici»rispose. «Ma cosa c'entra?».

«Lei e Stash sono molto amici, dai tempi della loro edizione» spiegò Tish. «E spesso, quando ero incinta, veniva a trovarmi per aiutarmi con la casa».

Sospirò.

«Era un periodo infernale, quello: Stash non aveva nemmeno il tempo di telefonarmi, era sempre chiuso in sala registrazione o in giro per tour o instore. Così, quando se ne rendeva conto e si sentiva incolpa, spediva Virginia a farmi compagnia».

Alberto non glielo disse, ma mentre spiegava la situazione, Tish gli sembrò estremamente triste, insoddisfatta. Ma non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, tanto meno con lui.

«Insomma,io e Virginia abbiamo molto legato in quel periodo» disse. «Una sera, avevo deciso che era ora di smettere di far la muffa a casa, emi ero messa in macchina per andarla a trovare».

Sorrise,scuotendo il capo.

«Un'idea molto stupida, se consideri che ero quasi al termine della gravidanza» osservò. «Ma solitamente sono il guru delle idee stupide o pericolose».

«Come la chiave sotto lo zerbino» le ricordò Alberto, memore dell'episodio di quella mattina.

«Come la chiave sotto lo zerbino» concordò Tish. «Insomma, andai da Virginia che ero gonfia come una mongolfiera e sembrava dovessi partorire da un momento all'altro. Come puoi immaginare, il mio mostriciattolo decise che era esattamente quello il momento adatto per nascere».

Ridacchiò.

«Ho fatto a malapena in tempo a scendere dalla macchina che, puf, mi si ruppero le acque»spiegò. «Avevo provato a chiamare Stash ma, ovviamente, non poteva rispondere al telefono».

«Mi stai dicendo che si è perso la nascita di sua figlia?» mormorò Alberto, senza riuscire a trattenersi. «Che, sapendo che eri al nono mese, comunque non correva a rispondere al telefono?».

«Stava lavorando» lo giustificò lei, laconica. «In ogni caso non ho dovuto fare tutto da sola, è bastato uno squillo e Virginia è scesa correndo, è salita in macchina e mi ha portato in ospedale. In piena crisi isterica».

«Ci credo, anche io sarei stato un pelino agitato» osservò lui, mentre Tish entrava nel parcheggio del supermercato.

«Agitata? Sembrava dovesse uccidere qualcuno, ha tempestato Stash di chiamate finché non ha dovuto rispondere» disse Tish, sorridendo. «E, quando ha risposto, gli ha urlato contro così forte che lui ha mollato tutto, è passato da casa a prendere la mia borsa da ospedale ed è corso da me».

«Quindi hai avuto un bel lieto fine» mormorò Alberto, con una nota di amarezza di cui, sperò, lei non si sarebbe accorta. «Stash sarà arrivato in tempo per tenerti la mano e tutto il resto».

«Oh,sì. Ma è arrivato che ancora non mi avevano fatto l'epidurale» rispose lei. «Così, dopo Virginia, si è beccato anche la mia, di crisi isterica. Vivì è nata solamente sette ore dopo».

Scesero dalla vettura e Tish prese nuovamente tra le braccia la bambina.

«Avresti dovuto vederla» sussurrò, così piano che Alberto fece fatica a sentirla. «Era meravigliosa, e chiamarla Virginia mi è sembrato il minimo. Così, niente nomi molto serbi».

«Mi sembra una storia bellissima» mormorò lui, seguendola.  «E, avevi ragione, non potevi chiamarla in altro modo».

Tish gli sorrise, radiosa.  

«Credo sia stato il giorno più bello del mio matrimonio» disse, affrettandosi verso l'entrata.

Me minus youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora