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Sono nella mia stanza di cemento. Rannicchiata sul letto, con le ginocchia che mi toccano il seno. Singhiozzi leggeri mi riscuotono, facendo sussultare ogni parte del mio corpo. Alzo gli occhi verso una delle tante telecamere e lancio uno dei miei sguardi più feroci, ma non mi cambia molto la vita. Mi alzo dal letto e mi trascino per la stanza, urlando, frustrata. Mi siedo a terra sfinita e batto i pugni contro le pareti, facendomi male. Sangue di un rosso intenso cola dalle mie nocche, sporcando tutto ciò che ostacola la sua strada. Sospiro, portandomi le mani al petto, massaggiandomele. D'un tratto il solito cassetto si apre. Sussulto, per il rumore improvviso e, intimorita mi avvicino ad esso. Vi trovo una scatola di fiammiferi e un mio poster. Con la frase "Io non ho paura di niente." L'ho detta durante un'intervista, non avevo seriamente paura di nulla quando ero al sicuro. Forse perché SAPEVO di essere al sicuro. Ma non del tutto. Prendo il poster arrabbiata e lo scaglio contro il muro, urlando imprecazioni di ogni tipo rivolte al ragazzo dai capelli ricci. Dopo poco miliardi di scarafaggi escono da una botola, la stessa da cui esce il vapore. Urlo, cercando un riparo dalla pioggia viscida di scarafaggi. Appena iniziano a diventare troppi, scavalcano sul mio letto, riempiendomi i piedi. Mi dimeno, cercando di liberarmi dalla morsa viscida. Non vedendo più il letto, metto un piede dove non dovrei, inciampando e cadendo nel mare di scarafaggi, che mi inghiottono.

Mi sveglio e sono nella solita cella, sulla solita poltrona nera in pelle, legata come, ovviamente, ogni santa volta. Delle lacrime non vengono trattenute, liberandosi sulle mie guance rosse, scosse da tremolii di paura. E di disgusto. Il mio rapitore entra dalla porta. Non è incappucciato, stranamente, e indossa un paio di jeans attillati e una maglia nera, stretta e leggermente strappata, che lascia intravedere il torace e l'addome. Mi dimeno sul posto, facendogli comparire sul viso un ghigno di scherno.

-Sei solo un pazzo! Uno psicopatico! Perché cazzo proprio io? Eh? Spiegamelo! Avanti!-

Urlo istericamente, dimenandomi sulla sedia, con scarsi risultati. Il suo ghigno non fa che allargarsi. Si avvicina a me con passo lento, accarezzandomi con le dita, lunghe e sporche di sangue, una guancia.

-Anche io voglio divertirmi nel mio lavoro. Proprio come fai tu!-

Ride, oscenamente.

-Tu sei pazzo! Sei proprio fuso!-

Gli ringhio.

-Cosa vuoi? Soldi? Vuoi i miei soldi? Te li darò tutti se vorrai, ma ti prego, lasciami.-

Le mie urla di rabbia si trasformano in suppliche, piene di angoscia e paura. Il suo viso si contrae in un espressione di disgusto e di irritazione.

-Siete tutte uguali. Pensate sempre che la felicità di un uomo si possa solo comprare. Perché?-

Mi afferra le guance tra il pollice e l'anulare, facendomi gemere di dolore e di disagio.

-Non volete capire che un uomo si diverte con cose che non si possono comprare?-

-Ah, perché si divertono con cose che rubano, giusto, non ci avevo pensato!-

Gli urlo in faccia, liberandomi dalla sua presa. La sue espressione si fa, se possibile, ancora più arrabbiata. Mi ringhia contro avvicinandosi pericolosamente al mio viso, per mollarmi una sberla.

-Non ho rubato nulla, mi sei sempre appartenuta!-

Urla, istericamente, dandomi una seconda sberla.

-Prendo solo ciò che è mio!-

Lo fisso, esterrefatta.

-Si può sapere che cos'hai in testa? Non ti ho mai visto fino ad ora, non ti conoscevo fino ad ora e ora dici che vuoi riprenderti ciò che è tuo?-

Gli urlo, irritata.

-Ti ho sempre osservata. Io ci sono sempre stato, sempre. Ti ho sempre controllata, ho fatto in modo che nessun ragazzo ti si avvicinasse apparte me. Mi appartieni, come te lo devo fare capire?-

Sbraita, colpendo il bancone in ferro con un pugno. Sussulto, tremando sulla sedia. Cerco di farmi piccola sulla sedia, forse cerco addirittura di scomparire, ma il suo sguardo mi brucia la pelle, come acido.

-Ora, dato che hai fatto la cattiva bambina, ti dovrei punire, non trovi?-

La sua espressione riprende la solita smorfia sadica. Scoppio a piangere dimenandomi, non perché non voglio soffrire, più che altro per non dargliela vinta. Sono sempre stata così, come mia mamma mi ha insegnato. Non pensare a ciò che perderai a causa degli altri, pensa a come non farti portare via ciò che ami. È sempre stata così la mia "filosofia". Non voglio fare vincere un pazzo psicopatico malato di donne. Mi fermo, pensando a un piano per scappare.

Noto delle forbici sul bancone accanto alla mia mano. Non ci posso arrivare. Così faccio l'impensabile. Ciò che mi impedisce di liberarmi è l'osso del pollice. Così, buttando il mio peso sopra al mio pollice, di colpo, me lo rompo. Una lacrima esce involontaria dal mio occhio, e reprimo l'urlo di dolore mordendomi il labbro inferiore a sangue. Riesco a liberare finalmente la mano, così afferro le forbici e mi libero. Mi avvicino al corpo alto e slanciato di Harry e proprio quando sto per conficcare la lama nella sua schiena, avverto una scossa allucinante, che mi fa cadere a terra. Sento una risata sopra la mia testa. Alzo il viso verso il corpo alto di Harry.

-Oh, non sei furba come pensavo. Hai un apparecchio all'interno del tuo corpo da cui puoi ricevere scariche elettriche a comando, con questo.-

Mostra un piccolo e piatto telecomando bianco, ghignando.

-Fai schifo.-

Sputo parole acide, cercando di colpirlo, ma ciò non fa altro che farlo ridere di più.

-Ora ci divertiamo.-

Poco dopo, solo buio.

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