È così arduo, per l'umana specie
oltrepassare l'erculee colonne
della social rassegnazione.
Come ninfee tra gracidanti rane,
ci ritroviamo, sopraffatti,
in feste a cui non vogliamo presenziare.
Neghiamo, con arcobaleni rovesciati,
il desiderio di evasione, rimanendo ancorati
a pentoloni, restiamo per loro.
A penzoloni volteggiano nuvolette
di pensieri, magari la giornata di ieri
o comici scontri tra cavalieri e carabinieri.
Pavidi steli di gelsomino, resistiamo
ostentando, di tanto in tanto,
paonazze espressioni di compiacimento.
Vili annuiamo, con la faccia di cemento,
a futili pettegolezzi, per non sembrare
modeste mondine attorniate da comari.
Cobalto accendino fa capolino: è il segnale.
Sta giungendo il festeggiato, fingendo
mestamente che il momento fosse agognato.
Per l'ultima volta, promettiamo, ci trascineremo
in nere atmosfere, e come corvi al cimitero
gracchiamo coralmente che finisca il Tipitipitero.
Soffioni in mezzo al prato, espulsi dal vicino
è tempo di toglierci dai termosifoni, affrontando
il destino di un gelido Aprile ancora poco estivo.
Abbiam toccato il fondo! Ripetiamo ingenuamente.
Inutile asserirlo, è una menzogna, è un pendolo
la vita e oscilla tra solerzia, e pubblica gogna.