Capitolo 2 - Danza degli Spiriti

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"Non azzardarti ad uscirei Koruru" gli intimò gravemente la madre. Ma il pimpante ragazzino non ne voleva sapere, aveva fin troppo voglia di seguire il padre e raggiungerlo a Danza degli Spiriti. Era ormai notte fonda, il sentiero irto di belve ferali e di spiriti vendicativi, non di certo il posto per un bambino indifeso. Ma Koruru era testardo. Attese che sua madre e i suoi undici fratelli si assopissero nella stanza comune e sgattaiolò all'aperto, venendo accolto dai refoli di vento gelido che si infransero come slavine contro i suoi nudi polpacci.
La luce delle stelle languiva nel cielo nero mentre ululati sinistri giungevano tra gli spazi oscuri degli alberi che avevano rami così spogli e rinsecchiti da sembrare tentacoli infernali provenienti dalle viscere della terra. Ma Koruru non si perse d'animo, si avvolse in una lercia coperta di lana e proseguì per il sentiero, perdendosi tra il rumore delle frasche grigie che si frantumarono sotto il peso del suo gracile corpo. Di tanto in tanto, un bramito più intenso proveniente dalla foresta gli provocava un sussulto, portandogli alla mente la storia di Houki, il suo dodicesimo fratellino, morto prim'ancora che lui nascesse sbranato da uno dei Lupo Canis della zona. Il Bosco dei Lamenti così come era chiamato, era un luogo dove a comandare era la natura selvaggia, con l'uomo relegato ruolo di ospite di passaggio indesiderato. E la natura non faceva niente per nasconderlo: non era infrequente che si incrociassero corpi in putrefazione per quel sentiero, resti degli attacchi degli animali selvatici o del clima glaciale del posto. Un luogo oscuro, immerso in un'atmosfera sinistra e terrificante, dove per ogni percorso era possibile osservare il dilatarsi repentino di immense zone d'ombra. Si percorreva una di quelle strade e si aveva la sovente sensazione che lì si fossero consumati i rituali più occulti, le magie proibite, gli orrori più indicibili. Ma Koruru non voleva credere a quelle storie. Sapeva che erano leggende macabre e la paura degli uomini che ne derivava nient'altro che una semplice suggestione.
Fu a circa metà del percorso quando  iniziò a patire la stanchezza. I suoi piedi erano vicini all'ipotermia, il vento gli sferzava sul volto sebbene questo fosse quasi totalmente riparato dalla coperta. A un tratto ebbe l'impressione che il mondo si fosse attorcigliato su se stesso formando un caleidoscopico vortice grigio: vedeva le stelle languire, gli alberi più spettrali, percepiva il sentiero sempre più amorfo e scivoloso. In quel momento sarebbe bastato così poco per lasciarci la pelle.. pensò. Ma ormai era vicino alla meta, infatti sentiva già il vociare dei primi uomini in marcia, anch'essi intenti a raggiungere Danza come ogni notte. La cosa che gli causò un inaspettato conforto. Rinfrancato, quindi, proseguì il cammino, a passo sempre più svelto. Pensava di essere ormai quasi giunto a destinazione quando scivolò su del muschio formatosi per via della pesante umidità. Il povero ragazzino ruzzolò come una palla di neve giù tra la schiera degli alberi, alla sinistra del sentiero, capitombolando nelle profondità di un dirupo sassoso che sembrava non avere fine. Durante la caduta, il suo corpo si infranse contro pezzi di roccia sporgenti. Sentì un dolore insopportabile, prima alla schiena e poi alle ginocchia, probabilmente dovuto allo sfregamento contro le rocce che spuntavano dalla parete inclinata.
Il mondo fini di attorcigliarsi e infrangersi contro di lui quando arrivò giù, a valle. Era ancora vivo, sebbene lercio di terreno e sangue. Ma i suoi occhi erano ciechi e l'oscurità aleggiava intorno a lui lasciandolo perso e disorientato. E doveva aspettarselo: non era più sul sentiero illuminato dalle timide stelle. Era sprofondato nel ventre della foresta di Danza degli Spiriti, e le leggende più inenarrabili si sprecavano su quelle oscure profondità. Il ragazzino provò subito a fuggire da quel luogo terrificante e provò ad arrampicarsi sull'inclinato versante di terra e pietra, ma il dolore alla gamba gli pulsava in maniera infernale e ciò non gli permetteva di scavalcare e tornare sul sentiero. Ebbe l'impulso di piangere, così come avrebbero fatto tanti ragazzini della sua età, persi e impauriti nella bocca delle tenebre. Ma lui no. Si ostinava ad essere forte, così come gli aveva insegnato il suo coraggioso padre, Jalte. Così prese la sua coperta malridotta - che fortunatamente nella caduta gli si era afflosciata accanto - e cercò di chiudere la ferita al ginocchio destro, un pastrocchio di sangue e carne che sicuramente gli avrebbe lasciato una vistosa cicatrice. Si adoperò nel migliore dei modi, ricordando gli insegnamenti della madre e le parole sicure del padre che gli tornavano alla mente proprio nei momenti di difficoltà.
Aveva ormai stretto il nodo intorno alla ferita quando sentì un ringhio profondo alle sue spalle. Un verso infernale già sentito nei suoi incubi. In quel momento Koruru si impietrì. Sapeva di aver risvegliato qualcosa di oscuro e ostile, forse uno dei tanti mostri narrati nelle leggende del posto. E per questo, non osò voltarsi. Col senno di poi, avrebbe preferito essere nel tepore del suo letto, accanto ai suoi fratelli e sua madre al sicuro. Maledisse se stesso di aver abbandonato quelle rassicuranti quattro mura che componevano la sua casa. Il verso minaccioso salì d'intensità. Sentì il passo pesante dell'entità animalesca avvicinarsi languida alle spalle. Senti il musò lambire prima il suo orecchio, poi la sua nuca, e infine un afrore fervido e famelico che gli inumidì il collo. Koruru iniziò a pregare. Pregò Nestor il Valoroso di materializzarsi e di metterlo in salvo, ma sapeva che quel pensiero fosse assolutamente irrazionale. Nestor, d'altronde, era solo un personaggio di antiche leggende, spesso esagerate. Allora iniziò a piangere. Ora sì. Ma non un pianto ininterrotto, solo una lacrima gli solcò la guancia pervaso com'era dalla malinconia, al terribile pensiero di non abbracciare più sua madre, i suoi fratelli, suo padre Jalte, senza avergli dato un ultimo e sentito abbraccio. La belva spalancò le fauci, lui era ancora di spalle ma lo capì lo stesso: sentiva la bava inumidirgli il capo, e poi.. il sangue. Sangue nero. Guardò le sue mani in preda allo shock: erano nere e viscide. Dopo un attimo capì: il sangue non era suo. Si voltò di scattò, per capire  e vide la testa della belva belva, un lupo di media statura, decapitata di netto. La lama che l'aveva tranciata apparteneva ad un uomo coperto in volto da una maschera di ferro arrugginita con due sottili fessure per gli occhi. Il petto del guerriero era nudo nonostante il freddo di quella notte. Koruru non riuscì a vedere nient'altro. L'oscurità era troppo fitta, e a quella notte c'era anche la nebbia a far loro compagnia. Koruru vide la testa dell'animale ruzzolare sul terreno, non riuscì ad articolare nessuna frase, il terrore non gli era stato ancora dissipato del tutto. Si limitò a fissare attonito la testa dell'animale mozzata e la pozza di sangue nero spargersi nei suoi pressi.
L'uomo mascherato gli si avvicinò. Koruru lo guardò timoroso ed ebbe l'istinto di scappare. Ma non lo fece. L'uomo mascherato lo caricò semplicemente in spalla. Poi, iniziò a scalare il versante pietroso con la forza di un solo braccio, con il ragazzino ben saldo nell'altra. Nella salita, posto di traverso, Koruru notò che l'uomo era vestito con un'armatura pesante che gli percorreva metà del corpo, a protezione del lato sinistro, anch'essa di ferro arrugginito. Ma questo non frenava la sua inarrestabile scalata. L'uomo aveva una forza e una determinazione fuori dal comune e, ad ogni bracciata, Koruru sentiva il tocco ferroso e gelido dell'armatura affondare nel suo delicato ventre. Pochi secondi e furono di nuovo sul sentiero. L'uomo mascherato non fece troppi complimenti e gettò Koruru come un sacco di patate a terra.
"Ahi!" esclamò Koruru ancora di poche parole.
"Ora puoi continuare da solo" la voce dell'uomo misterioso era atona e profonda.
"La tua gamba non è rotta, ma gonfia per via delle escoriazioni" rassicurò il ragazzino vedendo che si tastava il ginocchio.
"Ti consiglio di seguirmi nel Bosco dei Lamenti, ragazzino. A meno che non voglia farti divorare da qualche bestia" avvisò cupamente prima di voltarsi e riprendere la marcia senza curari della decisione del ragazzo. Koruru non indugiò e, anzi, seguì l'uomo a grandi passi, dritto nel Bosco, la meta che si era prefissato prima di quello sventurato imprevisto.

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