Aeroporto di Ginevra

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-Passaporto, prego- disse una voce nella confusione. L'ufficiale della dogana la guardava con sguardo vacuo e annoiato. Helene studiò i suoi tratti: non sembrava francese e nemmeno tedesco, forse aveva origini italiane? Gli occhi erano scuri e le sopracciglia leggermente ingrigite. Sotto il cappello di ordinanza scompariva completamente la pelata liscia che rifletteva la luce del neon nell'hangar.

- Helene Duval? - chiese per conferma l'ufficiale.

-Esatto- sorrise nervosa Helene. Si tolse il ciuffo di cappelli castani che le era scivolato davanti agli occhi. Si sentiva tutta la bocca secca: non amava viaggiare da sola. In realtà non aveva mai viaggiato da sola prima di allora. Sentì i segnalatori acustici di un trasporto bagagli che individuò poco fuori dalle vetrate retrostanti il controllo passaporti.

-Aeroporto di provenienza? - chiese l'ufficiale timbrando il passaporto.

- Bruxelles - disse Helene tornando a concentrarsi su di lui.

-Ha già prenotato il volo di ritorno? - c'era sempre una nota di malinconia nella sua voce che le faceva quasi più tristezza che paura. Si chiese quanto fosse noioso stare lì tutto il giorno a chiedere le stesse cinque o sei domande ad ogni viaggiatore.

-Non ancora - ammise Helene.

-Quanto tempo pensa di rimanere a Ginevra? - chiese l'ufficiale.

- Una settimana- aggiunse Helene fiduciosa. Non voleva restare un giorno di più. Voleva essere a casa per il weekend: aveva già programmato un bel giro di shopping in centro con le amiche.

-È qui per lavoro, giusto? Vedo che il biglietto è stato acquistato dalla SIDC di Bruxelles- chiese ancora l'uomo.

- Esatto- confermò Helene impaziente. L'ufficiale completò alcuni campi sul terminale davanti a lui, quindi le ripassò il passaporto. Helene fece un sorriso. Lo salutò cortesemente. Prese il trolley e il portatile e seguì la folla di viaggiatori in uscita. Il tunnel in cui si trovavano fece alcune deviazioni poi sbucò nella sala centrale dell'aeroporto.

Helene si perse un attimo nella luce incerta che proveniva dalle vetrate. La sala che aveva davanti era abbastanza anonima, ma pulita, funzionale e luminosa. Cercò subito i monitor degli arrivi. Appoggiò il portatile sul trolley e studiò lo schermo. Il volo della sua responsabile sarebbe atterrato nell'arco di una ventina di minuti. Nessun ritardo per il momento. Sospirò rinfrancata: aveva almeno la speranza che non scendesse dall'aereo già irritata. Il suo capo, Federica Santini, era italiana d'origine, professoressa prima, ricercatrice poi ed ora responsabile del centro di ricerca sui campi magnetici nell'atmosfera terrestre (Solar Influences Data Analysis center- SIDC) che aveva sede nel complesso del Royal Observatory di Bruxelles, dove Helene era stata da poco assunta. Era rimasta molto stupita nel venire a scoprire che proprio lei doveva accompagnarla.

Lavorava nel centro di ricerca da meno di sei mesi, era al suo primo impiego dopo la laurea in Scienze Informatiche e non si sentiva per niente in grado di accompagnare il suo capo in una missione tanto importante. Avevano iniziato a collaborare col CERN di Ginevra per testare un nuovo software per l'analisi dei campi magnetici terrestri. C'era un intero team che aveva molta più esperienza di lei nel settore. Helene aveva effettuato test completi di quel programma, conosceva ogni configurazione, ma non si sentiva esattamente in grado di verificarne il corretto funzionamento in ogni sua parte. Altro dubbio che la permeava profondamente era che quel programma non aveva dato grossi problemi fino a quel momento, anzi i suoi test si erano rivelati piuttosto noiosi. Perché improvvisamente era sballato così? E perché il suo capo si aspettava da lei che individuasse e risolvesse il problema? Il CERN non era un qualsiasi centro di ricerca.

Mentre guardava il tabellone degli arrivi scorrere verso il basso non poté fare a meno di chiedersi se quella era una prova per valutare la sua assunzione definitiva che sarebbe avvenuta alla fine dell'anno. Helene non era nemmeno sicura che quello fosse il lavoro più adatto a lei. Certo era interessante, ma era un po' lontano dalla sua formazione e quando quegli studiosi cominciavano a blaterare attorno a lei di variabili di perturbazione si sentiva una bambina di prima elementare capitata per caso nella classe dell'esame di stato. Il prorompente uso che facevano nelle loro analisi di vari tipi di software aveva probabilmente indotto Federica a pensare di assumere un informatico, ma Helene non era del tutto sicura che fosse stata un'ottima idea.

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