Capitolo uno

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Il rumore di uno strappo, e il foglio dove Christine stava scrivendo smise di esistere. Con un sospiro la ragazza infilò tutto nella tasca destra del giubbotto.

Guardò fuori dal finestrino, delusa. La sua scrittura era troppo pesante e macchinosa. A volte si domandava se tutto l'impegno che metteva in quelle storie non fosse che una gigantesca perdita di tempo.

Uno scossone la spinse in avanti con tanta forza da farle quasi sbattere i denti contro lo schienale del sedile di fronte. L'autobus di linea doveva avere molti tagliandi arretrati: l'andatura cigolante era passabile, la cosa che le faceva gelare il sangue nelle vene era la guida spericolata dell'autista.

Finalmente il bus giunse alla sua fermata, lei si alzò in piedi, rimise tutta la sua roba dentro la borsa a tracolla e scese in fretta e furia.

I suoi anfibi sbatterono contro l'asfalto bagnato, il vento freddo le colpì il viso. Le nuvole apparivano ancora minacciose, ma il tramonto all'orizzonte le colorava di rosa, rendendole simili a enormi sbuffi di zucchero filato.

Una delle poche cose che le piacevano di quel posto era il cielo sconfinato, vasto fin oltre i campi di mais e le strade di campagna. Per il resto, la città in cui viveva era uguale alle migliaia di cittadine di campagna che si trovavano nel Maine: chiuse, pigre e con un'eccessiva considerazione di sé. Prese le cuffie gialle che aveva al collo e se le portò alle orecchie. Armeggiò col telefono, facendo partire a caso una playlist.

Camminando sul ciglio della strada, rifletté su tutto il tempo che aveva sprecato a percorrere quel tragitto. Da quanto ripeteva sempre la stessa routine? Era bloccata in una serie di avvenimenti che continuavano a ripetersi all'infinito? A volte le sembrava così. Era per questo che voleva partire.
Se avesse potuto avrebbe portato con sé anche Martha, ma tutto quello che conosceva era in quella piccola, insulsa città. E lei non se la sentiva di strapparla al suo mondo.

Da quando tutto era diventato così estremamente, irrimediabilmente monotono?

Camminò ancora per qualche tratto con le macchine che le sfrecciavano accanto, regalandole l'unico momento vivace della giornata quando erano tanto vicine da metterla sotto, poi a passo svelto imbucò uno dei vicoletti dall'altro lato, staccandosi dal guardrail e attraversando la strada. Il cielo scomparve dietro i palazzi mentre si accendeva una sigaretta.

Nel fumo svanirono le ombre delle persone che, ben nascoste e distanti, sarebbero diventate un problema solo un po' più avanti.

-

La serratura cigolò quando la chiave girò al suo interno e Chris entrò nel suo appartamento.

«Sono qui», disse rivolta alla figura sul divano. Percorse il breve corridoio che la divideva dal soggiorno. La casa era praticamente priva di porte, le stanze erano concentrate in uno spazio relativamente piccolo.

«Ho fame», disse Martha con voce lamentosa. 

«In questa casa c'è un magico luogo chiamato frigo. Ti do il permesso di darci un'occhiata, sai.»

Chris si tolse il giubbino e lo lasciò cadere sul bracciolo della poltrona, prima di avvicinarsi al divano e accarezzare i morbidi capelli della sorella. Per tutta risposta Martha le tirò una manata sul braccio, abbandonando in un angolo il libro che stava leggendo.

Tutto era avvolto nella penombra. Chris accese la lampada che dava sul piccolo salotto: niente tv, solo un divanetto, una libreria e un tappeto color ocra. Tutto il suo appartamento era ricco di colori caldi, detestava i luoghi scuri e poco accoglienti. Martha si stiracchiò, sbadigliando.

«Com'è andata?», chiese, scostandosi il ciuffo bruno dalla faccia.

Scrollando le spalle Chris si appoggiò al divano.

Defeated God || Ticci TobyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora