Capitolo tre

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La zona dove si fermarono era spoglia e periferica, Chris vedeva solo la strada da cui erano arrivati e la rete metallica che, di fronte a lei, divideva l'asfalto dall'ingresso di un bosco. 

Lo spazio era occupato da un complesso residenziale formato da due edifici più un terzo, più piccolo, annesso sul retro. Erano tetri, in disperata ricerca di restauro. I due palazzi davanti non dovevano superare i tre piani di altezza e quello a sinistra era di certo quello peggio mantenuto; molte delle sue finestre erano rotte e mentre si avvicinavano un odore acre di composti chimici incominciò ad appestare l'aria.

Chris venne lasciata sull'ingresso prima che Brian entrasse e scomparisse. Avrebbe ucciso per una sedia: era scalza e faticava a camminare per tutte le botte ricevute.

Masky tirò fuori la pistola e gliela accostò tra le scapole, intimandole con un colpetto di proseguire, e con la mano libera girò la maniglia della porta in vetro. Quella si aprì su una stanza spoglia. Il bancone alla parete faceva pensare che un tempo quella fosse stata l'entrata di un albergo. Per fortuna nessuno era ad accoglierli, pensò Chris. Le urla provenienti dai piani superiori bastavano a farle correre rivoli di freddo sudore giù per la schiena.

«Casa dolce casa», annunciò Masky. Alla sua sinistra si trovava la scala per il piano superiore, nel muro di fronte a lei erano collocate a uguale distanza diverse porte di legno. Mancava l'ascensore.

Guardando meglio, a giudicare dalla forma del pianerottolo, quel luogo non poteva essere un albergo e nemmeno un comune condominio: aveva un aspetto distorto,  il modo in cui tutto era disposto non rispettava alcun criterio costruttivo. C'era qualcosa di sbagliato che non si spiegava, come se la stanza fosse stata costruita per un altro fine.

Diversi passi frettolosi risuonarono sopra di loro, poi il tonfo di un peso che cade, infine qualcosa che viene trascinato.

«Stai tremando». Masky non l'aveva degnata di uno sguardo, ma aveva ragione.

Chris si chiese per quanto ancora sarebbe riuscita a resistere. Il pavimento era sporco di una qualche sostanza che avrebbe preferito non identificare.

E ora? Girò su se stessa lentamente, in modo da non allarmare Masky con movimenti troppo bruschi.

«Volete portarmi dal vostro capo?»

Masky era appoggiato al banco della reception, una gamba incrociata sopra l'altra all'altezza delle caviglie. La domanda doveva essere particolarmente divertente, perché scoppiò a ridere. La sua risata era tetra, bassa, e venne interrotta da due colpi di tosse.

«Ha di certo di meglio da fare che stare dietro a te. Ti incontrerà quando lo riterrà opportuno.»

Si poteva udire un pianto disperato al piano di sopra.

«Bene, fantastico. Dimmi almeno cos'è questo posto.»

Masky ci pensò su. Anche se si trovavano al chiuso si accese l'ennesima sigaretta.

«Mh, suppongo di poterti dire almeno questo.»

Rimise l'accendino in tasca con tutta la calma del mondo ed espirò il fumo. Sorrise. 

«Bene, partiamo col dire che, congratulazioni, ti trovi in un posto e in una situazione di merda.»

Chris si domandò se facesse sul serio. Quando scriveva di persone pericolose o assassini, cosa piuttosto rara, tendeva a descriverli come persone completamente diverse dall'esaurito che aveva davanti.

«Ci arrivo anche da sola.»

«Non interrompermi. Questo è un manicomio, gentilmente concesso dall'Operatore, la creatura di cui Brian ti ha parlato prima... in maniera fin troppo teatrale, oserei dire. Dato che ti vedo spaesata, eccoti una piccola introduzione.»

Defeated God || Ticci TobyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora