Capitolo IV - Il panico e il signor Stark

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CAPITOLO IV

IL PANICO E IL SIGNOR STARK

Lidya non aveva smesso di camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza neppure per un minuto da quando erano arrivati all'alloggio di Stark. E, considerato che ci erano arrivati circa trenta minuti prima, non era poco. Quando gli aveva mostrato quel dispositivo, l'uomo lo aveva fissato per lungo tempo rigirandoselo tra le mani, poi si era messo a sedere e lo aveva poggiato sul tavolo per fissarlo ancora.

Era rimasto perplesso, ma nei suoi occhi Lidya aveva visto quella luce di curiosità che c'era sempre anche negli occhi di Tony: curiosa consapevolezza che, forse ci sarebbe voluto tempo, ma avrebbe capito ogni cosa.

La donna si passò le mani tra i capelli, cercando di tenere a bada il nodo che sentiva in gola, quella sensazione di vuoto che le attanagliava lo stomaco. Con i giusti mezzi, nella giusta era, per Howard sarebbe stato semplicissimo ripararlo; ci avrebbe probabilmente messo meno di un'ora. Ma negli anni 40 non sapeva nemmeno cosa fosse quell'aggeggio e non aveva i mezzi tecnologici che il futuro aveva in serbo per il mondo intero.

Poteva solo sperare che fosse capace di fare qualcosa, se non altro per consentirle di dire a Tony che c'era un problema, che necessitava di aiuto. Di assistenza.

"Allora?" chiese all'uomo avvicinandosi quando lo vide togliersi la giacca. "Può fare qualcosa?"

Stark rimase in silenzio, fissò le fiamme che bruciavano dentro quella specie di camino posizionato al lato opposto della stanza. Sembrava stesse pensando. O forse gli era venuta una paralisi, Lidya non ci capiva più nulla.

"Howard!" esclamò cercando di catturare la sua attenzione.

L'uomo spostò lo sguardo su di lei: era scuro e penetrante. "Adele, può dirmi esattamente che cos'è questo aggeggio?"

Lei pensò a come spiegarglielo senza lasciarsi sfuggire troppo. "È un telefono" disse semplicemente.

"Un telefono?"

"Sì" lei annuì. "Lo so che è molto diverso dai telefoni che conosce ma è... è un prototipo."

"Un prototipo?"

Continuava a ripetere quello che diceva, e per un attimo Lidya ebbe voglia di urlargli di smetterla. "Un prototipo, sì. L'ho avuto da un amico" si mise a sedere per calmare il tremore che sentiva in tutto il corpo. "Sì, vede, il mio amico avrebbe voluto arruolarsi nell'esercito, ma è... zoppo e dunque non ha potuto farlo. La cosa lo ha molto rattristato, voleva davvero fare la differenza, così ha deciso di partire per trovare uno scopo. Ed è finito dove si stava sviluppando il progetto per quel telefono: in Cina."

"In Cina" le fece eco Howard. E parve rendersi conto di essere fastidioso. "Mi scusi, continuo a ripetere quello che dice, ma è perché sono confuso."

Lei respirò a fondo. "Lo so e mi dispiace. Vorrei spiegarle di più ma non posso perché è complicato. Quello che posso dirle è che quell'aggeggio è l'unico mezzo di comunicazione di cui dispongo per rimanere in contatto con i miei cari. E di solito lo lascio nel mio alloggio per evitare ogni tipo di incidente, ma questa sera l'ho dimenticato nella tasca della giacca e sono andata giù al lago e tutti si stavano divertendo ma io mi sono addormentata" gli disse tutto d'un fiato. Lo vide annuire provando a starle dietro. "E poi Clementine è venuta da me e mi ha buttato addosso dell'acqua perché voleva essere divertente e perché non sapeva che avessi il telefono in tasca e così..." si fermò per riprendere fiato. "Sto andando nel panico più totale. Questo è un vero e proprio attacco di panico."

Howard si alzò e sparì dietro una porta, ricomparve dopo pochi secondi con un bicchiere in mano. Dentro c'era del liquido scuro che non seppe identificare. "Ecco, beva questo" le disse porgendoglielo.

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