PROLOGO

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6 anni prima

"Si avvisa la cittadinanza che c'è stata un'evasione dal carcere statale, si prega la massima cautela e di contattare le forze dell'ordine o il numero verde per qualsiasi sospetto, l'uomo è da ritenersi altamente pericoloso, si prega di non compiere azioni sconsiderate-...

Smisi di ascoltare le parole del notiziario che giungevano a me dalla finestra aperta di uno degli appartamenti del palazzo lungo i cui muri stavo strisciando.Cazzo.

La mia faccia era ovuque, dovevo assolutamente trovare un modo di camuffarmi, alla svelta anche.

Presi un respiro profondo dovevo muovermi prestando la massima attenzione, mi tirai su il cappuccio della felpa e mi infilai in un vicoletto.
Lo percorsi in fretta fino in fondo, in lontananza sentivo le sirene spiegate delle pattuglie in avvicinamento. Affrettai ancora il passo, le mani sudate, passavano rasenti al muro in cerca di un'apertura nel buio della notte, una fessura in cui infilarsi, finché non incepparono in quello che stavano cercando.

La porta di un magazzino di un grande magazzino era rimasta socchiusa, probabilmente a causa di una svista di uno dei dipendenti, proprio quello che mi ci voleva. Mi guardai attorno studiando attentamente il luogo in cui mi trovavo, non vi erano né telecamere accese, né allarmi,non sembrava esserci nessuno, più che perfetto.
Sempre sull'attenti, cominciai a vagare tra i diversi scaffali e reparti in cerca di ciò che mi occorresse, vestiti nuovi e puliti, una tinta per capelli, uno zaino, del cibo e qualsiasi altra cosa riuscissi a sgraffignare che potesse essermi utile.
Una volta preso tutto il necessario, mi appartai in un angolo del magazzino, posai le mie cose a terra sul pavimento di cemento, presi la tinta e mi diressi verso il bagno del magazzino.
Le pareti del piccolo bagno erano coperte da piastrelle originariamente bianche ma ora ingiallite, il pavimento, anch'esso piastrellato era invece verde, le mattonelle erano per la maggior parte creapate o rotte. Mi spogliai della maglia, ormai non più bianca, del carcere, la usai per coprirmi le spalle e non sporcarmi con la tinta, le maniche della tuta arancione tipica dei detenuti le legai in vita, preparai la mistura, la applicai e una volta passato il tempo la sciacquai via.
Non mi guardai nel riflesso che restituiva di me lo specchio, non mi importava di che colore fossero diventati i miei capelli, avevo preso la prima scatoletta di colore che avessi mai toccato, non avevo tempo da perdere.
Una volta che furono quasi asciutti i capelli, tornai nel magazzino.
Cacciai la tuta, la maglia e le scarpe in un sacchetto dell'immondizia e gettai tutto nel cassonetto degli impiegati, nascondendo il sacco sotto altri, poi infilai gli abiti nuovi che avevo preso e li infilai nello zaino.
Presi una giacca da lavoro della ditta, un berretto di lana che avevo trovato in giro e dei pantaloni in jeans sgualciti, almeno sarei sembrato un operaio che smonta dal turno di notte.
Assicuratomi di aver preso tutto l'essenziale e averlo posto nello zaino, presi la via per l'uscita e mi rimisi a camminare. Non potevo più restare, non qui, non dove ero stato ferito, tradito, incastrato per un crimine che non avevo commesso. 

Dalla strada, detti un ultimo sguardo alla mia vecchia casa.

Nessuno si sarebbe ricordato di me o di essa, ormai era stato tutto cancellato dai ricordi della gente.
Presto la pecora nera della famiglia avrebbe tolto il disturbo per un po', ma sarebbe tornata come un lupo in mezzo al gregge.

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