CAPITOLO 1

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BLUE

Correvo per le strade, il cappuccio in testa. Stavo andando al mio negozio di dischi preferito, però era quasi ora di chiusura, e temevo di essere in ritardo.
Ci andavo regolarmente, mi piace la musica e quel negozio era una tappa abituale nei miei momenti di tempo libero, adoravo sedermi su un divanetto ed ascoltare i CD o i dischi, o passare le mani tra le centinaia di copertine sugli scaffali.
Peccato che per rovinare tutto, stesse cominciando a piovere.
Quando arrivai sulla soglia del negozio ero tutto bagnato.
Mi scrollai l'acqua di dosso per quanto potessi ed entrai.
Appena oltre la soglia, dentro al negozio calai il cappuccio.
Feci un cenno brusco con il capo per salutare il ragazzo che di solito era dietro al bancone, anche se non mi curai di guardarlo direttamente in faccia, proseguii con la testa incassata tra le spalle e le mani in tasca, tentando di scaldarmi, mi precipitati alle macchinette automatiche per prendermi un caffè o qualsiasi cosa ci fosse.
Il "Record's paradise" era un negozio di musica, vinili e antiquariato piuttosto grande per una cittadina così piccola come Dustfalls.
All'interno, che era perfettamente visibile anche dalla grande vetrata posta sulla strada, erano posti moltissimi scaffali di varie dimensioni, stracolmi di qualsiasi oggetto. Verso il retro del negozio era possibile sedersi su dei divanetti blu, in contrasto con le pareti rosse, posti accanto a dei vecchi stereo e un jukebox, oltre che la mia meta, le macchinette del caffè.
Infilai le monete, selezionai premendo sul bottone e attesi.
Spazientito, dopo un po' comincai a prenderla a pugni e calci perché si era "mangiata" le mie monete.
Mi inginocchiai per controllare se magari si fosse inceppata e riuscissi a sbloccarla, ma poi avvertii una presenza accanto a me e la cosa catturò subito la mia attenzione, rimasi un po' interdetto quando girando la testa a destra, il mio sguardo risalì per delle gambe femminili.
Una ragazza dai capelli rosso fuoco e gli occhi di un verde smeraldo acceso, mi guardava con un sopracciglio alzato e uno sguardo furbo celato dietro le lunghe ciglia.
Tirò un pugno sul lato della macchinetta e subito scesero sia le monete, che il bicchiere di plastica, che poco dopo fu riempito di caffè. Estrassi il bicchiere fumante dallo sportelletto e lo presi tra entrambe le mani, mi rimisi in piedi, scossi le spalle in un brivido, mi avvicinai alla vetrata all'ingresso risalendo per una fila di scaffali.
Girato verso la vetrina, puntavo il mio sguardo fuori, le goccioline scivolavano pigramente all'esterno del vetro.
Sbuffai infastidito.

Ma quando cazzo smette di piovere? Non ho neanche la giacca.

"Che schifo di tempo." Sussurrò lei.
Non l'avevo sentita arrivare, e ciò mi infastidiva non poco, io avevo sempre tutto sotto controllo, ma non mi voltai a guardarla, la percepivo appena fuori dal mio campo visivo, tenni sempre lo sguardo fisso sulle goccioline che scivolavano lungo il vetro,poi lo spostai rimirando le bollicine nella schiuma del mio caffè. Presi fiato.

" Hai proprio ragione." risposi freddo.

Finii il caffè in pochi sorsi, accennai un sorriso tirato, salutai con un cenno e me ne andai.

**********

La pioggia sembrò calmarsi nel pomeriggio, così una volta arrivato a casa ormai zuppo, non mi rimaneva altro da fare se non cambiarmi.
Lavorando come dog-sitter e addestratore cinofilo, dovevo  ovviamente portare fuori i cani delle persone, più il mio schnauzer gigante nero e perfettamente addestrato alla difesa, di nome Devil.

Aprii la porta ritrovandomi il musone di Devil davanti, la lingua a penzoloni e gli occhi che brillavano.
Era felicissimo di rivedermi.
Dietro di lui c'erano gli altri 4 cani, i miei clienti di oggi.
Dopo averli salutati tutti con una carezza, andai in camera per potermi cambiare.
Casa mia, sempre che si potesse definire casa mia, era semplicemente il loft in cui abitavo.
In passato era stata una vecchia distilleria, in seguito poi reinventato ad abitazione, anche quasi troppo grande per una persona sola con il suo cane.
All'esterno i mattoni erano bianchi, all'interno le pareti erano anch'esse in mattoni ma di color grigio chiaro e scuro, le travi di legno a vista sul soffitto e le travi d'acciaio scuro contornavano il tutto, donando all'ambiente uno stile industriale ma minimalista.
Non la sentivo proprio casa, forse non avevo mai sentito niente che potessi definire casa, ma era ciò che poteva andare bene e avvicinarsi a questa definizione il più possibile.
Una volta in camera aprii l'armadio e vi rovistai dentro in cerca di altri indumenti per cambiare,poi mi spostai in bagno per sbarazzarmi di quelli bagnati.
Mentre mi infilavo nella felpa asciutta, vidi di sfuggita il mio riflesso nello specchio.
Non mi specchiavo spesso, non ne avevo il tempo, mi giustificavo così, ma la verità era che forse non ne avevo più il coraggio.
Non amavo vedere il mio riflesso ricambiare il mio sguardo attraverso la superficie riflettente e fredda dello specchio, quindi quando potevo evitare che quegli occhi freddi mi osservassero, lo facevo.
Passai lo sguardo dal viso pallido, dai lineamenti duri e affilati, alle occhiaie violacee sotto gli occhi, per poi finire sui capelli blu-azzurri come il cielo sereno, in netto contrasto con il mio animo perennemente scosso dalla tempesta. Sospirai.
Quella fatidica notte di sei anni prima i miei capelli erano passati da un biondo-castano anonimo al blu-azzurro che portavo tutt'ora.
Uno scaffale di tinte intero a mia disposizione e il fato ha voluto che il  primo colore che andassi a pescare fosse questa maledettissima tonalità di blu.
Sembrava uno scherzo di cattivo gusto giocatomi dal destino.

I ricordi erano sempre pronti a riaffiorire, rintanati appena sotto la superficie della mia pelle,aspettando solo di assalirmi.

Misi il guinzaglio a tutti i quadrupedi e uscii nuovamente di casa e mi incamminai verso il parco per cani.
Dopo aver sganciato dai rispettivi guinzagli tutti i cani e averli liberati nell'area recintata e vuota, la mia mente tornò con il pensiero alla ragazza incontrata nel negozio di CD quella stessa mattina.
I suoi bellissimi occhi color smeraldo mi avevano totalmente immobilizzato, come se fossi stato fulminato sul posto e nonostante fossi ben consapevole di avere un notevole successo e facessi un certo effetto alle ragazze, lei non aveva reagito al modo a cui ero abituato.
Sentii dei passi e lo scricchiolio delle foglie autunnali già cadute mi fece alzare la testa di scatto.

"Ciao Blue" una voce profonda, a me ben nota, mi riscosse dal mio flusso di pensieri.

"Lucifero" Alzai lo sguardo e lo salutai accompagnando le mie parole con un cenno del sopracciglio.

Lucifero Falconeri era il mio migliore amico, anzi, un fratello acquisito, insieme ne avevamo passate di cotte e di crude, era uno dei pochi a sapere tutta la verità, uno dei pochi che mi credeva e appoggiava.
Abitava non molto distante da me ed eravamo anche per quello spesso e volentieri insieme, oltre che per il fatto che "lavoriamo" insieme.
In realtà il suo vero nome era Luca, ma il suo soprannome derivava dal fatto che a volte poteva essere davvero fastidioso e ostinato, così tutti lo chiamavano con quel nomignolo. Anche Luca aveva un cane, Notka, un cane corso, femmina, color grigio piombo con due piccoli occhietti verdi, per cui stravedevo.
Le feci due carezze sulla testa e dietro le orecchie quando venne a salutarmi festosa.

"Hai notizie? È tutto pronto?" domandò sedendosi accanto a me, mentre si portava le mani alla bocca per scaldarle.

"Sì fratellino, che fai, dubiti delle mie doti?" risi, lui annuì.

"Abbastanza. " mi lanciò un'occhiata beffarda, sorrisi, il solito fastidioso Luca.

"Odio tutto questo, lo sai, ma è l'unica strada da seguire."

"Non ti preoccupare Blue, finirà prima o poi"

Blue e i Bloody HippiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora