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•Davide's pov•

Quella ragazza ha il potere di metterti ansia per qualsiasi cosa, anche se tu fossi la persona meno ansiosa del mondo. Al contrario di quanto mi ha scritto lei, non sono per niente tranquillo; ogni volta che mi fermo a un semaforo, mi ritrovo a muovere su e giù la gamba per l'ansia di sapere cosa mi deve dire la mia ragazza.

Dopo un tempo che a me è sembrato infinito, mi trovo davanti alla porta di casa; in questo momento, sono un fascio di nervi. Durante il viaggio ho provato a cercare di capire cosa potrebbe dirmi fra poco, ma non ne ho proprio idea. Mi ha scritto che per lei è una cosa bella; e questo basta per rendermi felice perché, se lei è felice, lo sono automaticamente anch'io. Sembrerà una frase fatta, ma è sempre stato così il nostro rapporto: se lei è triste, lo sono anch'io; se lei è felice, lo divento automaticamente anch'io e viceversa.

Ma adesso è arrivato il momento di sapere la verità; il rumore delle chiavi sembra risvegliare il mio cucciolo peloso, che è il primo ad accogliermi all'ingresso. Chiudo la porta e, dopo aver salutato per bene Gohan, mi dirigo in soggiorno, con la speranza di trovarci la mia ragazza che non si è ancora palesata. Ora che ci penso, in effetti, in casa c'è fin troppo silenzio.

Entrando in soggiorno, con mia grande sorpresa, non trovo Isabella seduta sul divano come al solito; al contrario, ci trovo una bambola fin troppo conosciuta. Mi avvicino per osservarla meglio, anche se già sapevo che era la bambola che feci comprare ai miei per regalarla a Sara. Noto con mia grande sorpresa che, accanto alla bambola, c'è un fogliettino sul quale riconosco la calligrafia di Isabella. Lo prendo in mano per leggerlo e, mentre gli occhi scorrono su quel fogliettino, mi viene da ridere al pensiero di cosa non ho fatto pur di far comprare ai miei quella bambola.

«Ciao zietto, ti ricordi di me?  Sono proprio la bambola che scegliesti appositamente per tua sorella. Un uccellino mi ha detto che hai fatto disperare i tuoi genitori per giorni, ma alla fine sei riuscito a convincerli a farti quel favore comprandoti la bambola. E quindi, eccomi qua! Adesso starai sorridendo, quindi ti chiedo di fare una cosa: continuando a sorridere, vai nella stanza in cui mi trovo solitamente, ci potrebbe essere un'altra sorpresa per te!!!»

Dopo aver riletto un'altra volta il fogliettino, mi scende qualche lacrima per la nostalgia nel ricordare la mia infanzia e tutti i momenti passati con Sara. Ed è pensando a questi momenti che mi dirigo verso la camera che era di Sara - quando ancora viveva insieme a me, stanza in cui teniamo gli oggetti che ci hanno accompagnato durante la nostra infanzia, caratterizzandola e rendendola speciale.

Sul comodino accanto al letto spicca un peluche che conosco bene, molto bene: un orsacchiotto con la divisa del Milan che mi era stato regalato da mia sorella il giorno precedente alla mia prima partita, l'anno in cui avevo iniziato a giocare a calcio. Lo consideravo il mio migliore amico, credevo che parlare con lui mi aiutasse a risolvere quei problemi che un bambino di appena sei anni considera gravi. Mi riprendo dai miei pensieri e noto un altro bigliettino di fianco all'orsacchiotto.

«Ciao Davide, ti ricordi ancora di me? Ero il tuo migliore amico, come amavi definirmi tu (e adesso, sono stato sostituito, quindi sappi che dovrai farti perdonare!); sono sempre stato il tuo peluche preferito e, proprio per questo, mi portavi sempre con te ovunque andassi. Avevo un posto ben definito: mi mettevi in una delle tasche laterali del tuo borsone da calcio (povero me, chissà che puzza!!!). Sei sempre stato un bambino curioso e sarai curioso anche in questo momento; se non sei stupido, avrai già capito in che posto si trova la prossima sorpresa.»

Ne ho passate tante con quel peluche; è sempre stato il mio portafortuna. Lo portavo sempre con me perché pensavo che, stringendolo prima di entrare in campo, mi aiutasse ad essere più forte. Il suo posto era in una delle tasche laterali proprio perché, per paura di dimenticarlo a casa, lo lasciavo direttamente nel mio borsone. Isabella se lo ricorda bene perché, quando ci siamo conosciuti, avevo in mano quell'orsacchiotto e, negli anni successivi, il suo posto era diventato su una mensola in camera mia.

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