Prologo

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Quando riesco di nuovo ad aprire gli occhi, all'inizio, c'è solo buio. Il mio corpo fuma ed è terribilmente indolensito per l'impatto ma la vita alberga ancora in esso. Non era affatto scontato dopo quella terribile caduta. Quanto ho percorso alla velocità della luce? Decine di chilometri? Centinaia di chilometri? Migliaia di chilometri? Non so quantificarla ma è una distanza enorme per chiunque. Persino per me.

Appena riacquisto la vista, cerco di dirigere lo sguardo il più in alto possibile, al di là della coltre lattiginosa delle nubi, al di là del cielo stesso, ma non riusco a distinguere nulla, se non le stelle e l'infinita oscurità. L'altro mondo, quello da cui provengo, è celato alla mia vista. È chiaro che non posso tornarci. Ho perso tutto. Ho perso lei...

Mi mise a sedere con estrema fatica e la mia vista si annebbia di nuovo per un istante. La mia testa ribolle quasi quanto la terra sotto le mie mani. Mi chiedo seriamente come ho fatto a non spappolarmi. Non ho mai provato un dolore simile fin'ora. Anzi, per essere precisi, non ho mai provato il dolore. È una sensazione nuova e non mi piace.

Dopo numerosi sforzi riesco ad alzarmi in piedi e inizio ad esaminare la nuova realtà che mi circondava. Mi trovo sul fondo di un cratere. Devo averlo creato cadendo. Ovunque mi giro non vedo altro che vette alte, aguzze e inospitali.

Una fitta pioggia comincia a cadere sopra di me e sperimento un'altra nuova sensazione: il freddo. Solo allora, realizzo di essere completamente nudo: la mia candida veste deve essersi bruciata durante la caduta. Cerco di riparmi dentro un crepaccio abbastanza ampio da contenermi ma, poi, rammento che ho ancora le ali. Posso volare e vedere se, oltre quelle orrende montagne, vi è qualche traccia di vita. 

Sguscio fuori dalla fenditura del terreno e salgo su una piccola altura. Una pozzanghera, che si va formando  lì sotto, mi restituisce il mio riflesso. Noto con orrore che i miei capelli, un tempo biondi e lucenti come l'oro, ora sono rossi mentre le mie ali, le mie meravigliose sei ali bianche come la neve, sono più nere di una notte senza luna. Stringo i pugni e le muovo aspettando di librarmi leggero nell'aria, come ho sempre fatto. Invece i miei piedi, sporchi di fango, rimangono incollati a terra. Sulle prime, penso di non aver aperto abbastanza le ali e provo di nuovo, con più energia. Inutile. Abbasso lo sguardo, orripilato  e sento la rabbia montare dentro di me. Alzo gli occhi al cielo e urlo con quanto fiato ho in corpo: «Lo trovi divertente?»

Silenzio.

«Lo so che sei lì a goderti lo spettacolo! Dimmi, sei compiaciuto? Rispondimi!»

La risposta che attendo non giunge. Mi sento ancora più solo e disperato.

Le lacrime mi solcano il volto mescolandosi alla pioggia. Odio l'Altissimo, odio il mio nuovo aspetto, odiavo quel postaccio puzzolente in cui sono finito, odio il fatto di non poter più volare, odio sentirmi la più disgraziata delle creature. E... Dov'è adesso lei? Si trova qui, da qualche parte? È in pericolo? Riusciremo a ritrovarci?

Poi inciampo e cado in basso per diversi chilometri. Sbatto la nuca contro la roccia ed è di nuovo buio...

DannatoWhere stories live. Discover now