Cap.02-La gentilezza di papà

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Scattante come un piccolo leprotto Fallon prese le scale per andare al piano di sopra e con la sua grazia da bimbetta
impacciata, all’ultimo gradino inciampò facendo sbattere il povero Pocho contro il freddo marmo.
«Scusami Pocho, starò più attenta la prossima volta.» Come se al pupazzo senza terminazioni nervose importasse qualcosa.
Percorse a ritroso il corridoio avviandosi verso la porta della camera adiacente alla propria. Vi si fermò davanti bussando a
ripetizione e tuonando ritmicamente il nome del fratello, che da dentro la stanza, con ogni probabilità, stava imprecando.
«Tom, Tom, Tom, Tom…», febbricitante nella sua attesa saltellava per imprimere ancora più forza ai molesti colpi sulla porta.
«Arrivo! Ho già sentito alle prime quattrocento. Un attimo!»
Una voce bianca rispose dalla camera. La porta si aprì su un ragazzino di circa undici anni dai capelli neri e gli occhioni azzurri,
svegli e sempre pronti a scattare; l’espressione di Tom lasciava intendere che si fosse appena svegliato, con un abbozzo di bavetta a pendere dalle labbra. Il pigiama azzurrognolo e bianco con disegnati i protagonisti principali di Ken il guerriero, era stropicciato e degnamente provato da una notte di dormita.
«Allora cosa c’è?» Il suo sguardo si posò sulla bambina alta poco meno di un metro.
«Volevo provare il regalo che ti hanno dato ieri, la console da giochi. Posso?» Aprì le braccia volgendo le mani verso il cielo,
con un sorriso a trentadue denti schiaffato sul volto, mentre
Pocho prese a cadere scivolando dalla sua presa per finire inerme, steso a terra.
Tom voleva bene alla sorella, sapeva tutto quello che stava passando, gli anni di differenza erano solo cinque, ogni giorno
ancora giocava con lei, sapeva che non aveva amici e che aveva fatto incetta già alla nascita di problemi mentali e fisici. Per lui
rimaneva sempre quella disgraziata piccola peste che tanto adorava.
«Sì, Terremoto. Entra, dai.» Le sorrise aprendo maggiormente la porta per lasciarla passare. La piccola, dopo aver recuperato il pipistrello di pezza, si diresse verso il televisione a tubo catodico
che il fratello aveva appoggiato sopra a un mobiletto a rotelle d’innanzi al letto. La console era già collegata, segno che Tom
aveva giocato la sera prima, probabilmente fino a tardi, conoscendolo.
Vi si sedette davanti avendo cura di far sdraiare Pocho sul letto in una posizione bella comoda, con tanto di cuscino sotto alla testa.
«Allora giochiamo?» Incrociò le gambe e fissò Tom con i suoi enormi occhioni verdi messi in risalto dalla capigliatura che aveva un tocco di tutto, fuorché di principesco: un intreccio di capelli morbidi e ondulati di un bel castano scuro; peccato che ogni
ciuffo andasse per affari suoi donandole più un aspetto da figlia della befana; non che Alexandra non lo fosse.
Tom prese un profondo respiro di rassegnazione e la raggiunse per sedersi accanto a lei.
«Ho solo un gioco, mamma e papà mi hanno preso solo questo per ora,» allungò la mano e con un sorriso da ebete, prese una
scatola di legno posta di fianco alla console e ne estrasse una custodia grigiastra con sopra riportata una macchina rossa
fiammante, «si chiama Auto-Turbo, guidi una macchina e vai in giro a fare gare.»
«Ma che noia!» Disse la bambina gonfiando le guance in segno di dissenso.
«A me piace! Comunque abbiamo solo questo, quindi ti attacchi.» Le sorrise, tentando di mantenere la calma.
Fallon si lasciò cadere sul letto guardandosi la manina e sfiorandosi l’indice della mano sinistra con le dita della destra. Lo sguardo assente, quasi perso nel vuoto, ma soprattutto triste.
«Lo so, non vorrei nemmeno disturbarti in realtà. Mi annoio molto. Papà lavora sempre e la mamma non vuole mai giocare
con me. Tu sei l’unico.» Si mise su un fianco mordendosi velocemente l’interno della guancia, per poi rimettersi a sedere
cercando di guardarlo negli occhi.
«Se almeno mi avessero regalato il cavallo, o anche altro, non mi importa...insomma se avessi altro da fare non ti disturberei...»
Tom sapeva benissimo di cosa la piccola stesse parlando. Fallon per il suo quinto e sesto compleanno aveva chiesto sempre la
stessa cosa: un cavallino giocattolo telecomandato dal valore di venti sterline. Ai suoi cinque anni il padre glielo voleva comprare ma la madre si oppose, rimandando il tutto per l’anno successivo.
Così, per il quinto compleanno, Fallon non ricevette nulla, tranne, una scatola di dolcetti alla frutta che Derek le portò in camera, di nascosto.
Per il sesto compleanno si ripropose la stessa solfa, nonostante il prezzo del medesimo oggetto di interesse fosse ulteriormente calato a diciassette sterline e certo non sarebbero state quelle a far
andare economicamente in rovina la famiglia. Con l’opposizione di mamma Alexandra nemmeno papà Derek poté farci nulla.
Ma quell’anno Fallon ricevette ugualmente due regali, uno deciso dalla sorte: una bella settimana di intervento in ospedale
per il suo cuore malmesso, il secondo, invece, molto più gradito, un piccolo braccialetto, perfetto per lei, con un ciondolo a forma di zucca che di notte si illuminava. Non se lo toglieva mai e aveva
tutte le intenzioni di tenerselo al polso finché ve ne era la possibilità. Regalatole da un “simpatico” demonietto che avremo
l’onore di conoscere più avanti.
«Però mamma ha detto che l’anno prossimo me lo prenderanno, quindi sono felice perché so che sarà così.»
L’accenno di lacrime della bambina sparì e sul suo volto comparve un’espressione di spensieratezza e fiducia. Una fiducia
degna di una bambina inesperta che ancora non aveva avuto modo di impattarsi con il mondo della menzogna.

Giocarono per circa un’ora, uno di fianco all’altra, ridendo e scherzando; schernirono la grafica 8bit del gioco dicendo che se 
quella fosse stata la vera rappresentazione della realtà avrebbero preferito diventare ciechi

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Giocarono per circa un’ora, uno di fianco all’altra, ridendo e scherzando; schernirono la grafica 8bit del gioco dicendo che se
quella fosse stata la vera rappresentazione della realtà avrebbero preferito diventare ciechi.
«Oh, caz..cavoletto, sono le 9:10 tra poco devi andare dallo psicologo, non è meglio se ti cambi Terremoto?» Cercava sempre
di trattenere le parolacce quando era in sua presenza, dato che Fallon era una spugna (per le cazzate). L’unica volta che aveva
pronunciato la parola “cretino” davanti a lei se ne era pentito amaramente poiché la piccola subito dopo averla sentita, presa
dall’euforia di aver imparato un termine nuovo, era corsa al piano di sotto gridandolo a squarciagola, intanto che girava intorno ai genitori.
Inutile descrivere la pesante sgridata e la conseguente punizione che il ragazzo ricevette dei genitori. Forse quello fu
l’unico momento della sua vita durante il quale avrebbe strozzato sua sorella.
«Sì, sì. Ora mi cambio. Andiamo Pocho?» Osservò il pupazzo in attesa di una risposta, quando questa arrivò (solo nella sua testa), lo prese per mano avviandosi fuori dalla camera. Corse lungo il corridoio, ma prima di raggiungere la porta del bagno una mano dalla stretta ferrea poco clemente le afferrò il braccio. Si voltò immediatamente colta da un brutto presentimento. La madre era in piedi dietro di lei con un’espressione seria e le labbra corrucciate in una smorfia di disapprovazione.
«Sbaglio o ti avevo detto di metterti almeno i calzini? Ti avevo anche detto di essere pronta, alle 9:30 hai la visita! Dannazione
sei ancora in pigiama!» Le parole secche arrivarono all’orecchio di Fallon come della lame, tanto che strinse a sé Pocho con molta forza facendo aderire il viso dell’essere al proprio petto.
«Scusami mamma, ora corro e mi cambio immediatamente. Scusami.» Chiuse gli occhi aspettandosi uno schiaffo, che però
non arrivò. La presa si allentò e l’espressione della donna lasciò
spazio allo stupore. Alexandra aveva una mano possente poggiata sulla spalla e la figura di un uomo sulla quarantina con i capelli neri arruffati e gli occhi zaffiro, la sovrastava dall’alto. Il viso
dell’uomo non era affatto contrariato ma chiuso nel sorriso più dolce che si possa immaginare.
«Tesoro, Fallon ora si cambia. Non è vero mio piccolo Tsunami?» L’uomo volse lo sguardo alla sua bambina, la quale
per tutta risposta fece spazio a un sorriso dolcissimo sul proprio volto, rilassando i muscoli delle braccia in modo che Pocho
potesse tornare a respirare.
«Ciao papà.» Corse verso di lui spiccando un salto nella sua direzione, il quale la prese in braccio e la cinse al proprio petto.
Derek voleva molto bene a sua figlia, anzi voleva bene a tutta la sua famiglia. Era un uomo buono e anche estremamente bello;
il suo viso era rovinato solo da delle profonde occhiaie che segnavano costantemente la sua stanchezza fisica.
Le accarezzò una guancia con le nocche e le depositò un dolce bacio sulla fronte, gesto che fece riempire di gioia il cuore di
Fallon.
«Ciao piccola mia. Allora ora vai a cambiarti e dopo la visita ti porto a prendere un bel gelato che ne dici?» Le parole dolci
accarezzavano i timpani della piccola e lenivano il tono freddo e tagliente che la madre le aveva rivolto poco prima. Derek la mise a terra e la bimba fece un cenno di assenso con la massima convinzione.
«Corro papà!»

The Curse Of Death 1- Il Giuramento dell'ImperatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora