Il regalo

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Quando sono frustrata scrivo.

E quando scrivo metto giù tutto ciò che ho dentro.

Ogni pensiero, sentimento e persino immagine vengono messe per iscritto.

È per questo che per il compleanno avevo chiesto un diario.

Ed è proprio ciò che ho ricevuto: la copertina nera, di cuoio, con una targhetta posizionata in alto con su scritto il mio nome; le pagine leggere, giallastre, a righe, erano perfette.

Insieme c'era anche una penna: argentata, lucida, con l'inchiostro nero, era meravigliosa.

E quando ho cominciato a scrivere è stato come sognare: la penna scorreva senza problema sulla carta, non un errore, non un'inceppatura.

La prima cosa che ho descritto è stato proprio il mio regalo.

Poi sono passata a scrivere una storiella che mi passava per la mente.

Ho passato tutto il giorno con la testa piegata sulla scrivania e la penna in mano. Non mi sono mai fermata, nemmeno per mangiare qualcosa.

La stilo creava movimenti armoniosi mentre lasciava parole sui fogli.

La mamma è entrata più volte in stanza e mi deve persino aver parlato, ma l'unica cosa che ero riuscita a sentire era «Sembri matta».

Mi sentivo bene. Scrivere mi stava facendo sentire bene. Meglio di ogni altra volta che l'ho fatto.

Era come se quel regalo si fosse impossessato di me: non riuscivo a staccarmene, sentivo di averne bisogno, di dover scrivere per forza, a costo di morire per fame o qualunque altra cosa.

Verso l'una di notte circa ho finito il libro che avevo deciso di intitolare "Il silenzio della vendetta".

Un libro horror in cui si parla di un killer spetato a cui piace uccidere giovani donne. Agisce in una cittadina apparentemente tranquilla e sperduta tra i campi, e colpisce solo nel bel mezzo della notte. Lo fa in silenzio, penetra nelle case delle sue vittime come un ninja, fa in modo di ostruire le loro vie respiratorie e quando sono morte soffocate lascia una scia di colore rosso sulle loro labbra e scrive sulla loro fronte "shhh".
Non si sa perché lo fa, ma Carlotta, la ragazza protagonista, è intenzionata a scoprirlo, sia perché vuole fermare questo assassino sia perché vuole far colpo su suo padre che lavora nella polizia per dimostrargli di essere degna di poter entrare nell'accademia.
Alla fine del libro si scopre che Carlotta soffre di doppia personalità ed è la sua doppel ganger, Tamara, ad uccidere tutte le notti qualcuno. Così per mettere fine a tutto, come conclusione finale, la povera ragazza si reca nel bel mezzo della notte nel bosco vicino a casa e s'impicca.

Ero così fiera di me, mi piaceva proprio questa storia e non vedevo l'ora di mostrla a tutti.

Così all'una e mezza circa sono andata a letto e mi sono addormentata, svegliandomi però qualche ora dopo con un fastidio sulla pelle.

Una leggera brezza soffiava sulla mia pelle e qualcosa di molto simile al muschio mi faceva il solletico sotto i piedi nudi. Un'odore pungente di pino inebriava le mie narici.

Aprii gli occhi appena sentii dei sussurii. Mi guardai intorno e mi accorsi di essere stesa nel bel mezzo di un bosco.

Mi alzai di scatto tutta impaurita e cominciai a camminare guardandomi attorno.

Quindi eccomi qui, in un posto sperduto, sola e impaurita.

Ad un tratto i miei piedi cominciarono a muoversi da soli verso un'enorme albero. Solo allora mi accorsi di avere una corda in mano, tutta rossa a causa del colore che avevo sul dito indice, e il mio diario nell'altra. La penna, invece, era ben posizionata tra le dita per evitare di perderla.

Mi avvicinai ad esso e lanciai la corda da una parte all'altra di un ramo.

Feci un nodo sulla corda, solido e perfetto, per creare un cappio.

Non riuscivo a controllarmi, il mio corpo si muoveva da solo. Era come se vedessi la scena da lontano, come in un film, senza poter però interagire con esso in qualunque modo.

Salii su una sedia che avevo posizionato lì, non so come, e mi infilai il cappio al collo.

Dai miei occhi cadevano lacrime come torrenti, il mio cervello era in panico e non riuscivo a pensare lucidamente.

Ad un tratto sentii una voce leggera, quasi impercettibile, che mi sussurò all'orecchio: «Ciao, sono Tamara, ti ricordi di me?»

Impallidii, immobile. La voce rideva.

«Tu hai ucciso me, ora io uccido te.»

In un attimo il mio piede calciò via la sedia a cui ero appoggiata.

Il diario e la penna caddero provocando un leggero tonfo su un mix di foglie secche e muschio mentre il mio corpo rimase lì, appeso, nel buio della foresta e nel silenzio della notte.

Buongiorno amiciii
Finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa, yeee!
No, sul serio, sono ancora viva e scusatemi se ero sparita per troppissimo tempo...
Cosa ne pensate della storia?
🌟

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 24, 2020 ⏰

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