Capitolo I - Osservare e sguardi sfuggenti

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Osservare.

Mi è sempre piaciuto.

Osservare una rondine che vola libera nel cielo prima di tornare al suo nido. Osservare lo spostarsi delle nuvole, che sembrano sempre immobili e invece corrono più di ogni cosa.

E poi i piccoli gesti.

Le abitudini di ognuno di noi.

Che sia uno sconosciuto, che sia un amico o un familiare. Quei gesti che sembrano tanto insignificanti ma che invece vogliono dire tutto. Un tic all'occhio, una stretta di mano, un movimento del piede. Azioni usuali, ripetitive ma soprattutto inconsce. La maggior parte delle persone le ignorano, o forse non le notano nemmeno. Perché troppo perse nei loro pensieri, nelle loro preoccupazioni. Oppure perché troppo impegnate a parlare di sé da accorgersi che il loro interlocutore non è interessato al discorso, ma è così gentile da non farlo notare. A parole, per lo meno. Ma ai gesti non si scappa.

E io sono brava in questo.

Forse anche troppo.

Mi faccio catturare da questi movimenti, che mi legano alla persona che ho davanti inevitabilmente. Per tutto il tempo che interagisco difficilmente riesco a guardare negli occhi chi parla. Mi distraggo subito. Parto dalla fronte, con le mille rughe che si creano ad ogni diversa espressione. Poi passo alle sopracciglia, definite o trascurate che siano, poi il naso ed infine la bocca. Su questa passo meno tempo possibile, per evitare che il mio interlocutore fraintenda.

Dopo aver analizzato il volto scannerizzo il corpo. Niente di particolarmente impegnativo, giusto per vedere se ci sono gesti inconsulti. Tutti li hanno, comunque. Nessuna eccezione.

Semplicemente osservare. È questa la chiave.

«Ehi Cass, come va? Pronta per questa prima giornata di scuola?»

Lei è Miriam, la mia migliore amica. E anche unica, a dire il vero. Più che altro, è lei che tollera me e le mie stranezze. Io devo solo sopportare la sua esplosività, che per una solitaria come me risulta abbastanza fastidiosa.

«Carichissima.» Sfoggio il mio solito sarcasmo.

«Su! Un po' di entusiasmo! È l'ultimo anno, e questo il nostro ultimo primo giorno!»

«Ecco, questo è l'unico motivo per cui sono venuta oggi.»

«La solita noiosona! Se tu fossi un po' più solare, le persone non scapperebbero da te, avresti più amici e ti piacerebbe molto di più venire a scuola!»

«Va bene, va bene. Quest'anno ci proverò, promesso.»

«Dici sempre così, poi non cambi mai.» Si ferma un attimo a guardarmi con occhio critico.
«In ogni caso sento che questa è la volta buona, e finalmente riuscirò ad ottenere un'uscita con Kevin!» Riprende a saltellare tutta felice.

La sua gonnellina a fiori svolazza, mentre la maglietta color giallo limone che indossa si alza leggermente in seguito al suo movimento di braccia. Lascia per un momento intravedere agli occhi dei più curiosi il brillantino che da qualche settimana si trova al suo ombelico. L'avevo accompagnata a bucarsi la pancia lo stesso giorno in cui io mi ero fatta forare l'orecchio per la sesta volta. Ricordo ancora la faccia di sua mamma, non particolarmente soddisfatta della scelta, a differenza della figlia che continuava a sorridere nonostante il dolore.

«Dici sempre così, poi non succede mai.» La imito, alzando di qualche tonalità la voce per sembrare ancora più somigliante.

Lei per tutta risposta mi fa una linguaccia, non perdendo comunque il suo sorriso. Mi prendo un secondo per guardarla meglio: ha le guance leggermente arrossate, ma lo sguardo non è più rivolto verso di me. Seguendo la stessa traiettoria arrivo a colui che ha catalizzato la sua attenzione, e che la catalizza da circa un anno a questa parte.

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