Goodbye Percy

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                                                                                            Paul



I fatti che si susseguirono in seguito al mio ritorno scorrevano nella mia mente come sequenze di un film privo di un termine stabilito. Mille voci, diversi volti e suoni confusi mi impedivano di concentrarla in qualunque cosa che non avesse a che fare con il mio lavoro. La sera del 3 Dicembre tornai al carcere deciso più che mai a prestare al meglio il mio contributo. Feci un breve giretto in cortile e notai Dean seduto su vasti scalini in legno. Aveva un' aria piuttosto pensierosa e teneva le braccia strette alle ginocchia e il mento appoggiato su di esse. Mi avvicinai poggiando una mano sulla sua spalla. Lui si voltò e pronunciò, carico di emozione, il mio nome.

«Paul! Stai bene! Sono felicissimo di vederti!»

Si buttò a capofitto tra le mie braccia piangendo. Percepivo la paura e l'incertezza che turbavano il suo cuore. Ero consapevole che non era stato facile per lui, nonostante la determinazione e il valore che aveva dimostrato. Il pomeriggio precedente invitai Brutal per trascorrere un po' del mio tempo in sua compagnia. Grazie a lui, avevo ottenuto un resoconto chiaro e soddisfacente delle vicende avveratesi in mia assenza. Ero stanco degli assurdi comportamenti di Wharton e Cobain e non vedevo l'ora di sistemarli per bene una volta per tutte. Dopo quel breve ma intenso abbraccio, asciugai le lacrime di Dean e gli dichiarai soltanto quanto ero sinceramente orgoglioso di lui. Poi insieme raggiungemmo gli altri, ovviamente pazzi di gioia per il mio ritorno. Chiesero subito come stessi e io annuii semplicemente col capo affermando di essermi sbarazzato, con immenso sollievo, di quella febbre così scocciante. L'unico che si faceva i fatti suoi, come sempre, era Percy. Mi rivolse una rapida occhiataccia, volgendo infine il capo alla sua sinistra, senza più guardarmi. Non ci feci caso. I detenuti urlavano e battevano le mani dandomi il benvenuto, eccetto Wharton e la fidanzatina. Il primo fumava pacifico seduto sulla branda mentre lei si arrampicava alle sbarre facendo una confusione tremenda. Stava cercando in tutti i modi di attirare l'attenzione.

«Sappi che non me ne frega un cazzo della tua guarigione, stronzo! Vaffanculo!»

Oltre alle ingiurie, provocò altro rumore facendo cadere la catena argentata, poi cominciò a ridere selvaggiamente picchiando le sbarre con martellanti calci. Mi stava facendo venire il mal di testa. Picchiettai tre volte sul punto che stava colpendo e lei, colta di sorpresa, lasciò la presa e cadde giù, poi iniziò a lamentarsi dell'insopportabile dolore che aveva al fondoschiena. Recuperai dal mio mazzo la chiave giusta per entrare nella cella e l'aprii, mentre Wharton sorreggeva premuroso la sfortunata compagna. Incrociai le braccia e li guardai. Ero molto, molto arrabbiato con loro. Afferrai la mascella di Cobain e la costrinsi a fissarmi.

«Credo proprio che noi due dobbiamo fare un bel discorsetto.»

La lasciai e mi sedetti sulla branda. Le feci cenno d'avvicinarsi. Wharton e i miei colleghi ci guardavano in silenzio. Non si sedette, ma rimase in piedi fissandomi imbronciata.

« Io non vado proprio da nessuna parte» dissi «e sono più che certo che sarai tu ad andare dove dico io.»

Alex reagì alterandosi.

«Che cosa dici? Dove hai intenzione di portarmi? Io resto qui, hai capito? Non puoi passarla liscia! Non te lo permetterò!»

Mi alzai di scatto e la presi per le braccia.

«No!» urlò il selvaggio cercando di aiutarla ma Dean e Brutal furono più veloci e l'afferrarono uno per le spalle e l'altro per le gambe. Dissi a Harry di aprire la cella numero 2. Eseguì e io spinsi Alex facendola entrare. Chiusi in fretta la prigione e mi allontanai.

«Non puoi farmi questo!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola, poi iniziò a piangere.

«Ti odio! Mi hai sentito? Sei un bastardo! Non voglio stare qui!»

«Dovrai farci l'abitudine, perché ci rimarrai fino a quando lo Stato te lo consente. Ora non ho più tempo da dedicarti. Buona permanenza.»

Girai i tacchi e me ne andai, seguito subito dagli altri, lasciando i due piantagrane in preda a furiose imprecazioni.

La notte del 26 Dicembre fu interamente dedicata alla straziante esecuzione del povero Eduard Delacroix. Ho i brividi se torno a pensarci. Avevo preso parte a più di 78 esecuzioni nella mia lunga carriera da sovrintendente, ma non avevo mai visto una più orribile di quella. Non era difficile arrivare al colpevole di tutto ciò: Percy Wetmore. Quel deficiente aspettava da tempo il momento di vendicarsi e infine ce l'aveva fatta. Non aveva bagnato la spugna da porre sul capo del condannato, elemento indispensabile per potergli risparmiare una morte sofferente e atroce. Essa infatti facilitava la presa di corrente che raggiungeva il cervello di chi si voleva giustiziare, impedendo alla carne di bruciare. Ricordo ancora come i testimoni, confusi e impauriti, tentavano di scappare per non avere più a che fare con quella puzza insopportabile mentre Percy si voltava disgustato e sconvolto per non vedere Del mentre bruciava. Gli andai incontro.

«Guarda cosa hai combinato, figlio di puttana!»

Lo costrinsi ad osservare ogni singolo attimo di quella morte assurda. In seguito intervenne Brutal.

«Prendi qua! Sei tu che conduci lo spettacolo! Tocca a te. Spegni quel fottuto incendio!» ordinò, porgendogli un enorme estintore nero. Tremante, fece così come aveva detto, poi lo portammo nei sotterranei, dove eravamo soliti nascondere i cadaveri dei nostri prigionieri dopo le esecuzioni.

«Non sapevo che la spugna dovesse essere bagnata» esordì l'incapace, nascondendo le mani dietro la schiena. Io e Brutal lo prendemmo con la forza e lo spingemmo al muro. Non provò nemmeno a liberarsi, tanta era la paura, e si fece spaccare persino un labbro. In quel momento arrivò Hal e le cose per lui si misero male sul serio. Venne licenziato e mandato via il mattino seguente, non senza aver speso qualche parolina dolce a noi gentili colleghi, molto tristi e scossi per la sua ingiusta perdita. Sì, devo proprio ammetterlo.

«Sono lieto di essere arrivato a questo punto. Mentre io guadagnerò un sacco di soldi, voi farete la fame e non gliene fregherà proprio niente a nessuno. Vi lascio, pezzi di merda. Non mi mancherete affatto.»

Sì, caro Percy. Mi mancavi già tanto.


Giunse l'esecuzione mortale di John Coffey. Il mastodonte dallo sguardo vacuo e sperduto fu giustiziato il 23 Gennaio 1933. Aveva violentato e ucciso due bambine, gemelle, di soli 9 anni. Non avrei mai creduto che un tipo come lui, così buono, tranquillo e contrario a un solo pizzicotto sulla guancia fosse stato capace di commettere un crimine davvero imperdonabile. Eppure lo aveva fatto. Qualsiasi cosa fosse ad aver commesso quel barbaro omicidio ormai non c'era più e John Coffey si faceva portare, quieto e deciso, verso la stanza dove Old Sparky avrebbe posto una conclusione alla sua breve vita. Ed è proprio questo il lato peggiore: Old Sparky non uccide ciò che è dentro di loro e nemmeno i farmaci iniettati oggigiorno in queste persone lo annullano. Questo qualcosa si sposta e va dentro qualcun altro e lascia che noi uccidiamo involucri che non sono realmente vivi. Mentre pensavo a tutto questo, stavo proprio fissando la cella vuota che aveva ospitato John Coffey fino a alla fine dei suoi giorni. Un velo di tristezza riuscì a sopraffarmi e per questo pensai bene di impiegare il mio tempo portando lo sguardo da un'altra parte. Wharton e Cobain dormivano in pace, ognuno nella propria cella, quindi non dovetti preoccuparmi di loro in quel momento. Raggiunsi Dean e Harry, appena usciti dalla biblioteca – avevano messo in ordine alcuni vecchi romanzi di Edgar Allan Poe, sparsi distrattamente su tutta la superficie del nostro tavolo di servizio – e ascoltai sereno la loro conversazione riguardo una nuova partita di baseball che avrebbero trasmesso proprio quella sera verso le dieci e mezza. Un piccolo attimo di piacevole tregua, finalmente.

Walking the stormy mileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora