-Allora, che te ne pare?- domandò il giovane, un sorriso compiaciuto che gli illuminava il volto ed il capo sensibilmente chinato a sinistra, assumendo quell'aria smaliziata che gli donava perfettamente.
Peccato che Levi non fosse dello stesso avviso, dal momento che più Eren adottava quell'atteggiamento prepotente ed arrogante, più gli fremevano le mani per il nervosismo. Quel ragazzo non aveva la benché minima idea di cosa volesse dire eseguire un brano senza neanche una sbavatura, visto che non faceva altro che ritardare il ritmo o suonare le note della mano destra in modo del tutto scoordinato rispetto alla sinistra, o, ancora, stabiliva in modo assolutamente arbitrario la coloritura delle battute senza prestare attenzione alle indicazioni scritte.
Braccia conserte e palpebre calanti, il maestro si appoggiò al fianco del pianoforte e sbuffò stanco: i giorni scivolavano rapidi dinnanzi ai loro occhi, e Levi dubitava sempre di più della possibilità che Eren riuscisse in quella faticosa impresa.
Non che non ne fosse capace, anzi, quel fuorilegge possedeva tutte le carte in regola per poter esordire nel panorama musicale, ma c'era un problema radicato sul fondo della questione, saldo e incedibile: Eren, sotto quel cumolo di orgoglio, aveva seppellito per bene tutte le sue insicurezze, lasciando che lentamente si cibassero di lui fino a portarlo a giustificare il distacco emotivo dallo strumento, quell'ostinato rifiuto di cui non poteva fare a meno, e che comportava una serie di errori di distrazione che erano ben lontani dal semplice concetto di "mancanza di tecnica".
Eren pareva mutare le sue performance a seconda del pezzo a cui si dedicava. Quello stesso talento, che aveva avuto la fortuna di ascoltare nella stazione e che aveva ghiacciato e infiammato e rapito la sua anima come un buco nero del cosmo, ora sembrava lontano anni luce da se stesso, perso in qualche meandro oscuro a cui la melodia del pianoforte non aveva accesso.
Puntualmente una ruga d'espressione gli solcava la fronte per la fatica, e diveniva sempre più pronunciata man mano che studiava lo spartito, le dita che si rincorrevano dispettose senza mai trovare la giusta tempistica, pilotate da una miscela di irritazione e malcelata indifferenza che gli faceva interrompere l'esecuzione finché, dopo una ventina di volte che la ripeteva, non riusciva a concluderla. Poi guardava Levi, tentando di nascondere al meglio l'insoddisfazione che trapelava dalle iridi chiare e snudando i denti in un sorriso oltremodo fasullo.
E quella volta, tutto si era ripetuto esattamente come da copione.
-Patetico, un disastro dall'inizio alla fine. Non ha senso andare avanti con lo studio delle altre battute se non riesci a suonare decentemente neanche il primo rigo.-
Poté immaginare perfettamente il volto dell'altro incupirsi a quel rimprovero, perché ammettere che tutto, di quelle esibizioni, dimostrava quanto fosse ricalcitrante all'idea di impegnarsi seriamente, era decisamente troppo per il suo ego.
-Che stronzata!-
Ecco, ovviamente l'improperio di turno non poteva mancare: proprio come da copione.
Levi si sbilanciò in avanti e si diresse verso la porta, mentre si massaggiava piano il ponte del naso per poi passare alle palpebre; un'altra notte in bianco, nulla di nuovo nel suo repertorio.
-Laureato in tuttologia, vedo. I miei più sentiti complimenti.-
-Mi si slogheranno le dita, se continuo di questo passo!- sbottò esasperato l'allievo, ma l'uomo non esitò neanche un momento mentre si accingeva a varcare l'uscita dell'aula.
-Sono talmente rigide che, prima che si sloghino, ci vorranno altri sette anni.-
Non gli diede neanche il tempo di controbattere, che superò la soglia e si diresse verso il distributore automatico al piano inferiore dell'edificio.
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The last bar
FanfictionTUTTI I DIRITTI RISERVATI Levi Ackerman, come ogni singolo giorno, si rifugia nella sua routine costituita da metro, musica e sogni intrappolati in un passato amaro. Ed è proprio una mattina che, recatosi nella stazione parigina, ode in lontananza...