Capitolo 1

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Myrina's POV

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Myrina's POV

Amo correre , il vento mi sferza la faccia, si infila tra i miei riccioli, facendoli danzare attorno al volto e al collo, fino a sfiorare leggiadri la schiena. Liberi, e io libera con loro.
Corro sempre più veloce, giro angoli, salto ostacoli, mentre i battiti del cuore si fanno più frequenti e il respiro più affannato.

Sto raggiungendo uno spiazzo verde sulla cima del colle, al di là dei campi dei contadini e delle coltivazioni di ulivi, sacri alla dea Atena.
La piccola pianura è situata all'infuori della città, circondata da alberi di media altezza; lì vicino tengo nascosti faretra e arco.

Per la fabbricazione di quest'ultimo, Damian, il fratello della mia più cara amica, mi ha insegnato che bisogna utilizzare legni flessibili ma resistenti, consigliandomi la quercia. Spiegandomi poi che la vera potenza dell'arco sta nei flettenti e non nella corda. Grazie a vari consigli strappati mentre lavorava sono riuscita a costruirmi un'arco pressoché perfetto e di cui vado molto fiera.

Quando l'ho costruito ero ancora piuttosto giovane e mi rifugiavo nelle stanze degli schiavi per scappare dai continui rimproveri dei miei genitori e della mia balia, che cercavano in tutti i modi di impartirmi le maniere consone a ogni nobil donna, preparandomi così a quando avrei avuto una casa e dei figli da gestire.
Ma a me bastavano pochi attimi di corsa insieme ad Aghave, la mia migliore amica, per recuperare la mia spensieratezza e vivacità, che le lezioni miravano ad estirpare, in quanto considerate deplorevoli per una ragazzina che dopo meno di quattro anni sarebbe stata pronta a maritarsi. Ricordo ancora le unghie rotte durante la lavorazione dei miei oggetti di sfogo, i numerosi tagli che mi ero procurata a causa dei primitivi tentativi mal riusciti e le schegge che ne derivarono. Tutto ciò impasticciò le mie allora candide mani di ragazzina dodicenne, con sangue incrostato e polvere di segatura. A quel tempo il dolore mi risultava atroce, mentre ora lo trovo quasi appagante. Aghave era sempre molto preoccupata e aveva dipinta in volto la sua tipica espressione da cucciola dolcissima ogni volta che le mostravo i progressi del mio operato. Era fiera di me, lo leggevo dal suo sguardo, ma era preoccupata da come avrebbero reagito i miei genitori vedendo le ferite.
Questi, una volta viste le mie mani, si rivelavano indignati e scioccati, soprattutto mio padre che una volta si mise a urlare per tutta la casa, rompendo qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, mentre mia madre se ne stava immobile, col volto cupo, per poi dirmi di filare via e farmi disinfettare le ferite.
Io, invece, ero fiera delle mie unghie rotte e dei piccoli tagli ed escoriazioni che dimostravano i miei progressi e traguardi.
Facevo quindi in modo che tutti gli amici altolocati dei miei genitori le notassero per bene, per poi sfoggiare un'espressione assolutamente innocente alle occhiate furiose di mio padre.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e la causa del primo di molti contrasti avuti con la mia famiglia, a cui seguirono altrettante punizioni e rimproveri a cui non diedi comunque molto peso, continuando a tenere la mia libertà come priorità.

Mi riprendo dai pensieri quando noto che, ormai, manca poco alla mia meta. Non vedo l'ora, a stento riesco a contenere l'euforia.
Dopo una settimana passata a tessere e a sentirmi rimproverare per le mie cattive maniere, ho finalmente uno dei miei rari attimi di libertà.
Mancano pochi metri per uscire dal sentiero sterrato, che ormai conosco a memoria, ed entrare nello spiazzo. La luce rosata e dorata caratteristica dell'alba fatica a filtrare tra i fitti rami degli alberi, nascondendone l'arrivo ma creando fantastici giochi di luce tra le tenere foglioline appena spuntate e il terreno rossiccio caratteristico dell'Attica.
Raggiungo finalmente il luogo prefissato e mi dirigono trafelata ed emozionata verso il nascondiglio.
Rischio di inciampare varie volte, ma non mi scoraggio. Sento il cuore battermi nelle orecchie e un sorriso spontaneo illuminarmi il volto, molto diverso da quelli falsi che mi tocca elargire ai componenti della nobiltà, che mi circondano durante le cene a cui sono costretta a partecipare, le poche volte che non riesco a farla franca evitando di andarci.
Rido più forte, con l'eccitazione che sale. Mi infilo sempre di più tra le fronde, beccandomi più di un ramo addosso. Nella frenesia della corsa i rametti più sottili e fragili si rompono, procurandomi leggeri graffi sulle braccia e incastrandosi tra i miei capelli, che essendo ricci sono ottimi per farci impigliare qualunque cosa.

L'ultima AmazzoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora