Capitolo 5

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Myrina's POV

Le imponenti porte della sala banchetti si aprono sotto il mio sguardo attento. È una delle poche volte che mi è permesso entrare in questo luogo in quanto le donne, secondo una stupida etichetta, devono mangiare nel gineceo, separate dagli uomini.
Questa, però, è una delle mie stanze preferite della residenza nonostante la sua sfarzosità, a tratti eccessiva.
Il mio sguardo corre, attirato dalle miriadi di colori sgargianti, ai preziosi mosaici sulle pareti ed al soffitto magistralmente affrescato con delle immagini di vecchi miti e leggende che la mia balia era solita raccontare a me e ad Agahve quando eravamo ancora bambine e sognavamo di volare sulle candide ali di Pegaso o danzare felici con le bellissime driadi, fino ad arrivare senza che me ne renda conto in un punto preciso, quasi ammaliata da quella particolare figura, come se dal primo momento in cui sono entrata il mio unico obbiettivo seppur incoscientemente fosse di posare gli occhi su quel dipinto.
Lo guardo attentamente sebbene ormai conosca ogni suo più piccolo particolare, probabilmente anche meglio del pittore che con tale bravura lo ha creato.
Eros vestito solamente delle sue splendide ali tiene tra le braccia una Psiche dalla pelle nivea e dagli splendidi capelli dorati caduta in un sonno senza ritorno.
Il dio guarda la sua amata con uno sguardo talmente pieno di amore e disperazione che sembra perforare il soffitto, talmente vivo che per un momento avrei giurato di aver visto un luccichio nella pupilla color pece.
A volte quando ,dopo le accese litigate con mio padre, scappo rifugiandomi o nel bosco o nelle stanze degli schiavi mi chiedo se un amore del genere esiste veramente, un amore assoluto ed incondizionato come quello di Filemone e Bauci o Ulisse e Penelope o se non è solo una mera illusione sapientemente intrecciata da poeti e cantori per rendere le loro storie più affascinanti o la debole mente umana che, straziata da tutto il dolore causato dalla vita, ci induce ad avere una speranza seppur tanto effimera quanto bella per farci andare avanti.
Eppure, guardando quel meraviglioso affresco, mi convinco che per essere riuscito a dipingere uno sguardo tanto vero, l'artista, deve pur averlo già visto prima e quindi mi fa sperare che un giorno magari troverò anch'io quel amore tanto agognato dagli umani.
Se voglio arrivarci, però, devo prima superare questo banchetto.
Più decisa che mai sposto lo sguardo su mio padre che mi scruta con gli occhi di uno scialbo marrone, appassito dagli anni e pieni di rabbia a stento trattenuta che mi lanciano sguardi furenti ed affilati come le spade degli spartiati.
È incredibile come due paia di occhi di un colore tanto simile come quelli di Agahve e del mio genitore siano così opposti.
Ogni volta che vedo gli occhi della mia amica, di un marrone simile alla scura corteccia degli alberi del boschetto che tanto amo, con pagliuzze ambrate come il miele e sottili come aghi che le impreziosiscono l'iride è come se una ondata di calma e tranquillità mi invadesse, riscaldandomi gli arti e il cuore come il fievole calore di un fuoco nel bel mezzo dell'inverno.
Gli occhi di mio padre, invece, sono come l'inverno stesso, freddi e pungenti, e racchiudono la tristezza dell'autunno e delle foglie caduche.
Ricambio il suo sguardo con uno altrettanto gelido per poi spostare lo sguardo sugli altri due uomini sdraiati sui klinai riccamente decorati in oro e con dei cuscini di morbido velluto.
Il più vecchio dei due lo riconosco subito come l'arconte basileus, un uomo dall'aria un po' severa ma dai tratti piuttosto anonimi.
Poi sposto lo sguardo sul più giovane, probabilmente il figlio, anche se non assomiglia affatto al padre.
Due grandi occhi di un color verde più scuro del mio, simile agli aghi delle conifere, si armonizzano alla perfezione con le labbra sottili aperte in un sorriso di circostanza e con il viso dalla forma arrotondata, incorniciato da ciocche di capelli biondo cenere che gli ricadono in modo scomposto ma intrigante sulla fronte conferendogli così un'aria angelica ma sbarazzina.
Inoltre il chitone che indossa lascia intravedere con studiata malizia un fisico tonico e possente, con due spalle larghe e squadrate messe in risalto dalla posizione noncurante e sconclusionata con cui è disteso.
Devo ammettere, mio malgrado, che è molto affascinante.
Vengo riportata alla realtà dalla voce cordiale ed impostata, anche se con una punta di eccitazione nascosta, di mio padre:
<<Signori, ho il piacere di presentarvi la mia cara moglie, che di sicuro già conoscete, e la mia amata ed unica figlia, Myrina>>
Mi stampo in faccia un sorriso vero quanto un cavallo che miagola trattenendomi a stento dal scoppiare a ridergli in faccia.
Questa conversazione non è cominciata affatto nel migliore dei modi.
I due mi guardano ammirati e io mi trattengo dal commentare sprezzante di pulirsi la bava.
<<Ma che graziosa fanciulla- comincia l'arconte con una voce melliflua che mi dà il voltastomaco- più bella della più incantevole delle ninfe, vi frutterà un bel affare, amico mio>>
A quelle parole chiudo le mie cinque dita a pugno fino a sentire le unghie scavare la carne.
Se c'è una cosa che odio con tutta me stessa è essere trattata come un oggetto, un bel soprammobile da mostrare a tutti.
Mio padre sorride, seppure fintamente, prima di rispondere col suo famoso tono accondiscendente che usa sempre quando è in corso una trattativa: <<Punto solo ad accasarla nel migliore dei modi, affinché possa avere una vita agiata e una famiglia felice>>
<<Suvvia, suvvia. Le donne non sono fatte per avere un lieto matrimonio, tanto ognuna di loro serve solo per avere figli; per divertirsi ci sono le schiave>>
Sento la mia mascella serrarsi quasi fino a far scricchiolare i denti, le unghie infilarsi sempre più affondo nel palmo e il cuore accelerare il ritmo pompando più velocemente.
Mi concentro cercando di fare respiri profondi e chiudo gli occhi per calmarmi tanto che quasi non sento le parole del ragazzo che non ha avuto nemmeno la decenza di presentarsi.
<<Padre, non mi sembra il luogo e il tempo adatto per queste discussioni>>
<<Non preoccuparti, ragazzo, pure le donne sanno di essere solo una piaga, dopotutto sono tutte discendenti di Pandora, sempre a mettere il naso dove non devono. Tu che ne dici bimba?>>
A quel punto non riesco a trattenermi, sento la rabbia consumarmi come fiamme roventi.
Apro occhi di scatto rivolgendo un occhiata furiosa all'arconte Basileus, che si blocca a guardarmi come terrorizzato, prima di rispondere con tono gelido, in completa discordanza con il fuoco all'interno dei miei occhi.
<<Penso che non a caso la dea dell'intelligenza sia donna>>
Detto questo volto le spalle a tutti i presenti dirigendomi con passo fiero e controllato verso la porta, uscendo.
Poco prima di chiedermela alle spalle sento però il commento scandalizzato e schifato, seppure con una nota di paura, fatto dell'arconte a mio padre : <<Quella ragazza ha gli occhi di una bestia selvaggia>>
Sorrido ironica al pensiero di un uomo tanto potente intimorito da una ragazzina, prima di cominciare a correre forsennatamente nei giardini della casa per sbollire la rabbia e l'adrenalina che mi scorre ancora nelle vene e che avrei volentieri sfogato sul volto di quell'uomo spocchioso.

L'ultima AmazzoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora