8. Tagliategli la testa!

39 6 0
                                    

I tre candidati erano davanti a lui, nella divisa ufficiale, e non c'erano dubbi su quale fosse l'unica scelta logica da fare per l'uomo incaricato di selezionare il nuovo boia. Due di quelli non sarebbero apparsi minacciosi neppure con l'ascia in mano. Neppure con due asce in mano e un coltello stretto tra i denti. Nel dubbio ne fece consegnare una a testa.

Polporo, Martinuzzo e il Sergente eseguirono l'ordine porgendo un'arma d'ordinanza ai candidati.

Nelle mani del salleziano sembrava un taglierino.

Cordo e quell'altro probabilmente non sarebbero riusciti a sollevarla. E se anche con immenso sforzo ce l'avessero fatta, se la sarebbero tirata in testa.

Il Capitano Limes non avrebbe voluto essere l'uomo incaricato di selezionare il nuovo boia. Ma forse, con un po' di fortuna, non sarebbe stato costretto a scegliere.

Aprì bocca per spiegare la nuova prova ma l'insolito tonfo di un'ascia che cade venne a interromperlo. Era scivolata di mano a quel tizio, quello che non era il cognato del Sergente.

Forse gli ci sarebbe voluto qualcosa più di un po' di fortuna.

«Bene, signori» iniziò fingendo indifferenza all'incidente. «È giunto il momento di dimostrare che avete la stoffa del boia. Ora ci mostrerete cosa sapete fare con un'ascia in mano. Prendete confidenza con lo strumento mentre noi andiamo a preparare. Soldati, seguitemi.»

Si diresse con decisione verso il cortile interno, un quadrato di pochi metri dove l'erba nasceva già rinsecchita.

Il Sergente Florio lo raggiunse prima che potesse spiegarsi. Dalla sua faccia era chiaro, aveva già capito. «Capitano, mi sembra una follia...»

«Mi hai detto tu che a tuo cognato non frega di niente e nessuno, vedrai che ce la farà. Dopo aver familiarizzato con lo strumento.»

«Ma come ci aiuta? Il salleziano probabilmente ci è imparentato con lo strumento!»

Limes sfoggiò il sorriso di circostanza indossato quando voleva bluffare: «Guardalo bene negli occhi, quel negro è solo apparenza. Sotto sotto è un buono, uno smidollato. Non ce la farà.»

Il Sergente continuava a fissarlo con lo sguardo di chi conosce già tutte le risposte.

«Non è che abbiamo alternative, dobbiamo pur verificare che sappiano farlo» e senza attendere ulteriori obiezioni diede l'ordine agli appuntati.

A Florio non disse nulla, aveva già capito. Pochi minuti dopo, infatti, tornò con un bel ceppo, anche quello parte dell'attrezzatura d'ordinanza. Anche Polporo e Martinuzzo tornarono con materiale d'ordinanza: un bel condannato imbavagliato e legato come un salame.

Limes provò un certo piacere nello sbattere lui stesso Zuccasicci sul ceppo.

«Fate entrare Cordo.»

Il giovane cognato del Sergente entrò con passo indolente, trascinando con sé l'ascia come se fosse una fastidiosa appendice del suo corpo. Più lo guardava, più il Capitano si convinceva che sarebbe stato una buona scelta, ci sarebbe magari voluto un po' di tempo, ma prima o poi sarebbe arrivato ai livelli del povero Steno.

«Bene, giovanotto, hai la divisa, hai l'arma e hai un condannato. Fai il tuo dovere.»

Era difficile capire cosa pensasse in quel momento, col cappuccio calato malamente sulla faccia, ma Limes intuì uno scambio di sguardi tra Cordo e il Sergente, e poi un altro con Zuccasicci. Il delinquente, sotto il bavaglio, stava ridendo.

«Quindi dovrei...» tentennò il giovane.

«Tagliargli la testa, sì.»

«Ah. D'accordo» e iniziò un'articolata manovra d'avvicinamento. Si sputò sulle mani, se le asciugò sulle braghe, afferrò l'ascia con una doppia presa alla base, ne soppesò la consistenza, se la portò una volta sopra la spalla, poi una seconda volta, poi fece due passi verso il condannato e si portò a tiro, poi si sputò ancora sulle mani e senza asciugarle prese l'ascia e la sollevò alta sopra la testa.

In tutto questo Zuccasicci continuò a ridere sotto il bavaglio. Continuò anche quando l'arma calò su di lui.

Il Capitanò Limes bloccò il colpo una spanna prima che la lama si conficcasse nella scapola del condannato. «Basta così, ragazzo, ottimo lavoro. Torna di là ora.»

Cordo fece quanto ordinato, senza mostra entusiasmo dietro quelle movenze flosce.

«Che ti dicevo? Tuo cognato è l'uomo giusto!» esultò rivolto al Sergente.

«Bisogna che perfezioni un pochetto la mira, però» ridacchiò Polporo.

«Nessuno ha chiesto il tuo parere. Ora va a chiamare il negro.»

Quando Decalisto fece il suo ingresso nel cortile, il cappuccio stretto in modo inquietante sul viso, i pettorali gonfi e lucidi di sudore, l'ascia ben salda nella mano destra, la voglia di fare battute passo a tutti, soprattutto a Zuccasicci che smise all'istante di ridere.

Vedendo lì, vicino al ceppo con il condannato, la mente di Limes fu attraversata da un lampo di lucidità: pareva nato per fare quel mestiere. Fu anche abbastanza in sé da pensare che forse non era lo smidollato che si stava illudendo fosse.

Ma era tardi per tornare indietro: «Forza, tagliagli la testa» ordinò.

Il salleziano tentennò, e Limes per un attimo riprese vigore.

«Tagliagliela, ti ho detto.»

«Qui? Ora?»

«Sì, qui. È l'ultima prova, dove pensavi di farla?»

Di nuovo Decalisto ebbe un'incertezza, sembrava stesse valutando la situazione, ma era difficile intuire i suoi pensieri sotto il cappuccio. Ma alla fine sentenziò: «Ho capito» e con un gesto rapidissimo calò l'ascia.

Limes sperava non succedesse ma al contempo sapeva benissimo che sarebbe accaduto: ma per quanto fosse pronto, il suo braccio ebbe giusto il tempo di allontanarsi una spanna dal corpo. Anche fosse stato più veloce non avrebbe mai fermato la furia di quel colpo. Sarebbe stato complicato spiegare al Governatore perché avevano giustiziato il condannato durante un festino in gendarmeria.

Ma poi un odore fastidioso quanto inconfondibile venne a distoglierlo dai suoi timori: qualcuno se l'era fatta sotto.

Le braghe di Zuccasicci grondavano liquame marrone, mentre la testa era ancora al suo posto: l'ascia era piantata davanti al suo cranio, distante un dito o poco più.

«Era questo che intendeva, vero? Una prova.»

«Sì, bravo, esattamente questo» balbettò il Capitano. «Ora torna di là.»

Il gigante uscì tranquillo, come se invece di un'ascia avesse appena finito di maneggiare uno scaccia mosche.

Quando Decalisto fu fuori Limes s'abbandonò a un'imprecazione. «Beh, almeno è fatta. Portate via questo disgraziato, ma prima tirategli addosso un secchio d'acqua, che c'è già abbastanza puzza nelle celle.»

Tutti tentennarono e il Sergente gli rivolse un altro di quegli sguardi di rimprovero. «Ci sarebbe ancora... Ulmo» disse consultando il taccuino.

«Chi?»

«Nostro cugino, Capità» aggiunse Polporo.

«Vabbè, dai, vallo a prendere.»

L'appuntato aprì la porta giusto in tempo per sentire nuovamente l'insolito tonfo di un'ascia che cade.

«Ma lasciamo stare, Capità» aggiunse richiudendo la porta «Che noi ci vogliamo bene che è nostro parente, ma io e Martinuzzo c'abbiamo pensato, e il nostro voto lo avremmo dato comunque al gigante, il salleziano.»

Limes non parve sorpreso, ma del resto anche lui aveva già preso la sua decisione. «Bene, quindi: due mezzi punti degli appuntati al salleziano, e fa un voto. Dunque io sono l'ago della bilancia, e il mio punto e mezzo va a Cordo, che quindi è il nostro nuovo boia.»

Ci fu un silenzio, non lungo ma piuttosto eloquente.

Poi il Sergente parlò: «A dire il vero, Capitano, ci sarebbe anche il mio voto.» 

Boia chi restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora