Epilogo

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La piazza rigurgitava persone da ogni vicolo, e anche gli spalti sulle strade superiori erano gremiti tanto da rischiare un volo sulla folla sottostante. C'era spazio giusto per l'aria, ma neanche troppa perché quelli in mezzo respiravano a fatica.

Ma nessuno si lamentava, l'eccitazione per l'evento era troppa.

Sul piccolo pulpito era già tutto pronto: c'era il prelato, c'era l'ufficiale giudiziario e c'era il ceppo. Mancava il condannato ma entrò in quell'istante accompagnato da due ufficiali in una divisa tirata a lucido.

La folla s'infervorò come un cerino, iniziando a lanciare su Zuccasicci ogni tipo di improperio, oltre che di ortaggio. Il delinquente, il volto cinereo e scarno, pareva non sentirle e si lasciava trascinare docile curandosi solo di non incespicare nelle sue catene: se fosse finito faccia a terra sul selciato avrebbe perso l'ultimo briciolo di dignità che gli restava.

Le due guardie lo deposero davanti al ceppo e lasciarono campo all'ufficiale giudiziario che lesse la sentenza.

Morte, visto il grande assembramento, si avvicinò alla scena. Del resto era inutile farsi lo scrupolo di restare defilata.

«L'ha fatta proprio grossa! È per questo che lo odiano in tanti?» domandò una piccola figura incappucciata, apparsa inattesa al suo fianco.

«Non sono venuti per lui, sono qui per lo spettacolo» disse serafica Morte.

«Accipicchia, dev'essere emozionante avere tanti estimatori del proprio lavoro» commentò il Tristo Roditore. «Del mio quasi non se ne accorgono neanche i diretti interessati...»

«Ammazzarli non è il mio lavoro, lo sai bene. E comunque non sono qui neppure per me.»

«E per chi, allora?»

«Per lui.»

Il grande portone della guardia carceraria si spalancò e ne emerse una gigantesca ombra nera.

Il silenzio calò immediato e irreale. Il Tristo Roditore dovette riconoscerlo: era un'ombra più nera e gigantesca della Morte stessa.

L'uomo, se tale era davvero, s'incamminò verso il patibolo sfidando l'atmosfera surreale. Gli immensi muscoli delle braccia e dei pettorali erano tesi il minimo indispensabile per sostenere il peso di una grossa accetta, il cui manico superava il metro e mezzo di lunghezza. Il cappuccio gli cadeva floscio sul cranio e sulle spalle, nascondendo non solo le fattezze del viso, ma anche gli occhi, come risucchiati nell'oscurità.

I gradini del patibolo scricchiolarono sotto il suo peso, così come le assi di legno che componevano la pavimentazione.

Si portò al fianco del condannato e si posizionò a gambe divaricate, l'ascia puntellata tra i suoi piedi con la lama rivolta verso l'interno.

«Notevole» confermò il Tristo Roditore.

«Abbiamo fatto la scelta giusta» aggiunse una delle due guardie, quasi l'avesse sentito.

«Pare di sì...» disse l'altra, quella più sciupata ma dallo sguardo più fiero.

«Non è ancora convinto, Capitano? Ce l'ha così tanto con loro?»

«Tu sai perché i salleziani sono qui?»

«So che dopo averli schiavizzati per secoli e aver reso la loro terra un deserto arido e inospitale, abbiamo dato loro una nuova casa e una nuova dignità.»

«Ecco, forse se non gli avessimo portato via la casa non avrebbero avuto bisogno di una nuova dignità.»

«Ma non è certo colpa di Decalisto.»

«Ovvio che no.» Poi la guardia strinse le catene, così che la testa del condannato fu costretta contro il ceppo. E fece un cenno al boia.

Il gigante nero afferrò l'ascia con entrambe le mani. Morte fece lo stesso con la falce.

Il boia roteò il busto e sollevò l'arma sopra la testa. Morte assunse la postura.

L'ascia sibilò fendendo l'aria e chiaro alle orecchie di ognuno dei presenti venne prima lo schiocco molle della vertebra spezzata dalla lama e poi quello secco del legno scheggiato.

Per un secondo la testa rimase al suo posto e sul volto di Zuccasicci restò incollato un grigio stupore. Poi crollò giù, lasciando scoperta la lama rossa di sangue.

Un boato di tripudio scosse la piazza.

«Però, sembra nato per questo lavoro» commentò il Capitano.

«Già» aggiunse il Tristo Roditore. «La prossima volta che ti serve un sostituto dovresti chiamare lui.»

«Non fare lo spiritoso, non ti s'addice» commentò Morte. Poi si volse verso il nuovo arrivato: «Shimon Zuccasicci, seguimi, ti condurrò per l'ultimo tratto.»

Il delinquente la guardò quasi con sollievo: «Sì, ti prego, portami via, non voglio più avere a che fare con quel mostro.»

Morte lo condusse con piacere nella luce ultraterrena.

Il Tristo Roditore la salutò e si avviò verso un vicolo buio dove l'attendeva un vecchio ratto. Prima però volse un ultimo sguardo al patibolo: il boia di Firmiona stava riponendo con attenzione i resti del condannato su una lettiga, per poi condurli nel loro ultimo viaggio.

«Sì, un sostituto perfetto» disse prima di sparire nel buio. 

Boia chi restaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora