CAPITOLO 4: OSCURITÀ

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Capitolo 4:

Entrambi attraversarono il lunghissimo corridoio che, ad ogni passo, si faceva sempre più lugubre.

Ai lati le pareti erano colme di strane macchie, segni di unghiate, pezzi di qualcosa che, a prima vista, poteva non avere alcuna forma. Una sostanza densa di peccato colava dagli angoli del porticato antistante, nessun anelito osò interrompere la calma inquietante che si diffondeva in quegli sanzioni lerci di vecchiume e morte, eppure, quell'incomunicabilità riusciva a rendere loquaci le memorie che popolavano gementi quei luoghi.

Maryjane cercava di brancolare nell'oscurità dietro i passi ridondanti Sebastian che, su quel pavimento di marmo, ricordavano il rumore delle lancette di un quadrante di orologio. Voltando la testa, la donna si lascio incuriosire da un rivolo di sangue ancora fresco che scivolava deliziosamente su una colonna sotto al portico esterno.

I suoi occhietti ingenui si protrassero e la boccuccia di madreperla si arricciò un po' infastidita da quella vista.

Sebastian, con la coda dell'occhio, notò l'atteggiamento della fanciulla che ancora indossava le vesti color giglio capaci di agghindarla nella più pura semplicità. Stette a guardarla sentendosi colpevole, strinse le spalle come se non volesse essere giudicato da un tale atteggiamento, ma in fondo lui divertiva a torturare e poi ingurgitare ingordamente le prede che ora erano ridotte a resti mutilati.

Solo il movimento delle labbra della donna lo facevano innervosire.

"Cosa? ti fa ribrezzo, non è vero? Una signorina inglese non si sporcherebbe mai le manine profumate con del laido sangue."

Faceva sempre così, la solitudine gli aveva fatto sviluppare un inconsueto metodo di autodifesa. Se solo pensava di essere attaccato, allora, aggrediva per primo mettendo chiunque sotto scacco senza lasciare la possibilità di esprimere la propria opinione.

La donna emise un sospiro poi gentilmente riprese parlare:

"Effettivamente venire sapere che il fluido, lì sulle pareti, faceva parte di un mio simile, mi fa provare una pesante angoscia per chi è divenuto parte dei tuoi pasti. Credo sia la manifestazione più ovvia per chi prova un po' di empatia dentro di sé."

Concluse facendo sì che le mani si stringessero in un abbraccio sudaticcio.

"Non è proprio il mio caso."

Sbuffò lui orgogliosamente con la voce di uno totalmente disinteressato.

"Eppure è la tua natura." Soggiunse la vocina della ragazza.

Come la sua natura? Perché a un essere umano doveva interessare del modo di vivere di un demone? Perché preoccuparsi tanto di questo relativismo culturale quando non aveva assolutamente nulla da perdere? Poteva benissimo sbattergli in faccia quanto i suoi modi fossero animaleschi e disgustosi e quanto quello che facesse fosse crudele. Perché non lo denigra va? Non le importava di quello che le sarebbe capitato? Oppure proprio perché era timorosa del suo destino cercava di dosare bene i termini? No, a cosa sarebbe servito? Era all'inferno!

Con qualunque comportamento avrebbe scontato la sua pena in una di quelle fredde celle dimenticate da Dio.

"Rifletti, è come dire ad una fiera che è feroce solo perché per sostentarsi è costretto a ad uccidere una gazzella, o dire ad una serpe che è malvagia solo perché quando cattura una lepre la stritola. Non è poi così giusto, non trovi? Magari quella tigre aveva deciso di sacrificare l'animale più anziano del branco per risparmiare un cucciolo nato da poco o, che ne so, la serpe poteva aver scelto quel metodo per uccidere perché fa perdere i sensi subito senza soffrire, arrivando più ossigeno ci si addormenta e la morte e dolce.

SETTE GIORNI ALL'INFERNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora