Il ragazzo del Kansas

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Capitolo 1 – Il ragazzo del Kansas



Ricordo ancora il giorno in cui i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta.
Molte cose di quegli anni sono svanite, ma non quella.
Era il febbraio del 1945, ma non rammento il giorno preciso.
Sembrano tutti uguali quando sei in guerra...
Ti svegli tra le urla, marci tra il sangue e la merda, calpestando brandelli di corpi, amici, nemici, non fa differenza. Da morti siamo tutti uguali...
Combatti, tra il fuoco, le urla disperate, e lo scoppio delle granate tutto intorno a te, ne uccidi uno, poi due, poi un' altro ancora, uccidi tutti quelli che ti si avvicinano, finché alla fine non resti solo.
Il sole tramonta sul campo di battaglia, e tutto diventa silenzioso.
Non ci sei abituato a quel silenzio, e quasi ti mette paura.
Conti i nemici sotto di te, gli amici che ancora sono in piedi, e alla fine ti stendi nel fango e chiudi gli occhi.
A volte mi sembra quasi di vivere in un lunghissimo incubo, che si ripete all' infinito.
Mi sveglio solo quando sto dormendo... E allora torno a casa, nel Kansas.
C' è una fattoria, a sud, circondata da verdi colline e campi di granturco.
Mio padre soleva stare sotto gli alberi da frutta, alla fine della giornata, quando il sole si andava a nascondere dietro il boschetto di noci.
Fumava la sua pipa, guardandoci giocare.
Mamma si sedeva al suo fianco, di solito a rammendare i nostri calzini, canticchiando qualcosa.
Io e mio fratello Sam, ci rincorrevamo per il giardino, fingevo di essere un cowboy, e lui un' indiano selvaggio.
Non so dove sia Sam ora... abbiamo smesso di ricevere le sue lettere sei mesi fa.
Scrivevo sempre a casa anch' io, all' inizio.
Sto bene mamma, mangio abbastanza. La neve è molto bella, ti piacerebbe.
Non preoccuparti papà, il mio sergente dice che sono bravo ad ammazzare crucchi, che me la caverò.
Tornerò a casa presto.
Scrivevo cose così, all' inizio.
Ma più il tempo passava, più avanzavamo nella neve, più il cibo iniziava a scarseggiare. Faceva freddo, e i morti ormai non li contavamo più.
Campi interi si estendevano dietro di noi, dove una volta si coltivavano patate e pomodori... ora giacevano corpi mutilati, che irrigavano col sangue quelle terre.
Era questo che coltivavamo adesso, uomini.
Mi manchi mamma, portami a casa papà.
Avrei voluto scrivere questo, ma sapevo di non potere.
Perciò mentivo. Era la cosa più misericordiosa che potessi fare per loro.
Non ero più il ragazzo che avevano cresciuto...
I miei capelli prima del colore del grano, erano pieni di fango.
I miei occhi verdi e brillanti, erano solcati e vuoti.
Non ricordavo più cosa volesse dire sorridere.
Sorridere di gioia, per i fuochi d' artificio o il gelato alla fragola.
Sorridevo adesso, quando c' entravo alla testa uno delle SS.
Non riuscivo neanche più a piangere ormai.
Come quando ti sbucci un ginocchio correndo, o cadi da un' albero.
Il dolore era costante, era quello a ricordarmi di essere vivo.
Il dolore e la rabbia.
E in fondo, nascosto in un luogo quasi dimenticato, c' era la speranza.
La speranza di tornare a casa, di rivedere il mio fratellino.
Ma fu quel giorno di febbraio , che la speranza tornò a
bussare alla mia porta.
Non so' se fosse giorno o notte, ricordo solo che era buio.
Eravamo caduti in un' imboscata nemica, ed io giacevo nel fango.
Facendomi scudo con i cadaveri, mi spingevo sempre di più verso di loro.
Sparavo, uccidevo, e mi nascondevo.
Ancora e ancora.
Sentii un sibilo accanto all' orecchio sinistro, poi qualcosa mi colpì alla spalla.
Non faceva male, non in quel momento almeno, ma il braccio era intorpidito, e non riuscivo ad alzare il fucile. Era quello a preoccuparmi.
Poco dopo udimmo un' esplosione.
I nostri esultavamo, gridavano cose come "siamo salvi!" "È arrivato l' angelo!"
Ma io non riuscivo a capire.
Pensai che fossero impazziti tutti.
Fu allora che lo vidi...
C' era un uomo che avanzava verso i nemici, e al suo passaggio, tutti i nostri lo seguivano, e tutti i tedeschi cadevano a terra, come colpiti da proiettili invisibili.
La prima cosa che notai di lui furono le ali nere, cucite sul giubbotto militare. Sembravano quasi vere.
Poi il suo fucile, non ne avevo mai visto uno cosi...
Era a forma di croce.
L' uomo correva da una parte all' altra, sparando all'impazzata contro i nemici che aveva di fronte, senza esitazione ne paura.
Quelli che riuscivano ad avvicinarsi a lui, venivano trafitti dal suo coltello dorato, anch' esso a forma di croce.
Quando sul suo cammino non rimasero che un pugno di tedeschi, si fermò.
Loro si misero in ginocchio, alzando le braccia in segno di resa.
"Credete in Dio?" Chiese l' uomo.
Loro annuirono.
Lui gli scrutò qualche istante, prima di rivolgerli il segno della croce.
Per un momento, sembrarono sollevati.
"Dio abbia pietà della vostra anima, fratelli." Disse.
Poi imbracciò il fucile, e li uccise uno per uno.
Rimasi qualche momento a fissare la scena, cercando di inquadrarlo meglio.
Si girò distrattamente, per riporre il coltello nella fondina, e in quel momento i nostri sguardi si incrociarono.
Aveva gli occhi azzurri come il cielo d' estate.
I capelli neri e folti e labbra carnose, distoglievano l' attenzione dalle numerose cicatrici sulla fronte, sugli zigomi, e intorno alla bocca.
Tutto intorno a lui c' era il fuoco, e gli altri soldati sembravano scomparire nel fumo grigio della guerra, mentre lui risplendeva come un' angelo, sceso nella valle dei mostri per portarci in salvo.
Pensai di non aver mai visto niente di più bello...
Me ne stavo li a pensare a queste cose, e non mi resi neanche conto che stava venendo verso di me, con passo lento e sicuro.
Mi si parò di fronte, si accese una sigaretta e mi porse la mano.
"Capitano del secondo reggimento Castiel Novak. Ma puoi chiamarmi Cas."

L' angelo della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora