Guarda solo me

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Arrivammo a Dresda alle prime luci dell' alba.
Camminammo circa quattro ore prima di arrivare, e nonostante avessimo visto il sole nascere ed alzarsi dietro le colline, a metà strada sembrò sparire, inghiottito dal cielo nero sopra di noi.
C' era un silenzio terrificante, gli uomini erano troppo nervosi per parlare, e anche gli uccelli se ne stavano nascosti tra i rami, in silenzio.
Più ci avvicinavamo, più l' aria diventava densa, rendendoci difficile respirare. Iniziai a tossire pesantemente, finché Castiel mi passò uno straccio e mi disse di legarlo intorno alla bocca e al naso. Mi diede una pacca sulla spalla, e fece fare lo stesso anche gli altri.
Andava meglio, anche se non riuscivo a vedere a più di una decina di metri da dove mi trovavo.
"Continuate a camminare! Siamo vicini..." Disse Castiel, qualche passo davanti a me. "Occhi aperti!"
Mentre camminavo, notai distrattamente qualcosa che luccicava alla mia sinistra, sotto uno strato di cenere.
La spostai con il piede.
Presto mi resi conto che era una mano umana, al cui dito ancora brillava la fede.
Mi venne da vomitare, ma chiusi gli occhi e cercai di trattenermi.
"Kansas." La sua voce mi fece rinvenire, come una secchiata d' acqua fresca sul viso. "Continua a camminare."
Misi un piede davanti all' altro, sforzandomi a guardare dritto davanti a me...
Un soldato poco distante, credo si chiamasse Ray, si fermò e staccò l' anello dal dito, per poi metterlo al proprio.
"Come puoi fare una cosa simile?" Sbottai.
Lui sulle prime rise e fece spallucce.
Io continuai a guardarlo, finché smise di sorridere e la sua espressione divenne malinconica.
"Ho dei bambini a casa..." Disse, guardando altrove. "Almeno potrò dargli da mangiare quando..." Non continuò la frase.
Sebbene trovassi ancora disdicevole quel gesto, capì perché l' avesse fatto.
Era un ragazzo di colore sulla trentina, che di solito cantava sempre.
"Come si chiamano?" Gli chiesi.
"Rosie. Lei è la più grande... E poi c' è Max. Sai gli stavo insegnando ad andare in bici prima ch-..."
Mi girai confusamente, e lo vidi steso a terra, gli occhi sbarrati, la bocca ancora aperta, come se dovesse finire la frase.
"Cecchini!" Urlò Castiel. "Correte! Dobbiamo raggiungere l' entrata!"
Vedevo cadere a terra gli uomini, mentre gli altri correvano verso le mura in rovina di Dresda, sotto il fuoco incessante dei fucili.
"Stevens, Johnson, coprite il lato destro! Kansas e Irwin, quello sinistro!"
Non vedevo niente, perciò mi affidai alle mie orecchie per sparare.
Arrivammo finalmente nella parte est della città. Era già stata duramente colpita, perciò speravamo che oggi gli alleati avrebbero concentrato il fuoco altrove.
La cenere era così fitta da bruciarti gli occhi, non riuscivo a vedere quasi niente ormai.
Si infiltrava dentro il naso, strisciava dentro i polmoni, facendoti sputare sangue.
Tutto intorno a me stava bruciando.
Le case di pietra, le botteghe del pane, i tavoli del bar, i carri per la strada,
perfino le persone.
Per un momento mi chiesi se stessi respirando la loro cenere, in quel momento.
Si sentivano ovunque le urla di dolore, i pianti strazianti, le richieste d' aiuto.
Correvamo verso il municipio, dove i nostri erano bloccati, cercando di evitare i cumuli di pietra sulla strada, i tetti che ci cadevano adesso, i cadaveri dilaniati ai nostri piedi.
Una donna si lanciò da una finestra in fiamme, schiantandosi a qualche passo da me. La pozza di sangue si allargava intorno alla sua nuca, per poi riversarsi ai miei piedi.
Qualcuno mi tirò per il braccio, urlandomi di correre.
Mi accorsi che era Castiel, prima che svanisse nella cenere.
C' erano cadaveri in fila, ben riposti ad ogni lato della strada, con le mani giunte sopra il petto. Poco dopo vidi un paio di civili, che trainavano un carretto pieno di corpi, e ad ogni spazio vuoto ne disponevano uno.
Castiel passava e gli benediceva, disegnando croci nell' aria.
I due si tolsero il cappello quando passò, poi ricominciarono.
Una bambina con il cappotto verde piangeva sul corpo della madre, chiedendo aiuto.
Andai a vedere se c' era ancora qualcosa da fare per lei, ma non c' era.
Continuava a scuoterla, a piangere, urlando parole a me sconosciute.
La strappai dal corpo della madre.
Mi faceva male il petto nel farlo, avrei voluto urlare da quanto faceva male.
Riuscì a prenderla in braccio, e la strinsi più che potei, per qualche momento.
Cercai qualcuno a cui affidarla, ma erano tutti morti o impazziti.
C' era una signora dall' altra parte della via, che teneva al petto un bambino annerito dal fuoco.
Un' uomo portava sottobraccio la propria gamba, aggrappandosi come poteva al suo bastone rudimentale.
Iniziai a diventare nervoso. "Che cazzo ho fatto..." Mi ripetevo, guardando quella bambina dai capelli neri.
Intorno a noi, scintille di fuoco, simili alle lucciole in estate.
Sentii Castiel urlare di correre a destra, e subito dopo molti spari.
Non capii subito da dove venissero, finché non vidi dei civili sparare contro di noi, sputando insulti.
Mi misi a correre, stringendolo la piccola a me. Le cantai qualcosa, per farla stare tranquilla.
Non ricordo neanche cosa.
Corsi a lungo, seguendo la voce di Castiel, al di là della nebbia.
Ad un certo punto passai vicino ad un piccolo ristorante, al cui interno erano riparate cinque o sei persone.
Tra loro c' era una donna bionda sulla quarantina, che teneva al suo capezzale due bambini.
Corsi da lei, e con quel poco che sapevo di tedesco le chiesi di occuparsi della piccola.
Lei mi guardò per un lungo momento, aveva gli occhi verdi e i lineamenti delicati, e un vestito rosso strappato sul fianco, da cui si intravedeva una ferita.
Tremava copiosamente, eppure, le sue mani erano salde come gli artigli d' un aquila, sulle schiene dei suoi bambini.
"Come ti chiami, soldato?" Mi chiese.
"Dean Winchester." Risposi.
Annuì, e allungò le mani per prenderla.
La bambina piangeva e urlava, non voleva staccarsi da me.
Doveva avere circa cinque o sei anni, era così spaventata da essersela fatta sotto.
Mi stringeva la giacca con le sue manine così piccole, sporche del sangue della madre.
La donna dovette tirarla via con tutta la forza che aveva.
Mi inginocchiai davanti a lei, mi sfilai la collana con l' uccellino e gliela misi tra le mani, stringendole forte.
Le diedi un bacio sulla fronte, e mi allontanai.
"Buona fortuna, Dean Winchester." Disse la donna alle mie spalle.
Avrei voluto voltarmi, ma non lo feci.
Avevo paura di rivedere gli occhi spaventati di quella bambina...
Paura che dopo non sarei più riuscito a dimenticarli.
Ripresi a correre, a sparare a qualsiasi persona imbracciasse un fucile.
Quando finalmente riuscii a raggiungere Castiel, stava studiando le mappe con due soldati.
Gli altri erano tutt' intorno a loro, a formare un cerchio difensivo.
"La strada a ovest è bloccata!" Disse uno.
"Se continuiamo in questa direzione andremmo dritto verso i tedeschi" Esclamò l' altro.
Stettero un po' chini sulle mappe, in cerca di una soluzione.
"Le fogne." Esclamò Castiel. "Sono la nostra unica possibilità!"
Gli altri annuirono.
Nel frattempo avevano ricominciato a spararci.
Corremmo fino a trovare un tombino, ed uno ad uno iniziammo a scendere nelle catacombe.
C' era odore di morte e di merda.
Castiel ci fece fermare a prendere fiato, intanto che cercava di orientarsi in quelle maledette mappe.
Alcuni si sedettero per riposare, altri mangiarono qualcosa, i più si passavano una bottiglia di rum.
Io non riuscivo a stare fermo, avevo lo stomaco chiuso e mi fischiavano le orecchie, così mi allontanai un poco, in cerca di silenzio.
C' erano tre gallerie che si estendevano in direzioni diverse, partendo dalla piazzola dov' eravamo noi.
Presi quella più a destra, facendomi luce con la torcia.
Camminai per un po', ripensando a quella bambina.
Chissà se stava bene, se sarebbe mai uscita da quella città, se sarebbe mai diventata grande.
Non conoscevo nemmeno il suo nome...
Mentre ero immerso in questi pensieri, inciampai in qualcosa.
Caddi a terra, e quando mi rialzai, vidi che ai miei piedi c' era un braccio staccato di netto.
Sull' avambraccio, c' era ancora un pezzo della camicetta bianca.
Alzai la torcia davanti a me, e all' inizio non riuscii a capire cosa avessi davanti.
Gli occhi lo vedevano, ma il cervello non riusciva ad accettarlo.
Era un muro, un muro fatto di cadaveri.
Il petto di un' uomo, la schiena di una donna, il piede di un bambino, la testa di un' anziano.
Tutti ammassati uno sopra l' altro, incastrati tra i mattoni, come fossero cemento.
Quando lo realizzai, urlai.
Caddi in ginocchio.
Avevo gli occhi sbarrati, e non riuscivo a smettere di guardare.
"Kansas! Kansas stai bene?" Era la sua voce.
Avrei voluto rispondere, ma non ce la facevo.
Sentii il rumore dei suoi passi che si avvicinavano.
"Kansas mi sent-?"
I passi si fermarono, la voce s' interruppe, la torcia cadde a terra.
"Dio onnipotente..." Sussurrò.
Ci fu un lungo momento di silenzio, poi lo sentii avvicinarsi, fino a mettersi in ginocchio, frapponendosi tra me ed il muro.
"Dean..." Mi disse, prendendomi il viso tra le mani.
"Devi alzarti adesso. Dobbiamo andare via da qui..."
"È troppo. Troppo per me..." Balbettai. "Sono solo un ragazzo del Kansas. Non dovrei essere qui... Non dovrei essere qui."
"Lo so. Nessuno di noi dovrebbe. Ma ci siamo. E ora dobbiamo pensare a come uscire, mi capisci? Chiaramente quel... quel muro serve a bloccare la strada per il municipio. Perciò dobbiamo trovare un' altra via..."
"Un muro... un muro di persone..." Continuai a ripetere, sotto shock.
"Non pensare a quello. Mi senti? Pensa... Pensa ai campi di granturco."
Per un momento riuscì ad intravederli nella mia memoria, poi di nuovo, quel muro.
"Pensa alle fragole." Mi disse lui, cercando di catturare i miei occhi con i suoi. "Ai fuochi d' artificio del quattro luglio. Pensa ai tuoi che ballano, accanto all' albero di natale. Alle ali di cartone di tuo fratello. Di che colore erano? Te lo ricordi?"
"Rosse. Erano rosse..." Sussurrai io, alzando gli occhi verso di lui.
Dietro di lui c' era ancora quella cosa.
"Non posso guardarli... Cas non voglio guardarli..."
Lui mi spostò il viso con le mani, guardandomi fisso negli occhi.
"Guarda me Dean. Guarda solo me... Lo so che hai paura.
Non ti dirò di non averne. Ma tu guarda me ok? Concentrati su di me."
Ci provai. Provai a fissare il blu dei suoi occhi, ad immaginare il cielo azzurro e limpido. Ci provai con tutte le mie forze, e per qualche momento, mi sembrò di vederlo davvero.
Poi sentimmo dei boati. Uno dopo l' altro, così forti da far tremare le pareti.
Le bombe stavano di nuovo cadendo dal cielo...
"Guarda solo me." Ripetè lui.
Lo feci, mentre i mattoni cadevano dal tetto.
"Quanto... Quanto è alta la luna..." Iniziò a cantare.
Appoggiai la fronte contro la sua, mentre i boati divennero così forti da sentirne l' eco dentro il petto.
"Amo questo cielo quando sei vicino..." Continuai io, con la voce incrinata.
Mi strinse le guance, mentre la polvere scendeva.
"Voglio sentire la musica. Voglio essere dove sei tu..."
Cantava debolmente lui, mentre tutto diventava buio.

L' angelo della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora