A un passo da te

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Lentamente, il buio si dissolse, mentre il fumo si diradava ed i suoi occhi tornavano a splendere di fronte ai miei, promettendo cieli limpidi d' estate e carezze appena accennate.
Immaginai il campo di granturco davanti la mia casa, immaginai il sole sulla faccia, il vento fresco tra i capelli, il canto degli uccelli, i piedi nudi sulla terra.
Immaginai il suo sorriso, le sue mani sul mio viso, immaginai un bacio, l' odore della sua pelle, le mie braccia intorno alla sua schiena.
Ed era bello, così bello, che avrei potuto non riaprire più gli occhi, e restare immerso in quel sogno.
Sentivo una sensazione calda nel petto, come non l' avevo mai provata.
"Dean..." Sussurrò Castiel.
Aprì gli occhi, che bruciavano per via della polvere.
Le sue mani erano ancora sul mio viso, le mie aggrappate alla sua vita.
Era così vicino a me, che mi sarebbe bastato un piccolo movimento per baciarlo.
Sapevo quanto folle fosse quell' idea, ma qualcosa nei suoi occhi, mi diceva che era la cosa giusta.
Rimanemmo qualche momento così, immersi l' uno nell' altro, fermi su quella linea sottile che divide il sogno dalla realtà.
Improvvisamente udimmo delle voci, il rumore dei passi che si avvicinavano a noi, ed il momento passò.
Ci staccammo, alzandoci frettolosamente in piedi, e tornammo alla realtà.
Due soldati ci raggiunsero da li a poco, in attesa di nuovi ordini.
Castiel li chiese qual' era la situazione e se ci fossero morti o feriti.
"Una delle gallerie è crollata, tre morti e due feriti, signore." Rispose uno.
Lui, annuii, fece un profondo respiro e li mandò a controllare se il tombino dal quale eravamo entrati si apriva e se fosse sicuro al di sopra.
Nel frattempo tornammo dal gruppo, e una volta che ebbe benedetto i morti e soccorso i feriti, ci accingemmo ad uscire.
I due soldati ci aspettavano in superficie, assicurando l' uscita.
La situazione una volta fuori, peggiorò in fretta.
Gran parte della zona era stata devastata dalle bombe, le case erano distrutte, gli abitanti in ginocchio.
Cercammo di metterci in contatto con i nostri, ma dall' altra parte non rispondeva nessuno.
Non sapevamo se la ricetrasmittente fosse rotta, o se loro fossero morti.
"Dobbiamo andare a controllare." Esclamò Castiel. "Non gli abbandoneremo al loro destino. Ma... Non possiamo abbandonare neanche loro." Disse, guardando la povera gente di Dresda.
Sapevamo che la missione era recuperare i nostri uomini, ma non potevamo restare indifferenti di fronte a quella carneficina.
"Perciò, mentre cerchiamo una strada per il municipio, daremo una mano. Restate uniti e occhi aperti!"
I soldati annuirono, alcuni più convinti di altri, poi ci mettemmo in cammino.
Nel frattempo, continuammo a cercare di metterci in contatto con i ragazzi.
"Stiamo arrivando, resistete." Diceva alla radio Ben, un ragazzo poco più grande di me, che veniva dall' Alabama.
Non lo avevo mai visto piangere, fino ad oggi.
Era dura per tutti noi, camminavamo su strade rosso porpora, la città bruciava e si sgretolava sotto i nostri occhi, la gente piangeva sui suoi morti, urlava di dolore, chiedeva aiuto, intrappolata tra le macerie.
E noi eravamo pochi, troppo pochi, come le stelle d' inverno nascoste dalle nuvole.
Il municipio distava circa un kilometro da dov' eravamo noi, in condizioni normali ci avremmo messo meno di un' ora per arrivare.
Ma avanzavamo lentamente, dovevamo scalare le macerie o strisciare tra di esse, per procedere nella giusta direzione.
Ogni tanto sentivamo degli spari, non sapevamo se erano soldati o civili, ma non aveva importanza ormai.
Soccorrevamo chi potevamo, quando potevamo.
Estraemmo molte famiglie dalle rovine delle loro case, medicammo uomini con il corpo bruciato dalle fiamme, bambini senza più gambe, brava gente che non meritava l' orrore che stava vivendo.
Ma non tutti la pensavano così. Alcuni si rifiutarono d' aiutarli, nonostante le minacce di Castiel sulle conseguenze di quel gesto.
"Se la sono cercata." Dicevano. "Hanno sostenuto Hitler, chiuso gli occhi di fronte a ciò che faceva. Condannato a morte i loro simili."
"Spetta a Dio giudicare, non a voi. Molti di loro non sapevano quello che stava accadendo. Fanno ciò che il loro governo gli ordina di fare, come noi."
Ma le parole di Castiel non bastarono.
Per ore infinite che sembrarono giorni, continuammo ad avanzare.
Riuscimmo ad arrivare al municipio, non so se fosse notte o giorno, ma eravamo tutti a pezzi, al limite delle nostre forze.
C' era chi non si reggeva in piedi, e doveva appoggiarsi ai compagni per proseguire, molti erano feriti, alcuni non avrebbero più visto sorgere il sole.
Dei 24 soldati che eravamo venuti a salvare, ne erano rimasti 13, tra quelli nel municipio e quelli che stavano arrivando dalla scuola.
"Meno della metà, e dobbiamo ancora uscire da Dresda." Sussurrava Castiel, massaggiandosi le tempie.
Era seduto a terra, con la schiena appoggiata a quel che rimaneva della parete, e la testa che sprofondava tra le ginocchia.
"Forse il maggiore aveva ragione, Kansas. Sono stato un pazzo!"
Mi sedetti accanto a lui, e allungai la mano, senza neanche rendermene conto.
Gli sfiorai i capelli con le dita, alla base del collo, dov' erano più corti.
Per una manciata di secondi, lo accarezzai dolcemente, come si fa con un bambino quando sta male.
"Hai fatto quello che ritenevi più giusto. Abbiamo salvato tante vite oggi, Cas, non dimenticarlo. Sai, mio padre diceva sempre che la scelta giusta, è anche quella più difficile. Sarebbe fiero di quello che hai fatto."
Lui emise un gemito strozzato, tremando un poco.
Era sempre così sicuro di se, così forte e coraggioso, come se niente gli facesse paura, che nella mia mente aveva iniziato ad assomigliare ad un eroe. Come quelli che popolavano i fumetti che leggevo da bambino.
Ora sembrava quasi che la sua corazza stesse crollando, e che il suo mantello stesse volando via.
Era solo un uomo, un' uomo che si sforzava di non piangere, mentre il mondo attorno a lui bruciava.
Chiusi gli occhi mentre lo accarezzavo, sognando i campi di granturco.


Erano passate quattro settimane da quel giorno a Dresda, ci trovavamo a Tauber, un piccolo paesino che ancora non era stato colpito dalle bombe o dal fuoco.
L' incubo dal quale eravamo usciti era lontano, le ferite del corpo erano quasi guarite, quelle dell' anima, non lo sarebbero mai state.
Nonostante tutto, avevamo riportato indietro 11 soldati, e aiutato decine e decine di civili, perciò cercavamo di aggrapparci a questo per andare avanti.
Ogni tanto mi chiedevo come stesse quella bambina dal cappotto verde, se fosse viva, se qualcuno la stesse cullando tra le braccia, se riuscisse a ridere e giocare, come si dovrebbe fare alla sua età.
Speravo di si.
Ancora non sapevo, che quella bambina sarebbe stata la mia salvezza, in un giorno molto lontano da questo.
Era quasi l' alba, e da li a poco saremmo dovuti ripartire.
C' eravamo fermati per fare rifornimento di viveri e benzina, avevamo ancora molta strada da fare, prima di poterci fermare di nuovo.
Mi trovavo su una collina in quel momento, a fare la guardia sulla zona.
C' era una vista bellissima da lassù... potevo vedere le piccole case colorate, e al di la di esse, i campi coltivati che si estendevano fino alle montagne innevate.
Tra le bianche cime che si ergevano imponenti, stava spuntando il sole, colorando il cielo di rosa, viola e arancione.
La neve luccicava, e l' aria era profumata.
Appoggiato ad un albero da frutta, mi godevo quella pace, i profumi ed i colori, che per tanto tempo erano stati solo un ricordo.
Sentii dei passi, e quando mi voltai, sorrisi d' istinto.
"Posso farti compagnia, Kansas? Sembra piacevole quassù."
Disse lui avvicinandosi.
"Certo... Hai più bisogno di me, di questi colori..." Risposi, voltandomi di nuovo verso la vallata.
Lui continuò ad avvicinarsi, fermandosi dietro di me, così vicino che potevo sentire il suo respiro, ma senza toccarmi.
"C' è pace qui..." Disse. "Era da tempo che non..."
"Lo so Cas."
Restammo a guardare sorgere il sole sui campi e le case, e lentamente, mentre esso si alzava, Castiel si avvicinava a me.
Si appoggiò contro la mia schiena, posando la testa tra la mia spalla ed il collo.
Era piacevole, tanto che non avevo il coraggio di muovermi, per paura che finisse da un momento all' altro, come fosse un sogno.
Timidamente le sue braccia mi circondarono la vita, fino a stringermi con forza.
"Non so cosa sto facendo Dean..." Sussurrò al mio orecchio. "Ma voglio... Voglio stare qui con te, così."
"Allora fallo..." Risposi accarezzandogli le mani, incastrando le mie dita tra le sue.
Per un lungo momento, mi sembrò che la guerra non ci fosse, che non fosse mai nemmeno esistita.
Che fosse solo un' incubo...
Mi sentivo così caldo, protetto.
"Mi sembra di essere a casa..." Dissi, mentre mi voltavo un poco verso di lui.
Castiel sorrise, era bello vederlo sorridere.
"Parlamene ancora Dean. Fingi che siamo li in questo momento..."
"Non c'è nessun' altro posto dove vorrei essere, in questo momento."
Mi voltai ancora un poco, in modo da girarmi completamente verso di lui.
Il suo petto era premuto contro il mio, le sue mani mi accarezzavano, scendendo e salendo sulla schiena, mentre il tempo si fermava.
Tenevo il suo viso tra le mani, e con le dita gli accarezzavo le guancie, mentre le nostre fronti erano appoggiate l' una contro l' altra, ed i suoi capelli mi solleticavano gli occhi chiusi.
Si chinò un poco, baciandomi la guancia, e tenendo premute su di essa le sue labbra. Sentivo il suo respiro sul collo, e mi faceva venire la pelle d' oca.
Spostai il viso, cercando le sue labbra.
Così vicine alle mie, eppure così distanti.
Lo vidi per una frazione di secondo, nascosto tra gli alberi, con un fucile in mano.
I miei occhi si sbarrarono, ed il tempo ricominciò a scorrere.
Il mio primo istinto fu di spostare Castiel, di spingerlo via con tutta la forza che avevo.
Cercai di estrarre la pistola, poi sentii il colpo.
E d' improvviso arrivò il dolore.
Caddi a terra sulla schiena, e mentre scivolavo vidi Castiel sparare all' uomo. Poi il cielo, che spuntava tra le foglie gialle e marroni dell' albero.
Iniziò a mancarmi il respiro, mentre lui si chinava su di me.
Quando mi prese il viso tra le mani, la vista si appannò.
Lo sentivo urlare il mio nome, mentre il mio corpo diventava freddo.
Mi sollevò da terra, prendendomi tra le braccia, scuotendomi.
"Andrà tutto bene Dean! Resisti, non mollare proprio adesso! Non... Non farmi questo ti prego..."
Guardai i suoi occhi, così tristi e così belli da fare male, e pensai che nonostante tutto, sarebbe stato bello morire guardandoli.
Sarei andato incontro alla morte con un dolce ricordo, anche se avrei tanto voluto baciarlo, almeno una volta...
Dean...
Quella voce, quella voce così famigliare...
Dean...
Guardai sopra di me, e vidi il volto di mia madre.
I suoi capelli biondi mossi dal vento, che mi sfioravano il viso.
Le sue mani delicate che mi accarezzavano.
Non avere paura, piccolo mio... Sono qui con te.
Disse con un sorriso caldo, e gli occhi verdi carichi di dolcezza.
Mi baciò la fronte, e io chiusi i miei.

L' angelo della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora