Le settimane che seguirono furono molto dure.
Il freddo, la fame, e la paura, mi seguivano costantemente ovunque andassi, come un' ombra.
I miei capelli erano ancora sporchi di fango, e i vestiti impregnati di sangue.
Gli amici morivano tra le nostre braccia, senza che si potesse fare niente per aiutarli. Avevamo finito gli antidolorifici e gli antibiotici, anche le garze iniziavano a scarseggiare.
Tutti i rifornimenti erano bloccati a nord di Dresda.
La città era sotto bombardamento da giorni ormai.
Tra il 13 ed il 14 febbraio, le forze aeree dell' esercito inglese e di quello americano, avevano concentrato li la loro potenza di fuoco.
Incessante ed inclemente, stava letteralmente radendo al suolo la città, casa per casa, mattone per mattone.
I soldati tedeschi al suo interno cercavano di evacuare gli abitanti, ma la loro priorità era di salvare fucili, cannoni e munizioni, indispensabili per le battaglie future che avrebbero segnato il loro destino.
Anche se eravamo a kilometri di distanza, sentivamo chiaramente le devastanti esplosioni, puntuali allo scadere di ogni ora.
Il fumo che si alzava dai tetti e dalle cupole delle chiese, aveva creato uno spesso strato di nuvole sopra la città, che viveva oramai nel buio.
Solo il fuoco la illuminava... Decine di giganteschi fiori di fuoco, rossi e arancioni, che spiccavano su un campo nero e morto.
E li, tra le fauci dei due giganti, c' erano una ventina di soldati americani, bloccati in una città che si stava tramutando in fumo.
Assediati dai soldati nemici, con le bombe che li piovevano addosso, i nostri resistevano come potevano.
Avevano organizzato la base operativa nel municipio, e un' ospedale da campo nella scuola.
Vorrei poter dire che i loro ricetrasmettitori erano rotti, e che non potevano comunicare la loro posizione alle forze alleate.
Che nessuno sapeva che erano li.
Ma lo sapevano.
Solo, ritenevano quella perdita accettabile.
C' erano cose più importanti in ballo, e quei soldati non erano che numeri, senza nome e senza volto.
A nessuno importava di loro.
A nessuno eccetto che a Castiel.
Il maggiore Richards, gli urlava che era un suicidio, e scuoteva le mani con rabbia, indicando le truppe.
Era un uomo tarchiato sulla cinquantina, che portava sempre con se una fiaschetta argentata piena di bourbon, a cui si attaccava prima e dopo ogni battaglia.
Continuò a ripetere quella parola, mentre i soldati annuivano a testa bassa, troppo spaventati per alzare lo sguardo.
Nessuno voleva morire... C' erano famiglie che li aspettavano dall' altra parte del mare. Padri, fratelli, figli e mogli.
Volevano solo tornare a casa, potevo capirlo.
Avevano già sofferto abbastanza, perso abbastanza.
I nostri responsabili di grado superiore, appoggiavano la decisone del maggiore, elencando i molti rischi a cui saremmo corsi incontro, le centinaia di perdite.
I più avevano lo sguardo pieno di rimorso e di dolore.
Sapevo che non stavano prendendo quella decisione alla leggera.
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L' angelo della morte
FanfictionDean è un giovane soldato, ancora pieno di speranza e d' innocenza, che viene catapultato dai campi di granturco del Kansas alla Germania del 1945. Castiel era un prete, ora è un soldato del signore, freddo e spietato, che protegge i suoi agnelli uc...