Capitolo 6

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Passarono letteralmente un giorno e mezzo in casa, per riprendersi dallo stress del viaggio e della gara. Kain sembrava già starsi abituando a vagare per quelle camere e anche -a malincuore- alla cucina di Clyde, che dovette riconoscere come migliore alla sua. In fondo non era mai stato 'sto granché ai fornelli, ma era sempre una fitta al cuore dover riconoscere la sua incapacità in qualsivoglia ambito. Quel posto, comunque sia, era davvero bello: non era sicuramente in centro della Francia, niente Parigi e niente Torre Eiffel, ma Reims aveva assolutamente un certo fascino.
«Ci troviamo a "solo" 300km di distanza da Le Mans, topolino» il tono di voce del francese era stranamente dolce. Si avvicinò all'altro, intento a osservare il panorama fuori dalla finestra, e gli cinse la vita con le braccia, dalla schiena. Lo sentì sussultare per quel contatto improvviso, e non trattenne una risatina. «Lì ti ho visto correre dal vivo per la prima volta, qualche anno fa. Ero emozionato come un bambino» ammise, immaginando già il viso del campione in quel momento: non poteva vederlo, ma era certo che fosse arrossito e stesse fingendo quella sua espressione corrucciata quanto adorabile. Il suo «idiota» appena sussurrato come risposta gli diede conferma di quei pensieri. Non aggiunse altro, perdendosi anche lui ad ammirare il cielo all'imbrunire in quella fredda serata di inizio maggio. Dopo qualche minuto prese le distanze da Kain, e con aria pienamente convinta della sua idea esclamò «datti una sistemata che usciamo!». Lui si voltò subito, rivolgendogli uno sguardo abbastanza perplesso. «Cosa? E me lo dici così? Lo sai che sono una donna, ci metto ore a sistemar..-» non riuscì a finire la frase che Clyde lo trascinò forzatamente tra le sue braccia, sollevandolo di qualche centimetro da terra. «Française de merde, mettimi giù!» «Sei già perfetto così, vestiti e cammina. Non ho intenzione di aspettare decenni per cenare, mon chéri» ribatté, prima di metterlo giù proprio davanti l'armadio. Kain sbuffò, spostandosi i riccioli dal viso.  Dopo aver preso rapidamente degli abiti per cambiarsi, corse a chiudersi in bagno cercando di rendersi presentabile nel minor tempo possibile. Lo raggiunse solo venti minuti dopo, con i capelli ancora in parte umidi per la doccia appena fatta ed i soliti vestiti attillati addosso. A vederlo arrivare Clyde non trattenne un sorriso estremamente dolce, prima di porgergli la mano e invitarlo a seguirlo. Non erano tipi da bodyguard e scorta, soprattutto in quei pochi giorni di libertà che avevano a disposizione: come avevano già fatto una volta, iniziarono ad andarsene in giro come se nulla fosse, sempre in sella alla moto del francese. «Dove hai intenzione di portarmi stavolta, teppista?» «Te l'ho già detto, a cena fuori. Stavolta come si deve» precisò, facendo scappare una risatina al ragazzo dietro di lui. «Non hai paura di essere visto dai giornalisti?» «Allora scusami mon chéri, ti porto ad una noiosa e per nulla sospetta cena tra colleghi. Preferisci?» «Assolutamente» rispose tra le risa. A quel punto la conversazione terminò, e i due rimasero in silenzio per il resto del tragitto. Si fermarono davanti ad un locale poco distante dalla splendida cattedrale della città, e Clyde prima di entrare accennò un mezzo inchino esclamando con fare teatrale «dopo di lei, Milady». L'altro finse di ignorarlo, avvampando in viso. Appena lo ebbe abbastanza vicino, gli diede una lieve gomitata all'altezza delle costole, sussurrando un molto romantico «ti ammazzo, Gautier».  

Nonostante la scelta di un tavolo abbastanza appartato, non mancarono di certo saluti e foto varie da parte di sconosciuti; loro però non sembravano infastiditi. Kain anzi era totalmente a suo agio, e i suoi sorrisetti sembravano stranamente sinceri quella sera.
«Sai parlare francese mon petit souris o mi tocca fare da traduttore?» «Va te faire foutre, mangia-baguette» ribatté di colpo «l'ho studiato in questi anni, quando non rimorchiavo uomini e non correvo, sai..» «Stai cercando di farmi ingelosire?» «Non sei il mio ragazzo e non abbiamo scopato, non hai il diritto di farlo.» «Oh insomma, chiudi la bocca prima che ci sentano..». Quel solito scambio di battutine taglienti si concluse in risate generali, come sempre. A riportare Kain al mondo reale fu la voce di una donna, seguita da un bambino -sicuramente suo figlio-. Era davvero piccolo, poteva avere forse quattro, cinque anni massimo. Se ne stava mezzo nascosto dietro la lunga gonna della madre, che col sorriso più dolce -e in imbarazzo- del mondo cercò di improvvisare qualche parola in inglese nella speranza di comunicare con il campione. «S-Scusate.. Non volevo disturbare ma..» Kain la fermò subito, ricambiando il sorrisetto. Poi mormorò «capisco il francese», per dare modo alla donna di parlare con più tranquillità. Preso un altro respiro, allora ricominciò a parlare: «Mio figlio è un vostro grandissimo fan, vorrebbe un autografo ma non riusciva a chiedervelo» l'agitazione della donna era palpabile: in effetti l'idea di dover interagire con delle sorta di celebrità non calmerebbe proprio nessuno, ma i due cercarono di fare di tutto per non rendere eccessivamente pesante quella situazione. Kain, a differenza di quanto Clyde potesse aspettarsi -non lo credeva un tipo "da bambini", insomma- allargò le braccia verso il piccoletto lasciandosi stringere. Quasi non piangeva di gioia mentre gli porgeva con quelle manine un piccolo quaderno pieno di scarabocchi e quant'altro, per avere quell'autografo. Non disse molto preso dall'emozione com'era, ma quando ebbe finito anche con Clyde riuscì a mormorare un dolcissimo «vi voglio bene!» prima di tornare al suo posto con la madre. Il sorrisetto sul volto di Kain di fronte a quella scena era indescrivibile. Clyde rimase qualche secondo imbambolato a fissarlo, prima di dargli un lieve pizzicotto sulla guancia come per richiamare la sua attenzione. «Una delle parti migliori del nostro lavoro, no?» mormorò, ricevendo come risposta un cenno di assenso col capo. «Amo tutto questo» sussurrò poco dopo, costringendo il francese a sorridere a sua volta come uno stupido davanti a quel faccino così innocente. Non sembrava il solito Kain Gray in quel momento. Vederlo fuori dalla pista, lontano dalle telecamere, gli permetteva di ammirare ciò che si celava dietro quella maschera, quel semplice personaggio creato per accontentare i media e i giornalisti. Kain era molto più di quello che si ostinava a mostrare, e Clyde lo aveva capito subito. «È una bella sensazione "essere qualcuno"?» mormorò ingenuamente dopo qualche momento di riflessione. «È una bella sensazione essere qualcuno e riuscire a far felici gli altri, anche soltanto con un saluto» ammise, giocando nel frattempo con i riccioli sul suo viso. Non era solito fare quei discorsi. «Eppure non hai ancora fatto felice me! Quando mi autografi la moto?» «Quando tu farai felice me, mi sembra ovvio.» «Devo aspettare la fine del mondiale quindi?» «Buona fortuna a resistermi tanto a lungo!». Clyde finì come sempre col non trovare una risposta efficace, e rassegnato si lasciò andare ad un leggero sospiro prima di sfiorare la mano dell'altro sul tavolo. «Se qualche anno fa mi avessero detto "guarda che finirai a correre insieme a Kain Gray" gli avrei riso in faccia, sai? Sono felice di essere qui, adesso, insieme.» «Quando si diventa colleghi si perde la magia, però» stavolta il sorrisetto sul suo volto parve quasi amareggiato «e magari scopri che la persona che tanto ammiravi in realtà è una merda». «Con te non è successo» esclamò di getto Clyde, come se non volesse dargli nemmeno il tempo di pensarle, quelle stronzate. «Come fai a dirlo? Insomma guardami, sono un pilota patetico che tra una gara e l'altra cerca di colmare chissà quale vuoto della sua esistenza saltando da un cazzo all'altro. Non sono ammirevole, Clyde. Non lo sono per nulla». Ormai da un po' di tempo quei pensieri lo assillavano. Chi lo avrebbe mai detto che il campione tanto sicuro di sé arrivasse ad autodistruggersi a quel modo. «Stai scherzando, Kain?» lo guardò con aria severa, come a volerlo rimproverare per quelle parole tanto crudeli con se stesso quanto stupide «sei molto più di questo! Prima di conoscerti pensavo fossi soltanto un ragazzino egocentrico e snob capace soltanto di correre, bere e scopare. Sai, di quelli che sorridono giusto per cortesia ai cameraman e al team solo per ottenere ciò che vogliono. Uno di quello che passa accanto ai suoi fan senza considerarli. E lo pensavo perché è questo che tu vuoi lasciar passare davanti alle telecamere, perché tu pensi di essere solo questo. Ma Dio, guardati adesso! Sei qui con me, senza nessun cazzo di doppio fine! Hai appena abbracciato un bambino di tua spontanea volontà, mi stai parlando di come sei felice di far sorridere la gente. Non mi rivolgi la parola per un motivo in particolare, io so che lo fai perché ci tieni a me o non saresti venuto in Francia, non mi aspetteresti alla fine di ogni singola prova per vedere se sto bene. Sei una persona cento volte migliore di quella che hai dipinto nella tua mente, come devo fartelo capire?». 
Calò il silenzio.
Nella sua vita forse Kain non aveva mai provato il desiderio di piangere così, senza motivo, solo per delle belle parole. Ma i suoi occhi lucidi e le guance in fiamme suggerivano quanto forte lo avessero colpito quelle frasi. Non avrebbe mai pensato di poter significare tanto, di essere visto a quel modo da qualcuno. Con voce flebile sussurrò un semplice «grazie», prima di abbassare lo sguardo. Clyde non voleva decisamente vederlo quasi in lacrime, perciò cercò subito di sdrammatizzare e punzecchiarlo come suo solito. «Gray non fare quella faccia solo per un bel discorso! Quando ti chiederò di sposarmi che reazione avrai se no?» «I-Idiota ma che cazzo ti passa per la testa?!» esclamò quasi balbettando, spiazzato da quell'affermazione. Quella reazione scatenò subito le risate del francese, che si giustificò con un semplice «sto scherzando!». Il volto dell'altro era ormai diventato paonazzo dalla vergogna. «Da un lato vorrei bere per smettere di ascoltare le tue stronzate, dall'altro non voglio farlo per restare lucido tutta la sera» «Come mai mon chéri? Qualche chiamata divina o simili?» «Voglio semplicemente godermi la serata senza rischiare di scordarmi tutto domattina, Gautier». A quell'affermazione gli portò una mano tra i riccioli, mostrandogli un sorrisetto tenerissimo. «Ho una gran voglia di baciarti, adesso» «Lo segno mentalmente per quando usciamo da questo posto». Gli scappò un lieve sospiro, solo all'idea di dover attendere tanto. «Potrei anche innamorarmi di te se continui così, campione..» «Ed è una brutta cosa?» «Orribile, mon petit souris. Potrei lasciarti vincere solo per farti spuntare quel sorriso bellissimo che ti ritrovi». «Ma a me le cose semplici non piacciono, dovresti saperlo» a quel punto gli porse la mano, come per fare una sorta di patto «che vinca il migliore, Gautier» sussurrò, ricevendo subito la stretta di rimando dal francese. «Buona fortuna, mon chéri».

Quando ebbero finito di cenare, i due si incamminarono per le strade di Reims, fino a raggiungere la cattedrale prima citata dal francese. Senza lasciare andare la sua mano, accertatosi di non avere troppa gente attorno, Kain lo costrinse ad abbassarsi alla sua altezza per prendersi finalmente quel bacio che gli era stato promesso. Quando lo lasciò andare gli rivolse uno dei sorrisi più dolci di cui fosse capace, e per tutta risposta l'altro gli sfiorò appena una guancia, spostandogli come suo solito i capelli dal viso. «Hai degli occhi bellissimi, dovresti mostrarli entrambi. Metti, che ne so, una molletta?» «Non sembrerò un totale idiota in quel modo?» «Perché dovresti? Sei sempre perfetto, tu».  A quella frase il campione non resistette e gli si fiondò tra le braccia, affondando il viso sul suo petto -e anzi, mettendosi sulle spunte, arrivò fino alla sua spalla-. Lui sbuffò, stringendolo a sé nonostante il lieve imbarazzo di quel momento. «Insomma Gray, ti avevo chiesto di non farmi innamorare prima e ora fai così? È crudele» «Tendo a fare sempre il contrario di ciò che mi si dice». Di nuovo silenzio. Camminando tranquilli e senza meta nei dintorni di quella grande chiesa, in pochi minuti si ritrovarono sotto la pioggia. Prima una goccia, poi due. Non era forte né fastidiosa, tanto che Kain lì per lì volette ignorarla. «Che succede campione, vuoi restare qui a bagnarti come un idiota o stai solo aspettando che ti baci mentre piove come se fossimo in un film da quattro soldi?» non riuscì a trattenere una risata a vederlo avvampare per così poco. «Semplicemente mi piace questo posto!» «Allora quando dovrò chiederti di sposarmi lo farò qui, mon petit souris..» «V-Vaffanculo!». All'ennesima risata divertita del francese seguì il broncio tenerissimo di Kain, che sparì soltanto quando l'altro si chinò per poggiare le labbra sulle sue. «Andiamo via prima che il tempo peggiori, mh? Non puoi di certo ammalarti a dieci giorni da Le Mans» «Non ti lascerò vincere facilmente solo perché corri in casa» sbottò con lo stesso tono di un bambino offeso, prima di stringergli nuovamente la mano.

«Torniamo a casa, Gautier».

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