Capitolo 1

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Passare il Natale negli Inferi NON fu una mia idea.
Nemmeno rischiare la morte negli inferi fu una mia idea.
Se avessi saputo cosa sarebbe successo, mi sarei data per morta.
Avrei potuto risparmiarmi demoni, uno scontro con un Titano e uno scherzetto che è quasi costato la vita a me ed ai miei amici.

Ma no. Perché non ho nulla di meglio da fare che rischiare la vita per tutte le vacanze di Natale.

Quella mattina mi ero incontrata con il mio migliore amico Percy Jackson al solito bar dove facevamo colazione e talvolta pranzo. Entrambi avevamo un esame di inglese e frequentando la stessa classe ci saremmo seduti vicini e ci saremmo suggeriti le cose, come da un anno a questa parte. Ci siamo sempre divisi le cose da studiare ma, per nostra sfortuna due ragazzi dislessici ed iperattivi per quanto studiassero non ottenevano mai il massimo, ma ci accontentavamo della sufficienza.

Eravamo alla Goode High School nell'ultimo giorno di scuola del semestre invernale, seduti nell'auditorium con altri ragazzi del primo anno, a tentare di finire (unendo le nostre conoscenze) il nostro tema su Una storia tra due città di Dickens.

Eravamo quasi alla fine del tema quando la signora O'Leary piombò sul palco dell'auditorium.
La signora O'Leary è il mastino infernale di Percy, una bestiolina grande quanto un furgone con il pelo lungo e folto, gli artigli affilati come acciaio, occhi rossi come la brace e le zanne come rasoi. È molto dolce ma di solito non sorpassa mai i confini del Campo Mezzosangue, il campo dove i semidei si allenano a combattere (Per non essere rapiti/torturati/soggiogati/uccisi dai mostri).

Io e Percy ci lanciammo un'occhiata d'intesa, eravamo entrambi sorpresi di vederla lì, in piedi sul palco a calpestare l'albero di Natale.
Tutti alzarono lo sguardo. Ero sicura che tutti gli altri ragazzi stessero per andare nel panico e scappare verso l'uscita, invece cominciarono a ridere e a sghignazzare. Alcune ragazze dissero "Ooooh, che carino!"

Il nostro insegnate di inglese, il professor Boring (già, si chiama letteralmente professor Noioso) si aggiustò i capelli ed aggrottò la fronte.
"Va bene -disse- di chi è il barboncino?"
Sospirai di sollievo. Grazie agli dei che esiste la foschia, il velo magico che impedisce agli umani di scorgere le cose per come sono realmente. L'avevo vista distorcere la realtà parecchie volte, ma la signora O'Leary come baroncino era impressionante.

"Ehm, è mio, signore. -Disse Percy- Mi scusi, deve avermi seguito." Pessima mossa amico, non so se la passi liscia.
"Percy Jackson, questo è un esame di fine semestre. Non posso avere barboncini che..."
"BAU!" Il latrato della signora O'Leary scosse l'auditorium. Agitò la coda poi si rannicchiò sulle zampe anteriori e fissò prima Percy poi me.

"Professore, la porto fuori. Tanto ho finito." Disse Percy.
Non potevo lasciare che il mio migliore amico vagasse da solo per New York con un cane degli inferi "Esco anche io professor Boring. Ho finito." Dissi mentre mi alzavo dal banco e mettevo in cartella il portapenne e la risma di fogli protocollo a righe.

La signora O'Leary corse giù lungo tuttta l'Ottantaduesima Strada a est, verso il fiume.
"Rallenta -gridai- Dove stai andando?" Urlai per sovrastare il rumore dei una Harley-Davidson che passava a pochi metri da noi.

Qualche passante ci guardò male, ma eravamo a New York, perciò due ragazzini all'inseguimento di un cane probabilmente era una cosa normalissima.

La signora O'Leary guadagnò terreno. Ogni tanto si girava per abbaiarci.
Corse per tre isolati a nord, dritta nel Carl Shurz Park.
Nel tempo che ci impiegammo a raggiungerla lei aveva già saltato una recinzione di ferro ed un muro fatto di cespugli

"Oh, per favore." Si lamentò Percy. Nessuno dei due aveva avuto il tempo di prendere il cappotto a scuola e ora ce ne stavamo maledicendo.

Dopo aver raggiunto la signora O'Leary ci trovammo in uno spiazzo.
Il segugio infernale stava annusando in giro e agitava la coda come per scacciare una mosca fastidiosa.

La signora O'Leary sollevò la testa. Le sue narici fremettero.
"Chi c'è, cucciola?" Chiesi avvicinandomi a lei.
I cespugli si mossero e un cervo dorato schizzò fuori con un salto. Quando dico dorato intendo proprio con il manto d'oro. Emetteva un'aura dorata e potente. Era una delle cose più belle che avessi mai visto.

I cespugli si mossero ancora ed una figura incappucciata si fece avanti nello spiazzo, con una freccia già incoccata nel sottile arco.
Percy sollevò la spada. La ragazza avanzò verso di lui, poi si blocò.
"Percy?" Si tolse il cappuccio argentato del suo Parka. Aveva dei lunghi capelli neri e degli occhi meravigliosamente blu. Il suo capo era adornato da una tiara d'argento. Se non ricordo male indicava che la ragazza era una luogotente di Artemide.

"Talia, -esclamò Percy- Che cosa ci fai qui?"
"Stavo seguendo il cervo d'oro." Spiegò lei.
"Io sono Sara Fighter, figlia di Atena, piacere." Dissi tendendo la mano alla ragazza.
"Un cognome una certezza, comunque io sono Talia, figlia di Zeus, luogotente di Artemide." Rispose lei afferrando la mia mano.

"Sapete perché siamo qui, tutti e tre, non che la cosa mi dispiaccia ma sono più che sicura che accadrà qualcosa di brutto." Disse Talia rimettendo via la freccia.
Aveva ragione, di sicuro non era una coincidenza. Le coincidenze non esistono nel mondo dei semidei.

"Qualche dio che si sta divertendo con noi." Tirò ad indovinare Percy.
"Probabile." Risposi io.
"Be', mi fa molto piacere vederti."
"Anche a me, se usciamo vivi da questa situazione -disse il figlio di Poseidone- ti offro un cheeseburger."

Una nuvola passò improvvisamente sopra il sole. Il cervo d'oro sparì e Talia imprecò in greco antico.
Percy sguainò la spada, Talia l'arco e io rimasi a guardarli, non avevo armi, non avevo nulla.
Una chiazza di oscurità passò sopra lo spiazzo e un ragazzo capitombolò sull'erba ai nostri piedi.

"Ahi." Borbottò. Si spazzolò la giacca da aviatore. Aveva circa dodici anni, capelli scuri, jeans, una maglietta nera, un anello con un teschio d'argento ed una spada appesa alla cintura.
"Nico!" Esclamai io andando ad abbracciare il ragazzo che avevo conosciuto un paio di anni fa. Ero l'unica da cui si faceva abbracciare di sua spontanea volontà.
Gli occhi di Talia si spalancarono "Il fratellino di Bianca?"
Nico guardò storto la ragazza. Non gradiva affatto essere riconosciuto come il fratello piccolo di Bianca. Sua sorella, diventata una cacciatrice di Artemide, era morta da eroina qualche anno fa e per lui era ancora un tasto dolente.

"Perché mi avete portato qui? -si lamentò- Un momento prima ero in un cimitero di New Orleans, e quello dopo a New York. In nome di Ade, che cosa ci faccio a New York?"
"Non siamo stati noi a portarti qui." Lo assicurò Percy.
"Noi siamo... siamo stati portati qui insieme. Tutti e quattro."
"Di che parli?" Chiese Nico.
"I figli dei Tre Pezzi Grossi. Zeus, Poseidone ed Ade." Spiegò Talia.
"Sara è una figlia di Atena." Aggiunse Nico. In quel momento mi sentivo molto... di troppo, fuori luogo, inadeguata e molte altre cose.

Talia fece un respiro secco "La profezia. Non penserai che Crono..."
Non finì la frase. Non ce ne fu bisogno. Conoscevamo tutti la profezia: una guerra stava per cominciare, tra dei e Titani, e il prossimo figlio dei tre dei più potenti che avrebbe compiuto sedici anni avrebbe dovuto prendere una decisione che poteva salvare o distruggere il mondo.

Il terreno rimbombò. Nico sfoderò la sua spada, una lama nera di ferro dello Stige. La signora O'Leary balzò indietro ed abbaiò allarmata.
Troppo tardi realizzai che stava cercando di avvisarci. Il terreno si spaccò sotto di noie cademmo nelle tenebre. 

La spada di Ade~Fanfiction Percy JacksonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora