La Piccozza

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Da me!

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Da me!... Non quando m'avviai trepido

c'era una madre che nel mio zaino

ponesse due pani

per il solitario domani.
Per me non c'era bacio né lagrima,

né caro capo chino su l'omero

a lungo, né voce

pregante, né segno di croce.
Non c'eri! E niuno vide che lacero

fuggivo gli occhi prossimi, subito,

o madre, accorato

che niuno m'avesse guardato.
Da me, da solo, solo e famelico,

per l'erta mossi rompendo ai triboli

i piedi e la mano,

piangendo, sì, forse, ma piano:
piangendo quando copriva il turbine

con il suo pianto grande il mio piccolo,

e quando il mio lutto

spariva nell'ombra del Tutto.
Ascesi senza mano che valida

mi sorreggesse, né orme ch'abili

io nuovo seguissi

su l'orlo d'esanimi abissi.
Ascesi il monte senza lo strepito

delle compagne grida. Silenzio.

Né cupi sconforti

non voce, che voci di morti.
Da me, da solo, solo con l'anima,

con la piccozza d'acciar ceruleo,

su lento, su anelo,

su sempre; spezzandoti, o gelo!
E salgo ancora, da me, facendomi

da me la scala, tacito, assiduo;

nel gelo che spezzo,

scavandomi il fine ed il mezzo.
Salgo; e non salgo, no, per discendere,

per udir crosci di mani, simili

a ghiaia che frangano,

io, io, che sentii la valanga;
ma per restare là dov'è ottimo restar,

sul puro limpido culmine,

o uomini; in alto,

pur umile: è il monte ch'è alto;
ma per restare solo con l'aquile,

ma per morire dove me placido

immerso nell'alga

vermiglia ritrovi chi salga:
e a me lo guidi, con baglior subito,

la mia piccozza d'acciar ceruleo,

che, al suolo a me scorsa,

riflette le stelle dell'Orsa.

Giovanni Pascoli

La Piccozza è una poesia scritta da Giovanni Pascoli nel 1900, in occasione delle nozze di Margherita Codronchi Argeli, figlia del conte Giovanni Codronchi Argeli, ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Di Rudinì. L'origine occasionale e l'intento encomiastico del componimento però vengono declinati di fatto in termini intensamente autoriflessivi: la difficoltosa ascesa al monte rappresenta con trasparente evidenza il travagliato percorso del Pascoli come uomo e come letterato. Come senza una guida, col solo aiuto della sua piccozza lo scalatore perviene alla cima, così il poeta s’è incamminato da solo per la sua via,vincendo tutte le difficoltà dell’ascesa, raggiungendo la meta  solo con la volontà e le sue energie morali.

Da me- dice Pascoli- senza aiuto ho iniziato l’ascesa.E tu ,madre, non mi eri vicina per consolare il mio pianto!Solo affrontai le tribolazioni; e piansi, ma il mio dolore tanto grande  spariva nel dolore universale.

Salii senza aiuti, nessuno dei viventi era con me, solo i morti m’incoraggiavano nell’ascesa, ma proseguii attingendo forza al mio cuore. E ancora salgo in alto spezzando il gelo attorno a me: salgo per conquistare una meta più alta, non per raccogliere onori alla mia discesa; per rimanere nella purezza della cima conquistata, umile tuttavia, poiché l’altezza è del monte, cioè dell’arte non dell’uomo.

E là, guidato dal bagliore della mia piccozza fuggitami di mano, ritroverà me caduto presso la vetta chi, salito dopo di me, si sentirà dal mio esempio incitato a salire sempre di più.

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