Versailles 1779: Capitolo 1

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Frammento I
Ho sempre riflettuto sui principi della vita. Eppure qui li ho visti tutti.
Non saprei spiegare come tutto è iniziato. Avevo solo voglia di redimermi, di essere libera.
Ho combattuto contro me stessa e i miei valori per vivere. Sarebbe stato più giusto morire?



Parte prima
La carrozza procedeva con un'andatura vivace, né fiacca né celere. Fuori dall'oblò dai bordi dorati, al calar ormai del dì, la campagna regnava sovrana.

Le sarebbe piaciuto passeggiare per quei luoghi, sentire il rumore del vento fra le frasche.

Per un attimo si pensò come una spiga di grano, pieghevole al vento, e strinse i pugni.

«Cara, qualcosa ti turba?»

Sua madre le sedeva di fronte, vestita di rosso. Era un abito cinese. Bridgette si chiese se la donna fosse consapevole che dopo la prima convocazione avrebbe dovuto indossare solo ed esclusivamente nobili capi occidentali. Al pensiero quasi cedette a una risata.

«Nessuna preoccupazione, cara madre. Tuttavia, non comprendo ancora i motivi di questo nostro viaggio.»

Non era preoccupata, era incuriosita e al tempo stesso disorientata. Non era mai stata in Francia, né in un altro Paese straniero. La Cina non le mancava come aveva pensato, poiché, in realtà, il suo stato d'animo non era poi cambiato di molto: si sentiva ugualmente oppressa.

Era stata condotta su una carrozza senza alcuna spiegazione. Lei, d'altro canto, non aveva esitato, e anzi, con parvenza quasi imperiale, si era seduta con la schiena ben dritta, il volto ben steso, quasi sereno, e lo sguardo ben elevato, superiore, lei che imperatrice non era. Né la madre, la quale aveva sproloquiato per tutto il tragitto con la propria dama di compagnia, né il padre, che sedeva proprio di fianco alla moglie, si erano degnati di fornirle quelle spiegazioni che tacitamente attendeva.

«Quando saremo giunti alla meta, saremo lieti di fornirti i dettagli di questa nostra partita, figlia mia.»

Era stato il padre a risponderle.

Bridgette capì allora che non avrebbe saputo niente fino a che non lo avrebbe deciso lui.

Tornò a rimirare i campi francesi, ma la campagna non era più quella di prima.

Si intravedevano luci diverse, forse artificiali.

La curiosità la spinse a scomporsi e a sporgersi verso il finestrino. Ne rimase folgorata.

«Madre, cosa sono quelle luci?»

«Quali, figlia mia?»

La donna imitò i gesti della figlia e si avvicinò al vetro liscio.

Un sorriso tanto sorpreso quanto infervorato l'animò: «Versailles.»

Accarezzava i tasti del clavicembalo con rispetto.

Gli ospiti avevano sempre apprezzato il suo "talento", così lo chiamavano, ma lui si era sempre chiesto se quella scioltezza nello sfiorare i tasti di quel magnifico strumento non fosse altro che superficialità.

Sicuramente gli piaceva la musica, ma spesso suonava per attirare l'attenzione dei presenti. Per puro diletto, poi, pretendeva con assiduità di addolcire gli sguardi delle dame loro ospiti.

Non si era mai innamorato di nessuna di loro.

Proprio mentre estasiava signore e signorine, un consigliere di suo padre varcò l'ingresso della sala ricreativa, affiancato da due guardie con lo stemma di famiglia ricamato sulla divisa.

«Sua Altezza Reale, vostro padre, Altezza serenissima, desidera parlarvi in privato nelle sue stanze. È urgente.»

Felix interruppe l'esecuzione gradualmente, ascoltando con impassibilità le parole dell'uomo. Si chiese perché il padre avesse troncato le sue prestazioni con tanta veemenza.

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