Versailles 1779: Capitolo 5

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Frammento V
Così mi sono chiesta se ne valesse la pena: se valesse la pena continuare a rischiare la mia vita per salvare quella degli altri. Mi sono risposta che mai più avrei messo in discussione questo: è il mio dovere, io sono una principessa.



Era alterata, esagitata, furibonda.

I corridoi erano il peggior luogo per esserlo, soprattutto alla luce del giorno.

Ma non era colpa sua. Non era colpa sua se quell'uomo era stato ucciso quella notte.

Si stava avvicinando alla camera del suo complice a passo svelto e greve. Ma egli l'aveva preceduta: stava svolgendo il proprio ruolo.

Non accennò a guardarla quando le disse: «Non meritate la mia presenza.»

Ciò non fece che stizzirla e indignarla: «Voi non meritate la mia presenza. Ricordatevi chi siete e da dove venite, e soprattutto chi sono e da dove vengo io.»

L'altro scosse la testa, tentando, anche se invano, di non fare troppo rumore: «Il Re non approva.»

La giovane sorrise con ironia: «Il Re non mi conosce, è plausibile una sua disapprovazione. Io sarei migliore di lui medesimo!»

L'uomo le rivolse un ghigno derisorio: «Temo che non abbiate capito niente di questo mondo, signorina.»

«Vi state esponendo troppo, monsieur.»

Lui non poté non ribattere nel modo più giusto che ritenesse: «Vi state condannando.»

E se ne andò, lasciandola nel corridoio e ritornando alle sue faccende.

Era il giorno del suo matrimonio.

Era trascorsa una settimana da quella sera. Non era ancora riuscita a risolvere il caso, ma almeno aveva preservato la propria identità: il buio della notte era stato complice. Aveva provato a cercare altri indizi ma non era stata molto fortunata. Niente di rilevante. In più, non vedeva il promesso sposo esattamente da quello stesso dì, e per sicurezza e per tradizione. Finalmente, poi, era giunto anche quel fatidico giorno, quello in cui sarebbe diventata sua moglie.

In quella settimana la sarta era tornata per il vestito da sposa, dato che era stata incaricata di cucirglielo e confezionarglielo a breve. Bridgette aveva potuto scegliere il colore della stoffa e le decorazioni, ma non il modello. Se fosse stato per la corvina, il vestito sarebbe stato in stile cinese, anche se fuori luogo: dopotutto si trovava in Francia, non in Cina. Le tradizioni erano diverse.

«Siete pronta, principessa?»

Tikki la rimirava dallo specchio, estasiata. Era davvero bella la sua portatrice, una sposa degna di tale titolo. Emozionata, cominciò a volteggiare nell'aria.

«Siete bellissima, Bridgette.»

Le guance della ragazza si tinsero di rosa. Non si sentiva così bella, ma il vestito era davvero un capolavoro. La sarta era riuscita a esaltare ogni punto del suo corpo minuto. Il corpetto che le fasciava il busto risplendeva di un bianco brillante, impreziosito da fitti rubini rossi incastonati al centro del corsetto. Il panier non appariva ingombrante, mentre la lunga gonna era ricca di dettagli.

«Non credo di aver mai indossato un vestito tanto bello, Tikki.»

Fece una giravolta, non perdendosi di vista nello specchio.

Poi si diresse verso la finestra.

«Credete che oggi pioverà? Il tempo non promette niente di buono.»

Quel giorno il sole sembrava timido. Era un segno? I matrimoni le erano sempre piaciuti. Forse, in realtà, non si stava rendendo pienamente conto che quello sarebbe stato il suo matrimonio, e non quello di qualcun altro. Si sentiva diversa, però. Più matura rispetto a quando era giunta a Versailles. Ma presto dovette rabbuiarsi.

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