Barbecue

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"Lore? Lorenzo, cosa succede?" gridò Stefano appena mi vide piangere in posizione fetale, le gambe appoggiate al petto, il mio capo racchiuso tra le cosce. Stefano scivolò accanto a me, poi allargò le braccia e avvolse il mio intero corpo, appoggiando la testa sulla mia spalla. Vide poi la polaroid, la sua immagine, e i suoi occhi si riempirono di rabbia, quel senso di impotenza che si scatena dentro di ognuno, che non può far nulla per cambiare le cose.

"Perché cavolo hai ancora le sue foto? Perché?" chiese disprezzante, e io negavo, negavo tutto, facendo oscillare il mio capo tra destra e sinistra. A malapena riuscivo a respirare, dubitai che potessi parlargli in questo momento.

"Sono un idiota, non dovevo abbassare la guardia. Non posso permettere che tu ti faccia ancora male" aggiunse e potei giurare che anche la sua voce ricacciasse lacrime cristallizzate, perché anche le parole, pronunciate in un certo tono, quel tono un po' materno e soffocato, possono essere considerate tali.

Rimanemmo abbracciati per diversi minuti, senza parlare.
Sapeva che non ne avevo bisogno, che avrei solo voluto la sua presenza per sentirmi subito meglio.

A lui non bastò che mi calmassi, anzi, più lo facevo, più lui diventava irascibile, più diventava me a causa dell'odio nutrito in tutti questi anni.

"Adesso basta, me ne sbarazzo". Si alzò adirato, prendendo ogni singola polaroid da terra e portandola con sé in salone. "Stavolta queste stupide polaroid saranno utili per il barbecue" urlò dal salone. E io ero sicuro che le avrebbe distrutte una per una.

Da un lato non volevo più vederle, dall'altro mia madre me l'aveva detto, che per superare il passato, avrei dovuto riguardarlo fino a che non avesse fatto più così male.

Mi feci forza, mi strofinai gli occhi violentemente, poi seguii Stefano in salone; aveva lasciato le polaroid sulla tavola, poi se n'era uscito in terrazza.

Si accese una sigaretta davanti ai miei occhi, eppure a lui non piaceva fumare. Era agitato, perché prima d'ora non si era mai permesso di fumare accanto a me. Sapeva che mi dava fastidio quell'odore di nicotina. Capii che la situazione era grave, non solo per me.

"Perché le hai conservate?" sussurrò, le sue labbra schiuse a un millimetro dalla sigaretta. Cercò di aspirare, ma finì per tossire più volte per mandar su quel fumo entrato nei polmoni.

Mi fecero sorridere la sua ingenuità e la sua innocenza, che a lui diede parecchio fastidio, osservandomi con la coda dell'occhio in modo truce.

"Scusa, ma mi ricordi il mio primo tiro" affermai, così lui capì perché avevo riso, e lui lo ricambiò poco dopo.

"Come potrei dimenticarmene?"

Rientrai in soggiorno, cercando quella particolare polaroid. Stefano si era permesso di fotografare il momento in cui avevo per la prima volta fumato. La ritrovai, sapendo che mia madre le aveva conservate proprio tutte.

"Guarda tu stesso. L'hai scattata tu"

La foto gli ricadde nella mano sinistra. Gettò il mozzicone quasi a metà nel posacenere che avevo disposto quando mio padre veniva a farmi visita, poi continuò a sorridere per qualche secondo.

"Quella volta mi avevi detto che sarebbe stata l'ultima. Ti eri davvero spaventato" proseguii, mirando la polaroid e un senso di nostalgia che mi divorava dentro.

Mi appoggiai alla ringhiera. Era ora che gli rinfrescassi la memoria, che ricordasse anche lui che avevamo passato quella serata.

"È il mio compleanno, non puoi non venire!" aveva continuato a ripetermi Stefano. Il suo viso aveva assunto una tonalità rossastra, e il suo ciuffo non mi permetteva di osservare bene quegli occhi, quello sguardo ricolmo di delusione.

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