Era volato via. Se l'era portato via con sé, era polvere di vetro, così tagliente che la lama ne fendeva il ventre, sgusciato fino a che non era diventato solo un vuoto di sé in sé.
Mi stringeva, era tagliente, lo sospettavo. Si era fatto male, me lo ripetevo, si era fatto male.
Si era costruito il suo giro, poi se l'era distrutto. A quel punto girava in tondo, errava perché gli era concesso errare. Senz'anima, senza scrupoli, si era infilato nel suo giro e inevitabilmente aveva imparato a distruggersi."Ho finito di scopare" disse Stefano. Non ero riuscito a trattenermi. C'era una sottile linea tra i due sensi, tanto che era chiaro che mi mettessi a ridere. "Perché ridi? Dovevi scopare tu?"
Mi ripiegai in due, soffocandomi con un cuscino. L'ironia, Stefano, non la capiva proprio. Era così ingenuo, d'altronde mi piaceva che fosse così naturale, intoccabile. Stefano era fragile, si sarebbe potuto spezzare solamente sfiorandolo. Era una polveriera di sentimenti, ma preferiva digerirli piuttosto che rigettarli fuori. Era il vaso di Pandora. Lo avevo già detto che Stefano era tante cose?
"Lorenzo? Ti ho solo detto che ho scopato. Ah!"
Il ragazzo gettò a terra la scopa, quella che si rigirava tra le mani da quando era venuto, poi con un minimo cenno e parole imboccate disse "Spazza, scopa tu a terra ora, bastardo""Me le servi sempre su un piatto d'argento"
Ridere mi faceva stare bene, Stefano mi faceva bene. Era un tormento di sensazioni, che da un lato si scontravano, spingendosi e allontanandosi come magneti, dall'altro si intrecciavano, si richiamavano e combaciavano. Così era riso e malinconia.Estirpare la radice. Si diceva che al fine di risolvere i grandi dilemmi della vita fosse indispensabile trattarli dall'origine. Qual era l'origine, c'era un complesso di inizi, dettagli sottovalutati. Avevo appreso che con lui non si doveva ignorare neanche una virgola, che sarebbe servita a portare chiarezza più avanti.
Forse era il motivo per il quale non aveva funzionato, che le avevo ignorate quelle virgole."Lore, il campanello" mi disse Stefano. Il campanello non suonava da così tanto tempo che addirittura mi ero dimenticato il rumore fastidioso che emetteva. Quei rumori un po' tintinnanti, il 'din don', ma più grave e graffiato come un giradischi d'epoca.
Rintoccò un'altra volta. Poi un'altra. Affrettava ogni secondo come se stesse scappando da qualcosa. Mi tremava la mano, la maniglia deformava le mie dita. 'Din don' e sobbalzai, aprii la serratura, tirai la maniglia.
"Lorenzo"
"Signora Ghezzi?"
Era lì, dove prima c'era stato il figlio, dove prima c'eravamo stati noi due sotto la pioggia. Il corvo blu, la bellezza dei ricci, quella l'aveva presa da lei. Il viso rotondo, gli somigliava, cioè lui somigliava a lei. "Ha bisogno, signora?"
"Passeggiavo e ho pensato di farle visita" pronunciò altezzosa. Era una di carattere, si diceva che era autoritaria. Non la conoscevo bene per quelle poche volte che l'avevo vista. Ci credevo a quelle dicerie.
"La prego, mi dia del tu" le dissi sorridendo. Si celava in quel sorriso la mia ipocrisia, nei confronti della donna che lo aveva messo al mondo, e che avrebbe dovuto crescerlo, ma che invece non se n'era curata. "Entri, si accomodi"
Feci a Stefano di correre via, di rimanere in disparte e non farsi vedere, perché all'aguzzino non si sfuggiva facilmente. Si sedette sulla sedia, composta e risoluta. Sfilò gli occhiali, mi fissò a contatto ruvido tra volti.
"Hai notizie di Pietro? Non torna a casa da giorni"
Mi mirò con sguardo preoccupato. Amavo che non avesse peli sulla lingua, che se era passata per di qua, c'era una ragione. Lei non faceva nulla senza ragioni.
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A Picture of You
FanfictionUn capitolo descrive una foto, una foto a sua volta descrive una storia. "Non ti stavo giudicando prima, ti stavo solamente guardando" mi aveva spiegato, riferendosi all'occhiata che mi aveva rifilato a tavola. Ero sorpreso che mi avesse letto solta...