Le mille e una notte

58 4 7
                                    

"Stefano, da te non me lo sarei mai aspettato"

Ero paralizzato; ogni azione che potessi compiere avrebbe senz'altro determinato la mia fine. Era il mio migliore amico, non l'avrebbe mai fatto! Era meglio pensarla così.

"Mi hai costretto tu, è tutta colpa tua. Se non l'avessi fatto, Dio, perché l'hai fatto?" mi rispose, smorzando un sorriso quasi disperato. Era combattuto, non sapeva se gli sarebbe convenuto o meno, ma tanto il suo doppio gioco era evidente. Era evidente che volesse togliermi di mezzo.

"Volevi mentirmi ancora a lungo? C'era da aspettarselo da uno come te"

In mano c'era l'arma, tra le labbra un'amarezza mista a ripensamenti e sensi di colpa. Si preparava a premere il grilletto, a respingermi indietro, a coprirmi dei suoi delitti e dei suoi sporchi trucchi. E mi vennero in mente gli anni infantili, in cui non c'era da preoccuparsi del tempo e della vita. A quei tempi c'era l'inconsapevolezza di ciò che si sarebbe diventati. E fu qui che mi vidi in un mucchietto di ossa bruciate e i miei progetti andati in fumo.

"Ti ho voluto bene, ricordatelo, Lore" disse, colpendomi dritto in faccia, scalfendomi, lacerandomi, fendendomi, squarciando la mia figura con una carta gettata troppo forte sul tavolo. C'era da dire che la carta pareva far vibrare l'aria, che poi si accomodò su un'altra, e così Stefano mi aveva appena demolito. A carte, intendevo.

"Hai barato, come al solito" dissi confidente, tanto lo faceva sempre. Mi ricordava di quando giocavamo le prime volte. Stefano barava, io incosciente, testardo quale ero, mettevo il broncio e gli chiedevo la rivincita. Ci erano voluti mesi per capire che imbrogliava e un attimo solo per rendersene conto le volte dopo.

"Stavolta ti posso giurare che non l'ho fatto" si impuntò, stringendo in un solo pugno le mani, come se stesse per tirare dadi. Era proprio di probabilità di cui si trattava, ma questa volta se l'era giocata dalla sua e il dado gli segnava sei punti.

Lasciai perdere sul fatto che avesse truccato la partita, che quasi mi faceva pena con il viso bastonato che si trovava.

"Era da tempo che non giocavamo a carte"

Fu inevitabile non ripensarci. I segnali c'erano tutti, che ognuno si riferisse alla gita mi parve scontato. Tutte le strade portavano lì, tutti i flussi di coscienza si bloccavano lì. Il cosiddetto vuoto, che poi non era così vuoto per i ricordi leggibili, quelli illeggibili e quelli fotografici. C'era troppo in quel vuoto.

"Lore, ci ripensi ancora, vero?"

Sparsi tra quei ricordi - le fotografie lasciate sul tavolo - ce n'era uno che ci legava, che legava i fili e li intrecciava, li liberava e li complicava. Non che fosse successo granché, anticipavo che era positivo, che non tutto quello che era accaduto doveva per forza essere negativo. Ce n'erano di belli e di brutti, ognuno di eguale importanza.

"Era tutto più semplice ai tempi della gita se ci ripenso"

Stefano annuì pensieroso, perché inevitabilmente per lui anche la gita era stata una svolta. C'erano voluti tempi per indorare la pillola, ma presto se n'era fatto una ragione. Da ragazzi; eravamo ingenui da ragazzi, come se ora fossimo adulti, ma eravamo diventati coscienti delle paure, di azioni, di diverse cose.

"Ti va di rivederci di nuovo, a quei tempi?" chiesi, come due amici che si fanno una birra, due vecchi lupi di mare che si scambiano i loro averi marini. Era una richiesta da riso, di condivisione, c'era tanto di cui raccontarsi.

"E prendiamo 'sta foto, che almeno facciamo qualcosa" rispose rimarcando il suo accento toscano che era solito darmi fastidio, ma che questa volta mi fu solo piacevole, o perché ero trascinato da dolci ricordi, o perché mi ero abituato. "Scusa" aggiunse, sapendo che lo trovavo odioso.

A Picture of YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora