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Ce l'ho fatta

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Ce l'ho fatta.
Ce l'ho fatta davvero.
Erano due giorni ormai che Axel continuava a ripeterselo e anche adesso, seduto sul tetto di casa sua, continuava a pensare alla partita dell'altro giorno, a come era stato preso per rappresentare il Giappone ai mondiali di calcio giovanili.
Lui era il bomber di fuoco dell'Inazuma Eleven.
E presto sarebbe stato il bomber di fuoco dell'Inazuma Japan.

"Axel!" Il ringhio di suo padre gli rimbombò nelle orecchie, mentre un lieve venticello gli scompigliava i capelli bianchi.
Axel non rispose, troppo immerso nei suoi pensieri.
Se la ricordava bene la litigata della sera prima: suo padre era irremovibile.
Avevano passato due ore a litigare su quella maledetta Germania.
Devi diventare medico.
Come me.

Preso da un moto di rabbia, Axel tirò un pugno contro le tegole del tetto proprio mentre suo padre la richiamava di nuovo.
Avrebbe voluto saltare giù e scappare.
Qualcuno dei suoi amici l'avrebbe sicuramente accolto.
Ma non poteva lasciare Julia da sola in quella casa.

"Arrivo!" Urlò Axel in risposta, rientrando in casa e sbattendo con furia i piedi.
Era arrabbiato, ma a suo padre non poteva fregare di meno.
Proprio mentre Axel stava per passargli accanto, suo padre lo prese per un braccio, obbligandolo a guardarlo negli occhi.
"È ora di finirla con questo comportamento, intesi?"

Axel osservò gli occhi scuri del padre, trovando solo una copia esatta dei suoi.
Fortunatamente gli occhi erano tutto ciò che li accomunava. Suo padre probabilmente pensava che Axel volesse diventare medico come lui. Negativo.
Non c'era nulla che Axel detestasse di più che l'idea di diventare medico.

Con uno strattone, Axel si liberò della stretta del padre.
"Io vado fuori." Borbottò, afferrando la sua solita giacca arancione e mettendosela addosso.

Ignorando i richiami di suo padre, Axel sbattè la porta di casa dietro di sé, respirando a pieni polmoni e lasciando che l'aria gli intrasse nelle narici, facendosi trasportare da quella sensazione di libertà che non gli era permesso provare nella sua stessa casa.
Suo padre l'avrebbe punito.
Come minimo avrebbe reincarnato la dose sulla Germania, per poi confiscargli cellulare e computer, e magari l'avrebbe persino costretto ad accompagnarlo in ospedale, per vedere come funziona il suo futuro lavoro.

Axel non si rese conto di star camminando fino a quando non udì i rumori del centro città.
Per quanto potesse essere un ossimoro, Axel amava il centro città. Lui era una persona schiva, asociale, chiusa in sé stessa, ma il centro città gli faceva ricordare sua madre, le passeggiate che lei, Axel e Julia facevano di pomeriggio.
Quasi senza accorgersene, Axel alzò gli occhi al cielo.
Gliel'aveva promesso, qualche istante prima di morire: io ti guarderò sempre, gli aveva detto, e lui, piccolo com'era, era scoppiato a piangere su quella scomoda sedia d'ospedale, ascoltando i battiti del cuore di sua mamma, che erano sempre meno frequenti e sempre più deboli.

E ora, anni dopo, era nel bel mezzo della strada principale, fermo a guardare il tramonto, mentre le persone accanto a lui lo spintonavano di continuo, in quanto era loro d'intralcio.
Ma Axel non si mosse mai, almeno fino a quando non sentì una mano poggiarglisi sulla spalla, delle dita sprofondare nella sua carne, e poi essere trascinato nel primo vicolo buio della zona.

feel the fire || axel blazeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora