07.

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Mentre camminava accanto ad Axel, Emma sentì un sensazione di bruciore intenso colpirla in pieno petto.
Tentava di non guardarlo, concentrandosi sulla strada, suo fiori, sul cielo, su qualunque cosa che non fosse Axel.
Lui, dal canto suo, la stava ignorando bellamente.

E mentre procedeva seguendo il ritmo impostole da lui, Emma ripensò a tutti i momenti in cui Axel l'aveva stupita, in un modo o nell'altro.

Nella sua memoria era ancora vivido il ricordo di quando lui segnò il primo goal della Raimon contro la Royal, quel Tornado di fuoco che la fece sobbalzare sulla panchina e che la lasciò senza parole. E vivido allo stesso modo era anche il ricordo della loro seconda partita contro la Royal, quando la palla tirata da Axel colpì Mark in pieno stomaco.

Si ricordò anche di quella volta in cui Jude venne alla Raimon solo per parlare con Celia e Axel lo vide, obbligandolo a giocare un duello calcistico improvvisato sotto allo sguardo spaventato di Celia.
In un modo o nell'altro, Emma era sempre stata irrimediabilmente collegata ad Axel da fili invisibili che forse nemmeno Mark sarebbe riuscito a capire.

Quando Axel segnò il primo goal della Raimon, fu Emma quella che gli tirò addosso la maglia numero dieci quando lui decise di andarsene, quando fece del male a Mark, fu Emma che gli tirò un pugno dritto dritto nelle costole, quando sfidò Jude, fu Emma che lo afferrò per il colletto della maglietta e lo guardò in un modo talmente glaciale che il bomber di fuoco si spense per qualche secondo.

E ora, Emma stava andando a cercare di salvare il futuro di Axel, ad aiutarlo ad uscire da quell'obbligo impostogli dal padre.

Ma, com'era prevedibile, Axel non la stava portando a casa sua, ed Emma lo capì troppo tardi.

"Non ci posso credere!" Sbottò la castana quando si rese conto che Axel la stava portando nel luogo in cui Mark era solito allenarsi, come se lei già non sapesse dove fosse quel luogo, come se non lo perlustrasse ogni qual volta Mark spariva.

"Che ti aspettavi?" Disse brusco Axel, girandosi verso di lui con un'occhiata condita con quella solita fiamma che non lo abbandonava mai.
Emma era sul punto di perdere le staffe.
Avrebbe voluto strappargli i capelli uno per uno.
Nulla sembrava andare bene in quel periodo: Mark completamente sconnesso e dedito al clacio, Nelly dispersa chissà dove, e ora ci si metteva pure quell'idiota di Axel.

"Per una volta che voglio aiutarti!" Iniziò Emma, e colpì Axel con un pugno sulla spalla al quale lui non rispose.
Sarebbe andata avanti a colpirlo, a farlo sentire un vero schifo per essersi preso gioco di lei, se solo Mark non avesse urlato di dolore.

Fu quel suono, la consapevolezza che suo fratello, il suo gemello, l'altra metà della sua anima, stesse provando dolore a risvegliarla dal suo obiettivo di frantumare l'ego smisurato di Axel.
Emma scattò, pronta a correre da suo fratello, ma Axel la tirò indietro per il braccio, facendo scontrare la sua schiena contro il petto di lui.

Per quanto si dimenasse e cercasse di staccarsi dalla sua presa, Axel era decisamente più forte. Lui giocava a calcio, era allenamento, Emma invece giocava a fare zapping sulla televisione.
Quindi dopo pochi secondi Emma si arrese, perdendosi nel tocco caldo di Axel, che le prese il mento fra le dita per spostarle lo sguardo verso un punto preciso.

Mark si stava allenando come al solito, il corpo sfinito e l'espressione determinata, il solito copertone continuava a ritornargli addosso, ma lui andava avanti senza proteste, quasi beandosi di quello sforzo fisico, come se quell'allenamento non facesse altro che dargli la giusta carica per andare avanti.

E poi, come un angelo che veglia sul primo malcapitato di turno, Emma vide la figura di Silvia stagliarsi vicino a Mark.
Tra le mani teneva un sacchetto della farmacia, il viso era contorto in una maschera di preoccupazione, ed Emma sentì l'anima uscirle dal corpo.
Perché diavolo Silvia era lì?
Primo: lei era la gemella di Mark, era il suo compito esser sicura che Mark non si auto-distruggesse e secondo: era chiaro al mondo che a Silvia piacesse Mark, ma, peccato per Mark, Emma voleva che Mark si mettesse con Nelly, e Silvia non avrebbe intralciato il suo piano.

"Ma che-"
"Prima che ti scaldi tanto, Raggio di sole, Silvia è ufficialmente colei che si deve occupare della nostra forma fisica da praticamente sempre, quindi sta solo facendo il suo lavoro."
"È fuori dagli orari degli allenamenti, non è più il suo lavoro."
"Vuoi sapere perché ti ho portata qui?"

A quella domanda, Emma si staccò brutalmente da Axel, rischiando quasi di cadere e spaccarsi la faccia sullo sterrato sotto di loro.
"Sì." Sibilò una volta che si fu messa di nuovo in equilibrio, e Alex sorrise.

"Io non andrò in Germania, nemmeno sotto obbligo. Mi basta guardare Mark e la sua determinazione per rendermi conto che io voglio giocare a calcio. Quando lo vedo allenarsi capisco che voglio stare al suo fianco in qualunque momento, in ogni maledetta partita. Non ti preoccupare, Emma, non me ne andrò." E con questo discorso, Axel girò i tacchi, allontanandosi da lei, ed Emma rimase basita per qualche minuto.

"Axel!" Gli urlò dietro, ma lui ormai stava già sparendo dalla sua vista.
Che cosa mi fai, Fiammella? Si chiese Emma, mentre di Axel rimanevano solo i capelli chiari.


                                     •••



Quella sera, il padre di Axel era si buonumore. Fu per questo che il figlio cedette, chiedendogli di giocare una sola ed ultima partita assieme all'Inazuma.

Suo padre glielo permise, ma solo perché a tavola c'era anche Julia e non era il momento di litigare.
Quando suo padre finì di parlare, Axel sentì la promessa fatta ad Emma bruciargli sulla lingua, come se lei stessa avesse deciso di fargliela pagare per non averla rispettata.
Axel se ne sarebbe andato. Di nuovo.

Ma d'altronde, la squadra ce l'aveva fatta una volta senza di lui, perché non avrebbe dovuto farcela ancora?
E poi gli vennero in mente tutti i goal dei suoi amici, la potenza di Austin, di Shawn, di Jude, dello stesso Mark.
Erano bravi ragazzi, in grado di vincere anche senza di lui.

Eppure, qualcosa dentro di lui si ribellava alla sola idea di dover mettere da parte tutti i suoi sogni. Sognava di giocare a calcio professionalmente, di farsi un nome, di vedere ragazzini indossare la maglia con il cognome Blaze attaccato su di essa.
Sognava tante cose Axel, ma tutto l'universo sembrava indicargli un camice da medico.
Forse quello era davvero il suo destino.
Forse i sogni del pallone dovevano rimanere solo sogni.

E continuò a pensare ancora a questa cose fino a quando il cellulare non gli vibrò nella tasca.
Quando lo tirò fuori, il nome di Emma Evans campeggiava sulla schermata.

Non ti dimenticare quello che mi hai promesso. Vattene e non te lo perdonerò mai.

E Axel, in cuor suo, sperava che l'universo si stesse solo sbagliando.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 11, 2020 ⏰

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