CAPITOLO QUATTRO

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Test di matematica? Una cavolata.

Più che altro ho la testa tra le nuvole.

Penso, mentre cammino velocemente lungo il corridoio.

Appena è suonata la campanella che indicava la fine dell'ultima ora, sono schizzata fuori, impaziente di rivedere mio fratello.

Sono quasi arrivata all'uscita quando qualcuno mi viene addosso.

È più alto di me.

Mi fermo un secondo, dopo aver mormorato uno "scusa", aspettandomi un riprovero da parte sua.

I ragazzi più grandi se la prendono sempre con le ragazzine "sbadate".

Ma lui rimane lì, impassibile.

Noto che mi sta attentamente scrutando, ma appena si rende conto che lo sto guardando anche io, distoglie immediatamente lo sguardo, proseguendo per la sua strada, ed è in quel momento che mi viene in mente chi è quel ragazzo.

Si chiama J, è in classe con mio fratello.

Avrei dovuto capire subito che era lui: i suoi inconfondibili capelli color biondo platino non sono mai passati inosservati.

Tutti lo conoscono.

J.

È la persona più riservata che esista sulla faccia di questo pianeta.

Non parla mai, e ripeto, mai, con nessuno.

Ha sempre quella aria cupa che da un lato è pure sexy.

Si limita a guardarsi in giro con i suoi occhi celesti, e sono quegli occhi che hanno fatto innamorare di lui praticamente tutte le ragazze della scuola.

In ogni caso, J non considera nessuna di loro.

Solitamente i bulli prendono in giro questi tipi di soggetti così introversi, ma lui è diverso.

Loro lo rispettano e lo lasciano in pace.

È un peccato che un ragazzo così carino come lui sia così chiuso e tenebroso.

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Proseguo per la mia strada, rendendomi conto di essermi fermata per troppo tempo a pensare e appena vedo mio fratello Albert, mi sento un po' in imbarazzo e in colpa, rendendomi conto che sarà da una decina di minuti che mi aspetta lì.

《Finalmente! Credevo fossi morta.》dice appena mi vede.

Abbasso lo sguardo e mi guardo i piedi mentre cammino: mi vergogno molto facilmente.

Entrambi stiamo in silenzio.

Immagino che anche lui stia pensando a qualcosa, anche se non lo posso sapere, dato che NON LEGGO NEL PENSIERO. "Dico" facendo risuonare le ultime parole come un urlo nella mia mente.

Sorride leggermente, facendo scoprire due tenere fossette sulle guancie.

Si tasta la faccia, in cerca di esse, mentre fa diventare più grande il suo sorriso.

E appena le trova gli compare in volto un'espressione che è un misto tra soddisfazione e orgoglio, un miscuglio che risulta abbastanza buffo sul viso di mio fratello.

E poi basta, di nuovo silenzio, ognuno abbandonato ai propri pensieri.

Io continuavo a ripensare a J, non mi era mai capitato di incontrarlo o di vederlo da così vicino.

John, Jace, Joseph, Jared, Jack, esistono tantissimi nomi che iniziano con J, ma Jeremy penso sia uno di quelli che mi piace di più.

《Non hai niente di meglio da fare che provare a "indovinare" quale possa essere il nome delle altre persone?》chiese ridacchiando.

《È tutto ciò che posso fare. In una società in cui non si può nemmeno avere un nome, non resta altro da fare che immaginarselo.》

Risposi bisbigliando, perché quello che ho appena fatto è una specie di gesto di ribellione e se qualcuno mi avesse sentita sarei stata immediatamente punita, probabilmente in modo molto severo.

E quelle furono le ultime parole tra me e Albert per tutto il resto del tragitto, che venne "invaso" di nuovo dal silenzio.

storia di una ragazza senza nomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora