CAPITOLO II

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— Che stai facendo? — Sean si scostò i capelli arruffati dalla fronte e con uno sbadiglio entrò in salotto. 
Suo padre era molto concentrato su alcuni documenti, tanto che passarono un pò di secondi prima che rispondesse. 
—Oh, ciao Sean. Vuoi fare colazione? 
— No, sono a posto così. Piuttosto, sei sordo? 
— Uh, scusami. Non è niente, solo delle pratiche per un caso, niente di che. 
Sean sollevò le sopracciglia, chiaramente intrigato da quello che il padre stava facendo. Lui adorava aiutarlo con i suoi casi, si sentiva come in una serie televisiva o in un film giallo. 
Sperava sempre, sotto sotto, che ci fossero cose interessanti come omicidi o rapimenti, e non solo furti di auto o piccole aggressioni. Certo, non era molto nobile sperare in qualche omicidio, ma cosa poteva farci? 
— Che caso è? Posso aiutarti? 
L'astio di qualche giorno prima, quando avevano discusso riguardo la scuola, sembrava totalmente scomparso in quella mattinata molto luminosa e fresca. 
Suo padre sospirò. Non ne era molto fiero, ma dalla morte della madre di Sean l'unica cosa che lo teneva legato al figlio era il suo lavoro, passione di Sean.
Si spostò lentamente di qualche centimetro e lasciò spazio per faelo sedere accanto a lui. 
— Sai che non posso discutere dei miei casi, però.. Insomma, so che adori queste cose per cui.. Ti dirò solamente che non è un'aggressione. E nemmeno un furto d'auto. E, fortunatamente, non è un gattino intrappolato su un albero. 
— Omicidio! — Sean urlò entusiasta, ancora con l'amaro in bocca per essersi sentirò così felice della morte di qualcuno. 
— Non proprio. È un caso di evasione.
Non è avvenuto nel nostro distretto ma, essendo quel carcere non molto lontano siamo stati avvertiti di fare attenzione. Tutto qua. 
Sean era un pò deluso dalla spiegazione secca del padre, quindi, veloce come un felino, afferrò il fascicolo più vicino e iniziò a leggerlo. Suo padre provò a riprenderlo, ma ormai Sean si era allontanato dal tavolino. 
Con gli occhi fissi su un foglio cominciò a borbottare qualche parola e poi esclamò: — Serial killer!
Suo padre gli lanciò un'occhiataccia. 
— Dammi il fascicolo. 
Sean glielo restituì e poi, come se niente fosse accaduto, tornò in camera. 
Con sguardo confuso, suo padre riprese la lettura, non prima di domandarsi il perché suo figlio fosse così.. così... non seppe come definirlo.

Qualche ora prima di pranzo il padre di Sean dovette andare in centrale, per cui lui rimase a casa da solo.
Ormai ci era abituato, sin da quando era piccolo aveva avuto occasione di stare da solo per molte ore. Sapeva cucinare e badare a sé stesso, e non sentiva il bisogno di chiedere aiuto. 
Essendo cresciuto solo con suo padre per molti anni, si era sempre sentito un pò solo. Non aveva mai avuto molti amici, nonostante gli altri lo trovassero divertente. 
Alle scuole medie erano iniziati i problemi, dovuti alle varie assenze ed al suo comportamento. Nessuno seppe mai cosa gli fosse successo, e il perché da un giorno all'altro fosse passato dal "clown" della classe ad un "nulla facente irritabile e violento". Così lo avevano definito molti professori, anche se suo padre non gli aveva mai creduto. 
Cambiò varie volte scuola, ma i problemi tornavano sempre a bussare alla porta. Con l'inizio del liceo, il suo carattere non era cambiato di molto, se non altro che il lato violento era stato sostituito da una non curanza totale. Saltava sempre più spesso le lezioni e parlava pochissimo col padre.  
Tutti motivavano il suo carattere con la morte della madre, ma lui sapeva che non era per quello. L'aveva accettata, la scomparsa di sua mamma.
Quello che non aveva accettato, però, era il comportamento del padre. Sean non l'aveva mai visto versare una lacrima per la perdita, e questo lo faceva infuriare. 
Il cambiamento radicale era avvenuto quando, una giorno, durante la prima media: un suo compagno di classe lo aveva chiamato "cocco di mamma". 
A lui non aveva dato fastidio, insomma, non avendo la mamma sapeva che non poteva essere vero. Suo padre però, si era infuriato con il professore e con i genitori di quel ragazzino.
Sean ne era rimasto sorpreso, aveva sempre creduto che, al padre non importasse niente della perdita di sua mamma.
Così, quando ne ebbero parlato, Sean aveva sperato di vedere piangere il padre, o di vederlo afflitto, per lo meno. 
Ma non fu così. Suo padre era, come sempre, indifferente ed impassibile sull'argomento. La frustrazione mostrata ai professori si era dileguata immediatamente. Sean ne era rimasto scioccato.
Non capiva perché suo padre fosse così. Non sopportava quel suo comportamento. Credeva che a lui importasse di più delle altre persone che della sua defunta moglie.
Iniziò a non fidarsi dei sentimenti che gli altri mostravano provare per lui, e così facendo iniziò a discutere con i pochi amici che aveva. 

Mentre era sdraiato comodo sul suo letto, Sean pensava. 
Non pensava a niente di particolare, ma la sua mente non era libera.
Stava con le braccia incrociate sotto la testa, e guardava il soffitto. 
Notò una crepa qua e là, contò le ragnatele e osservò attentamente un piccolo quadro appeso davanti al suo letto.
Quella mattina non aveva ancora visto Brad, così pensò di uscire per andarlo a trovare. 
Si mise i suoi soliti anfibi rovinati, non prima di infilarsi un paio di jeans larghi presi da una sedia accanto al letto, si mise un maglione con una fantasia a quadri e si alzò. 
Prese il cellulare e digitò il numero di Brad, che non rispose. Allora attaccò e con uno sbuffo uscì velocemente di casa. 
Arrivato al bar, entrò con meno sicurezza delle altre volte, salutò timidamente e si sedette.
Invece di ordinare, chiese al barista - che poi era uno dei fratelli maggiori di Brad - dove fosse l'amico, accennando poi un sorriso di cortesia. 
L'altro gli chiese di aspettare un momento e poi si allontanò in una stanza sulla sinistra. 
Mentre aspettava, Sean osservava il locale. Era, per la maggior parte, fatto il legno antico. Lo trovava molto elegante nella sua semplicità. 
Si girò verso una ragazza che sembrava molto di fretta, alternava il mangiarsi le unghie oramai corte con l'arricciarsi di alcune ciocche di capelli rossicci e crespi. Il suo aspetto trasandato però, passò in secondo piano non appena Sean le vide gli occhi: erano così particolari che quasi ci si perse dentro. Mentre ancora guardava la ragazza, sentì una voce chiamarlo: 
- Che fai, lo stalker? 
Sí giró e si ritrovò davanti Brad, con gli occhi castani che lo guardavano ed un espressione allegra. 
Sean gli guardò i capelli biondi, quasi bianchi, e poi gli fece una smorfia.
— Cos'hai da dirmi così d'importante da farmi chiamare da Trevor? 
— Oh, beh, niente. Non ci vedevamo da qualche giorno e vorrei finire quel gioco per la xbox..
— Sei proprio un nerd! Ah aspetta, mi chiamano. 
Sean non aveva sentito nessuna voce, ma vedendo dove Brad stava guardando notò la ragazza dai capelli rossi che lo chiamava con un cenno della mano. 
Si girò verso di loro e li guardò. 
La ragazza era ancora nervosa, e di tanto in tanto si guardava intorno. Brad era seduto ad ascoltarla, e non sembrava per niente stupito dal nervosismo di lei. 
Sean pensò che avrebbero potuto conoscersi, anche perché se la ragazza avesse voluto ordinare qualcosa, non ci avrebbero messo così tanto. 
Mentre cercava di capire cosa si stessero dicendo, i suoi occhi si concentrarono su Brad. 
Lui non aveva mai notato la bellezza nei ragazzi, ma nell'amico notò i lineamenti delicati ma mascolini che di solito rendono un ragazzo degno di essere definito "bello".
Notò, poi, una piccola somiglianza fra l'amico e la misteriosa ragazza. Che fossero parenti?
Brad, nel corso della conversazione, era passato dalla serietà alla preoccupazione. 
Quando ebbero finito, la ragazza uscì dal locale, dirigendosi chissà dove. 
Brad tornò da Sean, e con falsa serietà riprese: 
— Possiamo andare ora se vuoi, eh? 
Non aveva mai visto Brad fingere in quel modo. Ma lasciò perdere, forse erano affari familiari che non voleva divulgare. Anche lui ci aveva messo del tempo per confidarsi riguardo la sua famiglia. 
— D'accordo, allora andiamo.

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