«Lo so che è terribile», disse Leone, «ma dobbiamo scavare...»
Affidò il guanto e il ciondolo a Martina che con ritrosia li infilò nella tasca della giacca a vento.
«Scavare, cosa stai dicendo?» Michele era ancora più pallido del solito.
«Ha ragione», disse Nino.«Dobbiamo darci da fare. È chiaro che Birillo ha trovato qui l'osso. Per quello Michele è inciampato. Il cane aveva portato alla luce...» Non ebbe il coraggio di terminare la frase, ma il senso era chiaro a tutti.
«Io non ce la faccio, vi avverto...», disse Michele retrocedendo di qualche passo. «Ma se volete posso andare in cantina a prendere qualche attrezzo...»
«Va bene. Vai», disse Leone.
Michele non se lo fece ripetere due volte. Si girò e si mise a correre verso la casa, il fascio di luce del telefono oscillava nel buio.
Gli altri rimasero in piedi, pietrificati dall'orrore. Soltanto Nino si dava da fare cercando di smuovere la terra con la scarpa.
Michele tornò dopo pochi minuti. Sottobraccio portava un piccone, una vanga, una pala, mentre in mano stringeva una paletta rotondeggiante di quelle che si usano per piante e fiori.
«Questo direi di scartarlo», disse Nino prendendo il piccone e gettandolo da una parte. «Con la vanga possiamo scavare tutt'intorno, mentre con quest'altra» e indicò la paletta, «possiamo lavorare con più cautela. Chi se la sente?»
Guardò i compagni, a uno a uno.
«Va bene, da' qua». Alejandro impugnò la vanga e la infilò nel terreno premendo col piede.
«Cavoli se è duro».
«D'accordo, io procedo proprio qui sopra».
Manovrando l'attrezzo da giardiniere con grande cautela, Nino si mise a togliere un piccolo strato di terra alla volta, partendo dal punto in cui Leone aveva trovato il ciondolo e il guanto. A mano a mano che procedeva, alla luce dei cellulari si stagliò la sagoma della manica di una giacca a vento, poi la spalla, poi il torso. Nino abbandonò il lavoro e lo riprese dalla zona in cui presumibilmente si dovevano trovare le gambe. Intanto Alejandro aveva liberato il terreno tutt'intorno, in modo che Nino non fosse ostacolato e potesse con facilità far scivolare la terra di lato.
Ci volle quasi un'ora perché il corpo fosse liberato del tutto. Nel frattempo un paio di cellulari si erano esauriti, e il lavoro procedeva in un'oscurità progressiva.
Nino si alzò, appoggiò le mani sui lombi e stirò la schiena.
«Direi che ci siamo».
Le torce dei telefoni puntarono tutte insieme sul corpo. I vestiti erano a brandelli, la giacca a vento stracciatama ancora riconoscibile. In molti punti i muscoli si erano dissolti e lasciavano intravedere le ossa, soprattutto dei piedi, dei polsi, delle caviglie, delle mani. Sembrava che qualcosa trattenesse gli amici da illuminare il capo.
«Dai, fate luce anche di sopra», li incitò Leone.
Carolina puntò il fascio in direzione della testa. Un brivido di raccapriccio li percorse tutti.
«È orribile...», disse sgomento Michele.
«Sì, è orribile, hai ragione», rispose Leone. «Ma...»
Guardò gli amici, a uno a uno. Poi disse ciò che tutti pensavano ma che nessuno aveva il coraggio di dire.
«Dobbiamo ammettere la verità. Questo è Jonathan.»

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THE PUZZLE
RomanceMartina, Carolina, Leone, Michele, Alejandro e Nino si riuniscono ogni anno per ricordare l'amico scomparso Jonathan con una notte dedicata a Cluedo, quello che era il suo gioco preferito. Ma questa volta è diverso: torbidi segreti stanno per rieme...