LA LETTERA

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«Dobbiamo farci forza, e portarlo dentro», disse Leone.

«Sei pazzo?» esclamò Carolina.

«Prendete dei sacchi neri della spazzatura», ordinò lui. «Michele, dove possono trovarli?»

«Venite, vi porto io».

Michele si allontanò con Alejandro. Tornarono dopo pochi minuti con una bracciata di sacchi di nylon. Con grande sforzo, aiutandosi con la vanga e il badile, riuscirono a infilare il corpo dentro due sacchi, uno dalla testa e uno dai piedi.

«Adesso, chi se la sente di sollevarlo?»

Nino alzò la mano.

«Conta su di me».

Nessun altro si offrì.

«Va bene, allora ci penso io», disse Leone.

Afferrò il corpo per i piedi, avvolti nel sacco, e lo sollevò, mentre Nino faceva altrettanto dall'altra parte.

Alla luce dei due unici cellulari rimasti accesi, il mesto corteo si diresse verso la casa.

«Dove lo mettiamo?»

Si guardarono l'un l'altro, imbarazzati.

«Direi di là in veranda», suggerì Michele. «La usiamo solo d'estate e non c'è riscaldamento. Mi sembra l'ideale».

I due amici spostarono il corpo dove aveva indicato Michele. Lo appoggiarono a terra con grande delicatezza. Il più sconvolto era Michele, il cui faccione solitamente rubizzo era diventato terreo. Gli occhi sbarrati non riprendevano più l'espressione consueta.

Nino, preoccupato per la salute soprattutto mentale del compagno, andò in cucina e tornò con una delle merendine preferite di Michele.

«Tieni, mangia, ti aiuterà a riprenderti un po'».

Michele distolse a fatica lo sguardo dai poveri resti che avevano disseppellito, si voltò e tornò in sala, il dolciume stretto nella mano. Arrivato di là, strappò la confezione e fece per addentare la ciambella. Ma all'ultimo momento si bloccò, la bocca aperta. Ripose la merendina nella confezione e l'appoggiò al tavolo.

«Basta, non è il momento di mangiare. Adesso dobbiamo capire cosa è accaduto al nostro amico».

Nino lo guardò, stupito. Nel frattempo gli altri li avevano raggiunti.

Carolina puntò il dito contro Leone. Aveva l'espressione aggressiva.

«Leone, adesso devi dirci tutto».

Il tabellone del Cluedo era stato spostato di lato e le pedine erano sparpagliate tutto intorno. La fioca luce di una lampada illuminava il centro del tavolo, dove Martina aveva appoggiato il guanto sgualcito e il ciondolo a forma di puzzle.

«Che cosa intendi dire?», rispose lui guardandola con aria interrogativa.

Carolina indicò con la mano che tremava il ciondolo blu elettrico.

«Quello... quel ciondolo è lo stesso che tu porti appeso al collo. Quando Michele ti ha spruzzato il ketchup addosso ti sei tolto la maglietta per cambiarla e ho visto la collana. Perché hai un ciondolo uguale a quello che abbiamo ritrovato seppellito in giardino?».

Leone tirò un lungo sospiro e abbassò il capo a rimirarsi le scarpe, cercando di riordinare le idee. Gli ultimi avvenimenti della serata l'avevano lasciato turbato, sapeva che i suoi amici si aspettavano che fosse lui a risolvere quella situazione assurda e apparentemente priva di senso, ma non aveva la minima idea su come affrontare tutta quella faccenda. E come se tutto ciò non bastasse, Carolina gli stava con il fiato sul collo ponendogli domande scomode e alle quali per ora non poteva fornire una spiegazione. Non era ancora giunto il momento di chiarire quella faccenda agli altri. Prima doveva riunire i pezzi di quel puzzle contorto e ingarbugliato come la lenza di un pescatore. Ma come?

THE PUZZLEWhere stories live. Discover now