Nella stanza calò il silenzio. I quattro amici rimasero immobili, seduti intorno al tavolo a fissare Leone. Alejandro era l'unico in piedi e, piegato in avanti con le mani aperte e ben piantate sul tavolo, guardava attento l'articolo di giornale.
«Ieri notte», cominciò a leggere ad alta voce, «i carabinieri forestali, durante una perlustrazione, hanno trovato una Fiat 500 precipitata giù da una strada, nel paesino di provincia Ronca di Montagna. L'auto è stata recuperata nel bosco sottostante, insieme al corpo senza vita della conducente. Secondo la ricostruzione degli investigatori la vittima, Gloria Rontelli...». Alejandro si fermò di colpo e alzò gli occhi su Martina.
«Ehi, guarda che coincidenza amore, questa qui ha il tuo stesso cognome. Rontelli».
Martina fece un lieve cenno col capo, quasi impercettibile.
«Già, proprio strano», disse Leone alzandosi. Poi prese a camminare avanti e indietro per la stanza, con le mani intrecciate dietro la schiena.
«Che cazzo vuoi dire?», sbraitò Alejandro guardandolo senza capire..
Leone continuò a passeggiare tranquillo e, giunto davanti alla porta finestra, si fermò ad osservare la neve che continuava a scendere.
«Riprendi la lettura Alejandro», rispose lui serio, con lo sguardo incollato oltre il vetro della finestra, «la soluzione a tutta questa storia è in quelle righe».
Alejandro sbuffò cercando di mantenere la calma, poi fece un cenno in direzione della bottiglia di whisky.
«Ho bisogno di un goccio».
Nino allungò la mano verso il liquore e gli riempì il bicchiere.
Alejandro lo afferrò e tracannò il contenuto in un sorso, poi si sedette e riprese a leggere.
«Dunque.. dove ero rimasto.. ah, sì. Secondo la ricostruzione degli investigatori la vittima, la 27enne fashion blogger Gloria Rontelli, ha perso il controllo dell'auto mentre stava guidando, ed è andata a sbattere contro il guard rail. Gli addetti alle indagini sostengono che la Rontelli viaggiava a 90km orari e che l'elevata velocità avrebbe provocato un impatto talmente violento da farle sfondare la barriera. A seguito degli esami tossicologici svolti sul cadavere, Gloria Rontelli è risultata negativa sia all'assunzione di bevande alcoliche che di droghe».
Alejandro terminò di leggere l'articolo ad alta voce e rimase alcuni istanti a fissarlo in silenzio, poi alzò gli occhi su Leone.
«Beh, Sherlock? In che senso la soluzione è in queste righe? Cosa accidenti c'entra tutta questa storia con la morte di Jonathan? E che ruolo ha l'adesivo della marmotta?».
«Con calma Alejandro, devo ancora sistemare alcune tessere di questo complicato puzzle. A questo proposito avrei una domanda per te e Martina. Quando, qualche ora fa, vi siete appartati al piano di sopra, siete rimasti insieme tutto il tempo?»
«Che cazzo vuoi insinuare, che io o M...».
«Limitati a rispondere alla mia domanda, Alejandro», lo interruppe Leone con un tono calmo, ma autoritario, che non ammetteva repliche, «tu e Martina siete stati insieme tutto il tempo, oppure vi siete separati?»
«A dire il vero, io ho ricevuto una chiamata di lavoro e mi sono chiuso in camera a rispondere... sarà... sarà durata sì e no mezz'ora. E lei nel frattempo...». Alejandro si girò verso Martina.
«Io ne ho approfittato per fare un bagno caldo, ma che c'entra tutto questo con Jonathan?»
«Niente... niente, chiedevo solo per curiosità».
«Allora, Sherlock Holmes, adesso ci vuoi dare la soluzione a questa assurda vicenda o ti dobbiamo pregare in ginocchio?»
«Michele hai una lente d'ingrandimento in casa?» Leone ignorò la domanda e si girò verso l'amico.
«Mm... sì.. credo che ce ne sia una nella credenza di fianco a te». Michele indicò con il dito grassoccio un mobile di legno bianco, alto un metro e mezzo, appoggiato alla parete, a destra della porta finestra.
Leone si avvicinò, aprì il primo cassetto e, mimetizzata in mezzo ad un mucchio di piccole cianfrusaglie, trovò una lente d'ingrandimento con la lente spessa e il manico d'oro placcato.
«Appoggia il giornale lì, Alejandro. E avvicinatevi tutti che vi devo fare vedere una cosa», disse Leone indicando il centro del tavolo.
Alejandro eseguì e i cinque amici si riunirono intorno a lui.
«Bene signori», sussurrò, «credo proprio di essere riuscito a collegare tutti i pezzi del puzzle. Ho appena scoperto la soluzione di questo caso e so chi ha ucciso Jonathan. Ora vi racconterò tutto... partiamo dal principio, dalla nostra cara marmotta». Leone si piegò sulla sua fotografia dei fuochi d'artificio, posizionata di fianco alla pagina del giornale.
Michele diventò di colpo pallido e sgranò gli occhi, poi con l'indice tremante indicò prima un punto della fotografia di Leone, poi uno sull'articolo di giornale.
«Ho... ho capito dove vuoi arrivare», farfugliò con gli occhi che facevano da sponda tra la foto e il quotidiano, «questo adesivo c'è su tutte e due le immagini... questo vuol dire... questo vuol dire che si tratta della stessa strada di montagna, giusto?»
Leone annuì, indicando la prima riga dell'articolo.
«E non è tutto! Guardate, qui c'è scritto che i carabinieri forestali hanno trovato nella notte la macchina precipitata nel dirupo, e il giornale è del 2 gennaio 2016».
Poi Leone staccò il dito dall'articolo e girò la sua fotografia, mostrando agli altri il retro, dove c'era scritta una data: 1 gennaio 2016, mezzanotte.
«Questa sì che è una strana coincidenza», esclamò Nino.
Leone scosse la testa. «Nessuna coincidenza, amici miei. Jonathan si trovava sulla stessa strada di montagna dalla quale è precipitata Gloria, ed era lì proprio quella sera».
Rimasero tutti in silenzio, aspettando una sua spiegazione, e lui si affrettò a fornirla.
«Guardate qui», disse tornando ad avvicinare la lente d'ingrandimento alla fotografia scattata da Jonathan, «che cosa vedete?»
Aveva ingrandito una striscia bianca sulla strada, proprio attaccata al muso della macchina, oltre il parabrezza dal quale Jonathan aveva scattato la foto ai fuochi.
«A me sembra un flash... una luce bianca... probabilmente un riflesso del parabrezza, oppure del cellulare di Jonathan», disse Nino strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco il particolare.
«Sì...sì anche a me sembra un flash». Michele si era proteso in avanti, aveva piantato i gomiti sul tavolo e guardava attento l'immagine.
Leone scosse la testa con un sorrisino: «e tu Caro che cosa vedi?»
Carolina, che era seduta tra Michele e Nino, si limitò a una veloce scrollata di spalle. Leone, ignorando Martina, si girò allora verso Alejandro che era l'unico in piedi, di fianco a lui e con le braccia conserte.
«Vuoi provare anche tu ad indovinare?», chiese porgendogli la lente.
Alejandro lo guardò torvo, ma rimase con le braccia intrecciate.
«Mi sono rotto il cazzo dei tuoi giochetti, Sherlock», disse mantenendo un inusuale tono calmo, «perché non ci dici che cosa hai scoperto e la facciamo finita?»
«Va bene..va bene. Avete sbagliato tutti, questa piccola striscia bianca non è affatto un riflesso di luce, bensì... una riga di mezzeria, più precisamente una riga di mezzeria tratteggiata, guardate meglio».
Leone accostò di nuovo la lente d'ingrandimento alla foto e gli altri gli si strinsero intorno.
«Questa è l'unica illuminata dai fari della macchina», disse spostando leggermente la lente, «ma, se ci fate caso e strizzate un po' gli occhi, noterete che più avanti, nascoste dal buio, ce ne sono altre».
Alejandro gli strappò con un gesto fulmineo la lente d'ingrandimento e si protese ad esaminare l'immagine.
«È vero!», esclamò dopo alcuni istanti, «la riga di mezzeria è proprio al centro, tra le ruote anteriori del furgoncino. Ma... ma questo vuol dire che...»
«Che Jonathan aveva invaso la carreggiata opposta».
«Fammi vedere», disse Nino. Alejandro gli passò la lente e lui esaminò il particolare.
«È vero, guardate anche voi». Nino fece cenno agli altri di avvicinarsi. Carolina e Michele si allungarono sul tavolo, mentre Martina rimase immobile al suo posto, continuando a mordicchiarsi il labbro.
Leone si schiarì la voce e guardò ad uno ad uno i suoi amici:
«Sì ragazzi», continuò interpretando i pensieri degli altri, «questa è la prova definitiva del fatto che Jonathan non solo era presente sul luogo dell'incidente, ma è stato proprio lui a causarlo. Pensateci bene, dopo avere invaso la carreggiata opposta mentre stava scattando questa fotografia, ha fatto uscire di strada Gloria Rontelli e lei e la sua macchina sono precipitate oltre il guard rail».
«No, è impossibile... non può avere fatto una cosa del genere». Carolina si era alzata di scatto, lungo le guance le scorrevano grosse lacrime, «si può dire quello che si vuole su Jonathan, ma se avesse avuto un incidente con qualcuno si sarebbe fermato a prestare aiuto. Avrebbe chiamato i soccorsi... la polizia. Senza contare che quando è tornato a casa quella sera il furgoncino non aveva nessun segno di uno scontro... nemmeno un graffio», disse tra un singhiozzo e l'altro.
Nino allungò una mano e cerco di tranquillizzarla, facendole alcune carezze sul polso. Lei si calmò e tornò a sedersi.
«Hai ragione Caro», annuì Leone,«ma anche in questo caso la spiegazione è semplice. Guardate la mia fotografia, si vede benissimo che è un tornante cieco. Questo significa che Jonathan, che stava scendendo ed era dal lato della montagna, non poteva vedere la macchina di Gloria. In più stava usando il cellulare per scattare la foto dei fuochi...».
«Quindi secondo te, Gloria, che invece stava prendendo la curva larga dalla parte del dirupo, ha visto il furgoncino di Jonathan, ma ormai era troppo tardi per evitare l'impatto... insomma ha sterzato bruscamente ed è finita fuori strada?», si intromise Michele.
«Esatto, e il rumore dei fuochi ha coperto il fracasso dell'auto che sfondava il guard rail, questo spiega perché Jonathan non si sia fermato ad aiutare: non si era nemmeno accorto dell'auto di Gloria Rontelli, figuriamoci che era precipitata a causa sua nel bosco. No, lui non ha mai saputo di essere stato il responsabile della morte della ragazza».
«Non riesco a capire una cosa». Alejandro scosse la testa, poi si girò d'istinto verso Martina: «Questa Gloria Rontelli... perché ha il tuo stesso cognome?»
Lei lo fissava, ma non disse niente. Il labbro che si stava morsicando fino a qualche istante prima era ormai gonfio e rosso.
Leone inspirò a fondo, poi si voltò anche lui verso Martina.
«Glielo dici tu, oppure lo faccio io?», chiese serio.
Lei fece un cenno quasi impercettibile con la testa, poi sospirò e chiuse gli occhi.
«D'accordo... è arrivato il momento della verità: Gloria Rontelli era... era mia sorella», sussurrò lei con un lieve tremolio nella voce, continuando a tenere gli occhi chiusi. Poi li riaprì e scrutò ad uno ad uno i presenti, preparandosi alle loro domande.
Nella stanza calò il silenzio per alcuni lunghi secondi. Fuori continuava a nevicare e il rumore del vento che sbatteva furioso contro la porta finestra del salotto era l'unico suono che interrompeva la quiete. I cinque amici erano tutti con gli occhi fissi su di lei, e aspettavano una sua spiegazione. Carolina, Michele e Nino erano seduti intorno al tavolo, tutti e tre di fronte a Martina. Leone e Alejandro, invece, stavano in piedi, immobili alla sua destra, e Alejandro aveva ripreso in mano il giornale.
«Tu... tu avevi una sorella?». Fu Alejandro a rompere il silenzio.
Martina annuì.
Lui scosse la testa incredulo, come se stesse cercando di assorbire l'informazione.
«E perché non me lo hai mai detto? Voi... voi lo sapevate?» Alejandro si girò e guardò Nino, Carolina, Michele e Leone, ma loro non dissero nulla.
«Non lo avevo mai raccontato a nessuno», esclamò Martina, alzandosi di colpo in piedi e cominciando a passeggiare nervosamente per la stanza. Poi si fermò davanti alla finestra e si girò verso gli amici, «quando Gloria è morta noi non ci conoscevamo ancora e per me la sua perdita è stata un tale shock, che non me la sono sentita di parlarne a nessuno. Volevo solo dimenticarla, voltare pagina. Ma poi...», si fermò un attimo e le tremarono le labbra, il suo tono era alto e arrabbiato.
«Ma poi hai scoperto che era stato Jonathan a causare la morte di sua sorella, vero?», concluse Leone.
«Sì, sì.. .quel bastardo l'ha uccisa... io.... io non potevo sopportarlo... dovevo fargli provare quello che aveva passato lei... dovevo farlo soffrire come un cane a quello stronzo!», si sfogò lei serrando forte i pugni fino a bucarsi i palmi delle mani con le unghie lunghe.
«Adesso calmati Martina, siediti qui e raccontaci dall'inizio che cosa è successo e come hai scoperto che era stato proprio Jonathan a far finire fuori strada tua sorella». Leone le si avvicinò e fece per cingerle con dolcezza un polso, ma lei si divincolò e lui fu costretto a fare un passo indietro.
«Col cavolo che mi calmo... lei... lei mi aveva chiamato poco prima di... di finire fuori strada. Mi ricordo ancora cosa mi disse: c'è un cazzo di furgone hippy color cachi che mi sta venendo addosso. Sono state le sue ultime parole. Ho passato quasi due anni d'inferno, chiamavo tutte le mattine i carabinieri per sapere se c'erano novità, se avevano trovato il responsabile della morte di Gloria, ma nulla. La polizia era convinta che mia sorella avesse fatto tutto da sola, che si fosse distratta, avesse perso il controllo dell'auto e fosse finita fuori strada. Visto che la Giustizia non voleva fare niente, mi sono messa ad investigare da sola, partendo dall'unico indizio che avevo: il furgoncino hippy color cachi. Non era molto... ma di mezzi così non ce ne sono tanti in giro. Per molto tempo non ho scoperto nulla, stavo quasi per arrendermi. Poi, due anni fa, quasi per caso ho conosciuto Carolina ad un corso di Zumba. Lei mi ha presentato il suo ragazzo Jonathan e abbiamo deciso di fare un' uscita a quattro. Me lo ricordo come se fosse stato ieri, fu Jonathan a venire in macchina a prendermi, insieme e quello che allora era il mio fidanzato. Quando lo vidi non ci potevo credere: aveva un fottutissimo furgoncino Volkswagen, lo stesso che mi aveva descritto mia sorella». Martina fece una pausa e prese fiato. La ragazza si guardò intorno con gli occhi spiritati, si sentiva addosso lo sguardo di tutti i presenti. Era appoggiata con la schiena sulla porta-finestra e il labbro aveva ricominciato a sanguinarle, ma lei non se ne curò. Si sentiva svuotata, pensò, quasi sollevata di aver condiviso con qualcuno quell'enorme macigno di cui ormai si faceva carico da troppo tempo. Ma non aveva ancora finito, oh no, aveva ancora tante cose da dire. Ormai non poteva tornare indietro, doveva arrivare in fondo a quella storia.
«No, aspettate un attimo, io non ci credo», Alejandro scosse la testa, si alzò e fece per avvicinarsi a lei, «perché ti stai inventando tutta questa storia amo...»
«Torna a sederti, coglione. Sono stufa di venire trattata come un'ingenua, ora è il mio turno di parlare», scandì Martina con un tono che non ammetteva repliche.
Alejandrò si zittì e la guardò stupito, poi provò ad aggiungere qualcosa ma lei gli lanciò un'occhiata di ghiacciò che lo fece desistere. Alejandro si girò d' istinto verso Leone che gli fece cenno di assecondarla, e tornò a sedersi al suo posto di fianco a lui.
Martina si staccò dalla porta-finestra, lasciando sui vetri appannati i segni delle sue spalle. Si avvicinò al lavello della cucina, si tirò indietro una ciocca di capelli con un gesto brusco, e infilò la faccia sotto il lavandino. Lasciò scorrere l'acqua ghiacciata sulla pelle per alcuni istanti, poi diminuì il getto e bevve una lunga sorsata, prima di tornare vicino alla finestra.
«All'inizio ho pensato che il fatto che Jonathan avesse un furgoncino della Volkswagen fosse solo una coincidenza», riprese dopo essere ritornata con le spalle appoggiate al vetro, «poi però, parlando con lui, è venuto fuori che faceva l'alpinista e che percorreva spesso la stessa strada dalla quale Gloria era precipitata due anni prima. La conferma che era proprio lui il responsabile l'ho avuta quando mi ha fatto vedere quella foto, voleva mostrarmi quanto erano belli quei cazzo di fuochi». Martina indicò la fotografia che era ancora poggiata al centro del tavolo.
«Proprio come ha fatto stasera Leone, anche io ho notato l'adesivo della marmotta, lo stesso che c'era anche sull'articolo che parlava di Gloria. Ho fatto due più due e ho trovato il colpevole che mi aveva portato via mia sorella».
«E così hai deciso di vendicarti, vero? Ma non potevi farlo subito, dovevi trovare il momento più opportuno, per non destare sospetti e fare un lavoro pulito». Leone la guardava serio, le braccia conserte e la schiena ben diritta, appoggiata contro il muro dietro la panca. Gli altri stavano in silenzio, completamente frastornati da quell'improvviso cambio di personalità di Martina.
Lei annuì. «Sì, volevo uccidere quello stronzo, ma volevo che la sua morte passasse per un incidente in montagna. Per questo ho atteso pazientemente il momento giusto e, finalmente, un anno dopo è arrivata l'occasione che stavo aspettando. Michele aveva organizzato un weekend all'insegna del Cluedo nella sua baita in montagna, e Jonathan aveva risposto che sarebbe venuto volentieri, anche perché lunedì mattina aveva in programma una gita in montagna proprio da quelle parti. Inoltre Carolina mi aveva confidato che voleva fermarsi più a lungo degli altri e, quando la casa sarebbe stata vuota, avrebbe chiamato indietro Jonathan per parlare con lui di alcuni loro problemi. Era un' occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, così ho organizzato tutto nei minimi dettagli. Un piano geniale per fare uscire di scena Jonathan una volta per tutte. Ho atteso la fine del weekend, e ho aspettato che lui lasciasse la baita. Poi, poco prima che anche gli altri ripartissero per la città, ho preso il cellulare di Carolina e ho scritto un messaggio a Jonathan, che era partito mezz'ora prima degli altri. Torna indietro. Dobbiamo parlare, era più o meno questo il testo. Dopo aver inviato il messaggio, mi serviva un modo per allontanare Carolina dalla baita, in modo da poter sbarazzarmi di Jonathan indisturbata. Così ho scambiato il cellulare di Carolina con quello di Michele, visto che entrambi avevano lo stesso modello. E ha funzionato! Proprio come avevo previsto, Michele è partito del tutto ignaro dello scambio. All'epoca io e Alejandro non eravamo ancora fidanzati quindi, per non destare sospetti, sono salita anche io in macchina, fingendo di partire da sola. In realtà ho parcheggiato l'auto poco oltre la stradina privata e, in silenzio, sono ritornata a piedi verso la villa, facendo attenzione a non farmi vedere da nessuno...»
«La... la porta-finestra aperta, è da lì che sei entrata». Carolina era sbiancata in viso e il suo corpo era tutto scosso da un tremitio, «tu ti sei nascosta in casa e hai aspettato che Jonathan tornasse».
«Esattamente geniaccia», annuì Martina con una luce folle negli occhi, «e per fortuna non ho dovuto attendere molto. Tu hai preso il telefono per chiamare indietro il tuo fidanzato, ed è stato allora che ti sei accorta dello scambio. Così hai chiamato Michele e vi siete accordati per vedervi in città e restituirvi i rispettivi cellulari. Ormai era tardi però, e Jonathan era partito da più di un' ora. A quel punto hai deciso di rimandare la discussione con lui e sei salita anche tu in macchina, per raggiungere Michele. Io sono rimasta nascosta finché non te ne sei andata, e ho aspettato Jonathan. Quando ho sentito che la sua macchina stava arrivando sono uscita con una spranga di ferro che avevo trovato in cantina e mi sono nascosta nel bosco, poi ho atteso che si avvicinasse alla villa... è stato allora che l'ho colpito alle spalle... oh, sento ancora il rumore del ferro che si abbatte sopra la sua testa. Poi c'è stato solo il sangue, una chiazza rossa sulla neve. Lui è crollato a terra, morto sul colpo. Non ha nemmeno urlato». Martina si interruppe un attimo per gustarsi la reazione di Carolina. Lei aveva gli occhi fissi sul pavimento e piangeva, mentre Nino le cingeva le spalle e le accarezzava il volto per confortarla. Michele era pallido e non si muoveva, guardava fisso Martina, come ipnotizzato. Alejandro scuoteva la testa, come se cercasse di convincersi che tutto ciò non stava realmente accadendo, che se lo era solo immaginato. Ma ormai stava cominciando a rassegnarsi alla realtà. Martina, la stessa con cui aveva condiviso il letto, la casa, con cui fino a qualche ora prima aveva persino avuto in programma di avere un figlio; proprio lei era in realtà un'assassina. Solo Leone sembrava calmo, malgrado il moto irregolare del suo pomo d'Adamo tradisse un certo nervosismo.
«E poi l'hai seppellito in giardino dove è rimasto fino ad oggi, vero?», domandò Leone cercando di non far trasparire alcuna emozione.
«Esatto, ho nascosto i suoi sci e le pelli di foca nel capanno in fondo al giardino, che era ormai in disuso da anni. E ho seppellito il cadavere di Jonathan. Ero convinta che nessuno li avrebbe mai trovati. Fino a oggi, quando quel dannato cagnaccio di Birillo è uscito a giocare e scavando nella neve ha trovato per caso il suo corpo».
«A quel punto hai deciso di sbarazzarti anche di lui e, approfittando della chiamata di lavoro di Alejandro, sei uscita e gli hai piantato un coltello in testa».
Martina scosse la testa. «In realtà volevo davvero farmi un bagno caldo, ma poi quell'inutile ammasso di pelo è venuto da me con in bocca un osso. Allora ho capito che aveva trovato il luogo in cui avevo seppellito Jonathan, e ho dovuto uccidere anche lui».
«Già ma ti è andata male, perché Birillo aveva già trovato un osso a tua insaputa e, ingolosito dalle merendine di Michele, l'aveva abbandonato di fianco alla sua valigia. Allora non ti è rimasto altro da fare che stare al gioco, e sperare che noi non scoprissimo i due corpi in giardino». Leone lanciò un'occhiata a Michele, il quale sussultò leggermente, ma si irrigidì subito, tornando nella posizione di prima.
«Se solo quel cazzo di cane si fosse fatto gli affari suoi», urlò Martina staccandosi dalla finestra, «ora saremmo ancora qui a giocare a Cluedo e questa storia non sarebbe mai venuta fuori».
«A proposito, c'è una cosa che ancora non mi torna di tutta questa faccenda. Il furgoncino di Jonathan, cosa ci faceva nel posto in cui lui avrebbe dovuto fare la gita d'alpinismo? Come l'hai portato fino a lì?»
I cinque amici guardarono Martina in silenzio. Anche Carolina si era asciugata le lacrime e aveva alzato la testa. Martina li guardò uno dopo l'altro, e uno strano sorriso soddisfatto fece capolino sul suo volto.
«Quella è stata la ciliegina sulla torta di tutto il mio piano. Come vi ho detto, volevo che l'assassinio di Jonathan passasse per un incidente in montagna. Così, dopo averlo ucciso, ho guidato il suo furgone fino al luogo della gita e lì l'ho lasciato. Poi sono tornata in autobus, sicura che la prima cosa che la polizia avrebbe pensato trovandolo era che Jonathan fosse uno dei tanti dispersi in montagna. La storia si sarebbe chiusa lì, e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di sospettare di me».
Fuori aveva smesso di nevicare e la Luna stava facendo capolino nel cielo, illuminando con una strana luce la stanza e conferendole un aspetto quasi spettrale. Avevano tutti lo sguardo incollato su Leone, ma lui se ne stava seduto, immobile, la schiena ben eretta e le braccia conserte. I suoi occhi erano puntati su Martina. La ragazza era tornata ad appoggiarsi alla porta-finestra e scrutava gli altri cinque. Attendeva l'inevitabile.
Leone aspettò ancora qualche istante, fino a quando la Luna non fu uscita del tutto, poi girò la testa verso Alejandro e gli fece un cenno. Lui, con le mani che gli tremavano, pescò il cellulare dalla tasca e digitò veloce sulla tastiera, poi si portò l'apparecchio all'orecchio e alzò gli occhi su Martina.
«Mi... mi dispiace amore», riuscì a sussurrare mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
«Pronto? È la polizia? Devo denunciare un omicidio».

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THE PUZZLE
RomanceMartina, Carolina, Leone, Michele, Alejandro e Nino si riuniscono ogni anno per ricordare l'amico scomparso Jonathan con una notte dedicata a Cluedo, quello che era il suo gioco preferito. Ma questa volta è diverso: torbidi segreti stanno per rieme...