LA FOTOGRAFIA

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«Allora, Carolina, vuoi dirci la verità?», domandò Alejandro muovendo un passo verso di lei.
La ragazza continuava a fissare il vuoto. Non sentiva ciò che le veniva detto.
«Carolina, allora?» Alejandro aveva alzato la voce di un tono.
La ragazza restò immobile, atarassica.
«Carolina, non capisci che se stai zitta è peggio? Dobbiamo sospettare che sia stata davvero tu a uccidere Jonathan?»
Alejandro vibrava di impazienza repressa. Michele gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
«Se fai così non serve a niente... Stai tranquillo»
Senza dar tempo all'amico di replicare, Michele si sedette accanto a Carolina. L'abbracciò stringendola a sé, con dolcezza. Lei non resistette e si abbandonò contro il fianco di Michele.
«Carolina», le disse lui con gentilezza, «nessuno qui può credere che tu abbia davvero ucciso Jonathan. Io... non posso proprio pensare che tu l'abbia fatto... magari ti ha tradito davvero con Leone, non lo so... ma in ogni caso tu lo amavi, non avresti mai potuto fargli del male...»
Carolina sembrò risvegliarsi dall'apatia. Si girò verso Michele e per la prima volta da molti minuti mise a fuoco lo sguardo. Allungò una mano e gli diede una carezza.
«Grazie...»
Si girò verso gli altri. Alejandro abbassò gli occhi, Nino le sorrise, Martina continuò a guardarsi le unghie. Solo Leone sostenne il suo sguardo.
«Pensi davvero che io sia un assassina?» gli chiese.
«Non voglio dare giudizi. Mi limito a esaminare i fatti. Ti voglio bene, Carolina, e penso tu sia una brava ragazza. Mi dispiace di avere... insomma, di aver avuto una storia con Jonathan mentre stava con te... se potessi tornare indietro non lo rifarei, ho sbagliato, lo so, ti chiedo scusa... ma noi eravamo...» evitò di pronunciare la parola 'innamorati'.
«Adesso però non siamo qui per discutere dei nostri sentimenti. ora sappiamo che Jonathan non è morto in un incidente di montagna, ma è stato ucciso. A questo punto la cosa più importante è scoprire chi è stato, e perché. E, purtroppo, Carolina,  tutti gli indizi sono contro di te.»
Carolina si sciolse dall'abbraccio di Michele e si alzò.
«È vero», disse, «Jonathan l'ho ucciso io.»  
Tutti si immobilizzarono. Michele, muovendosi in modo inconsapevole, si allontanò da lei di pochi centimetri. Persino Martina interruppe il meticoloso esame delle proprie unghie per alzare lo sguardo su di lei.
«Allora lo ammetti?» domandò Leone. «Lo hai ucciso tu?»
Carolina sorrise di un sorriso triste.
«Sì.»
Pausa.
«O, almeno, avrei voluto ucciderlo. Sì, Leone, quando ho scoperto che se la faceva con te, avrei davvero voluto ucciderlo. Mi sono sentita tradita, umiliata, presa in giro. È stato un dolore fortissimo. Io amavo Jonathan. Pensavo che saremmo andati a vivere insieme, ci saremmo sposati, avremmo avuto dei figli... poi sei arrivato tu. Ti ho odiato».
«Come hai scoperto della nostra storia...?»
«Della vostra tresca, vuoi dire? Semplice. Un giorno ero a casa sua e avevo il telefono con la batteria quasi a zero. Lui non c'era, era andato al negozio di sport per comprare qualcosa, forse un'Artva nuovo, non so. Così mi sono messa a cercare dappertutto un caricatore, anche nei cassetti della sua scrivania. Finalmente l'ho trovato, ma non solo quello.»
Pausa.
«Proprio sotto il caricatore c'era un foglio, dentro una cartellina trasparente. Ma non ci ho fatto caso. Stavo per richiudere il cassetto, quando il cervello ha realizzato, con qualche istante di ritardo, ciò che l'occhio aveva registrato. L'intestazione del foglio era 'ProcreaCom'. Strano, ho pensato, perché Jonathan ha scritto a un Centro spagnolo per la fecondazione assistita? In un primo momento ho immaginato che l'avesse fatto per qualche amico, sai com'era Jonathan, voleva aiutare sempre tutti...»
Carolina s'interruppe, improvvisamente scossa da una crisi di pianto. Nino le si avvicinò e l'abbracciò, accarezzandola dolcemente sulla schiena.
Gli altri rimasero impietriti, senza sapere cosa fare. L'ondata di rivelazioni li aveva paralizzati. Ognuno di loro era commosso per la sofferenza di Carolina, eppure allo stesso tempo si chiedevano: se non è stata lei, chi altro può essere? La diffidenza cominciava a serpeggiare.
Piano piano i singhiozzi cessarono. Carolina si asciugò gli occhi col dorso della mano.
«Grazie» disse rivolgendosi a Nino. «Grazie.»
Lui si staccò, dopo averle dato un'ultima carezza.
«Stavi dicendo del documento...» la incalzò Leone. Gli altri lo fissarono con riprovazione, la sua insistenza sembrava indelicata.
«Sì, ho trovato la lettera, e l'ho fotografata. Tu e Jonathan chiedevate di essere ammessi alla procedura di fecondazione assistita. Il mondo mi è caduto addosso... Non volevo crederci, mi sembrava impossibile. Per un po' mi sono cullata all'idea che fosse tutto uno scherzo, una burla architettata da voi due... Ma sapevo che stavo mentendo a me stessa... Ho fatto anche una cosa di cui mi vergogno, non mi piace ricorrere ai sotterfugi...preferisco affrontare le cose di petto...ma ero disperata, vivevo un incubo... allora ho telefonato all'istituto e, spacciandomi per la madre surrogata, ho avuto conferma che era tutto vero... Così ho deciso di affrontare Jonathan. Per quanto dura fosse, volevo sapere la verità.»
«Ed è stato proprio la sera in cui Jonathan doveva partire per la montagna, è vero? Proprio qui, in questa casa...»
«È stato un impulso a cui non ho saputo resistere. Voi eravate già partiti, mi avevate lasciato sola con lui in modo che potessimo salutarci prima che lui partisse per l'escursione... Mentre ero con lui sono stata sul punto di parlargli dieci, cento volte... ma ogni volta desistevo, non avevo il coraggio...»
«Il coraggio...?» domandò Michele.
«Sì, il coraggio di affrontare la verità. Sapevo che avrei distrutto la nostra relazione, o almeno quel che ne restava... era difficile, troppo difficile... così ho lasciato che partisse. Ma, dopo un'ora che se n'era andato, non ce l'ho fatta più. Mi sembrava di impazzire.  Ho preso il telefono per chiamarlo, ma mi sono accorta subito che non era il mio.»
«Non era il tuo?» intervenne Alejandro, sempre più a disagio. «Cosa vuoi dire?»
«Io e Carolina abbiamo lo stesso iPhone, identico in tutto e per tutto», disse Michele. Tutti si girarono verso di lui.
«Vuoi dire che ve lo eravate scambiato?»
«Sì, ma è stato un caso, li avevamo lasciati in giro e quando me ne sono andato ho preso quello sbagliato.»
Lanciò un'occhiata preoccupata agli amici.
«Oh, non penserete che l'abbia fatto apposta, eh?»
«Non preoccuparti Michele», disse Leone che aveva improvvisamente cambiato espressione, «sono sicuro che qui nessuno lo pensa.»
Poi, rivolgendosi a Carolina:
«Allora, cosa hai fatto dopo?»
«Era stato l'impulso di un momento. Ma il fatto del cellulare lo ha come spezzato... Ho ricominciato a ragionare. Ormai avevo aspettato tanto, che senso aveva cercare un chiarimento con Jonathan al telefono, proprio quando stava andando in montagna? Così ho deciso di rimandare tutto a quando sarebbe tornato...»
Per un istante la commozione si impadronì di nuovo di Carolina, ma stavolta la ragazza riuscì a tenere a bada le lacrime.
«E poi, cosa hai fatto?»
«Carolina mi ha chiamato», intervenne Michele. «Non mi ero ancora accorto dello scambio dei cellulari, così ci siamo accordati per vederci in città e riprenderci ognuno il proprio. Ci siamo visti un paio d'ore dopo.»
«È andata così», confermò Carolina.
«Allora non sei stata tu», disse Nino. «Non avresti avuto il tempo di uccidere Jonathan, nascondere il corpo, e tornare in città.»
«A meno che non l'abbia ucciso proprio qui», obiettò Alejandro.
«Dimentichi la macchina», disse Leone rivolgendosi all'altro. «È stata trovata al mattino nel parcheggio, ed era lì dalla notte precedente. Carolina non sarebbe mai riuscita a uccidere Jonathan, seppellire il corpo, portare la macchina in montagna e tornare indietro in tempo per incontrare Michele. Impossibile.»
«E allora, chi è stato? Qui alla villa non era rimasto nessuno. Jonathan ha parcheggiato la macchina in montagna, è tornato indietro, si è suicidato e si è seppellito da solo?»
«Alejandro, per favore. Non mi sembra il momento di scherzare», lo rimproverò Nino.
«Hai ragione. Ma la domanda resta: chi ha ucciso Jonathan?»
«Ho freddo», intervenne Martina. Tutti la guardarono.
«Non so se è per quello che sta venendo fuori», disse Alejandro, «per la sorpresa, per queste rivelazioni...non so...anche io sento dei brividi.»
L'atmosfera della casa era gelida.
«Volete che accenda il fuoco nel camino?» propose Michele.
«Mi sembra una buona idea.»
«Vado a prendere la legna e della carta giù in cantina», disse Michele.
«Non preoccuparti vado io», lo interruppe Leone, che sapeva quanto costassero all'amico gli sforzi fisici. «Sono al solito posto, vero?»
Michele annuì.
Leone imboccò le scale e scese al piano interrato. I gradini conducevano a una grande taverna arredata con un divano, due sedie, parecchi cuscini e un televisore. L'ambiente non era riscaldato e Leone percepì subito il freddo e l'umidità. Svoltò a destra in un piccolo corridoio, malamente illuminato da un neon. Aprì una porta a destra e accese la luce. Era un locale di servizio, ancora più freddo e umido. La legna era accatastata in grandi casse di plastica grigia. Dall'altra parte erano impilate vecchie raccolte di giornali. Leone ne prese tre o quattro, li posò sopra una cassa di legna, la afferrò per i manici e la sollevò. Nella manovra il giornale in cima gli capitò proprio sotto gli occhi. Si trattava di un articolo a quattro colonne, con una foto a corredo. A Leone venne istintivo guardare l'immagine: una Fiat 500 col tettino apribile,  precipitata in un dirupo. Il fotografo l'aveva ripresa dall'alto, presumibilmente dalla strada da cui era caduta la vettura, visto che in un angolo della foto era possibile scorgere un cartello stradale. Il titolo era: "Incidente mortale a Ronca di Montagna".
Leone s'immobilizzò, la cassa in grembo, lo sguardo fisso.
Quindi posò la legna, prese il giornale, e lesse l'articolo, poi lo rilesse altre due o tre volte. Dalla tasca estrasse il portafoglio e ne tirò fuori una foto. Rimase a fissarla per qualche secondo poi, ignorando la legna, prese solo il quotidiano e risalì di sopra.
«Dovremmo accendere il fuoco con quello?», gli domandò Alejandro in tono sardonico.
Leone non gli badò. Dispiegò il giornale in modo da mostrarlo.
Michele e gli altri si avvicinarono per guardare, senza capire.
Leone si rivolse a Carolina.
«Cosa hai fatto quella sera, prima di andartene? Intendo la sera in cui è scomparso Jonathan. Eri rimasta qui da sola, giusto?»
«Voi eravate tutti partiti da mezz'ora. Ho fatto il giro della casa per chiudere le imposte, come mi aveva raccomandato Michele...»
Michele dal divano assentì.
«E non hai notato niente di strano?»
«No...»
La ragazza rifletté.
«Era tutto in ordine...aspetta... sì, al piano di sopra ho trovato la porta finestra, sai quella da cui siamo usciti per cercare le tracce nella neve, prima...»
«Era aperta?»
«Sì, e mi è sembrato strano... con tutto il freddo che faceva, che motivo c'era di lasciarla aperta?».
«Sei sicura?» insisté lui.
«Ma che importanza ha?» intervenne brusco Alejandro. «Chi se ne frega se una finestra era aperta? L'avrà dimenticata uno di noi...»
Leone non gli badò. Prese la foto che custodiva nel portafoglio, con l'immagine dei fuochi artificiali, quella che Michele aveva notato all'autogrill, e la mostrò agli altri. Poi la avvicinò a quella sul giornale, posizionandole una di fianco all'altra.
«Cos'è, un concorso a quiz? Cerca la differenza?» lo beffeggiò Alejandro.
«Hai quasi indovinato, Alejandro. Non la differenza ma la somiglianza.».
Michele si passò la mano sul volto lisciandosi la barba, Nino fece un passo avanti così come Alejandro, Martina smise di rimirarsi le unghie e si avvicinò anche lei. Tutti e quattro si strinsero intorno a Leone per osservare da vicino la fotografia. I fuochi artificiali occupavano gran parte dell'immagine, ma nella parte inferiore era possibile distinguere una strada di montagna.
«Non capisco», disse Michele, «cosa c'entra questa foto con quella del giornale? E perché c'è scritto 'Ti amo'?»
Appena l'ebbe detto, Michele si accorse della gaffe. Leone arrossì. Carolina distolse lo sguardo.
«L'aveva mandata anche a me...»
«Non lasciatevi distrarre dai fuochi artificiali», intervenne Leone. «Guardate meglio.»
Poi puntò il dito sull'immagine in modo che un particolare fosse ben visibile.
«È un cartello stradale», osservò Michele. «E allora?»
«Notate qualcosa?»
Leone batté l'unghia sulla stampa.
«Niente di speciale... Un cartello di curva pericolosa come mille altri... Cosa c'entra?»
Nino si avvicinò ancora, fin quasi a mettere il naso sulla stampa.
«C'è attaccato un adesivo, con l'immagine di... aspetta... una marmotta?»
«Bravo Nino. Si, è una marmotta. È il simbolo di un club di trekking locale.»
«Hai capito che sono stati loro a uccidere Jonathan?» domandò Alejandro, ironico come sempre. «Oppure è stata la marmotta?»
«Non sono stati loro, ma mi hanno dato una bella mano a scoprire la verità.»
Un istante di silenzio.
«Allora, vuoi parlare chiaro? Cosa c'entra il giornale, la foto e tutto il resto?» domandò Alejandro, sempre più aggressivo.
«Questa foto ci dice chi è il colpevole.»

THE PUZZLEWhere stories live. Discover now