La Storia di Toby (Pt.2)

205 11 2
                                    

Toby POV

Era da un paio di giorni che non vedevo il mio migliore amico, di solito quando non veniva a scuola mi mandava un messaggio, questa volta no e non si premurava nemmeno di rispondere ai miei.
Mi diressi a casa sua e suonai il campanello, quando nessuno mi rispose ripresi a strimpellare, se stava male doveva per forza essere in casa.
"Chi è?" domandò la sua voce stranamente rauca.
"Sono Toby" dissi non togliendo il dito dal bottone.
"Ho capito" si lamentò, esortandomi a smettere di fare rumore.
Smanettò con le chiavi e finalmente mi aprì. Quando lo guardai non lo riconobbi.
Occhiaie profonde, le pupille dilatate, le guance rosse, il naso umido e le labbra screpolate.
"David, cos'è successo?" chiesi, lo vidi barcollare e lo afferrai per le spalle, la mia domanda gli aveva causato un capogiro.

Alexander aggrottò le sopracciglia. "David? Quello che ti viene a trovare il venerdì?" domandò stranito.
Io annuii interrompendo il racconto. "Posso continuare?" chiesi, infastidito dalla domanda inutile.

"Mia s-sorella" balbettò spaesato, portandosi una mano alla testa, come per fermare il martellio incessante.
"Sono arrivato tardi e lei non c'era!" urlò, incominciando a piangere.
Lo abbracciai "David, calmati. Cosa sta succedendo? Dov'è Samantha?" chiesi agitato. Mai l'avevo visto così terrorizzato.
Lui ispirò un paio di volte prima di parlare "ieri sono andato a prenderla a scuola" disse, deglutendo poi il groppo alla gola "sono arrivato tardi e lei non c'era".
Spalancai gli occhi, Sam era sparita?
"L'hanno rapita!" urlò David "vogliono chiederci dei soldi, lo so!".
Mi chiusi la porta alle spalle e lo trascinai verso il salotto, lo spinsi sul divano, lui, come un automa, si sedette, mi accomodai al suo fianco e lui si sfogò, maledicendo i soldi della sua famiglia.
Ascoltai ogni parola, soffrendo con lui.

"Dopo quella notizia tornai a casa completamente stravolto" ammisi scuotendo il capo.
"La figlia degli Smith era stata rapita e molto probabilmente volevano un riscatto" dissi la stessa cosa che avevo pensato all'epoca.
"Smith?" domandò Alex confuso "il direttore dell'Eastern State Hospital si chiama Smith" ragionò.
"Sì e David è suo figlio" confermai, con un sorriso.
"Ecco perché non voleva dirmi il suo cognome, perché altrimenti avrei collegato tutto" sussurrò, parlando più a sé stesso che a me.
Si passò una mano tra i capelli, in un gesto incredibilmente erotico e sensuale, e li scompigliò, non accorgendosi del mio sguardo su quelle dita affusolate, che avevano fatto una cosa così scontata incastrandosi tra quei fili scuri e setosi, ma che avevano scatenato un uragano nel mio petto.
Deglutii, maledicendo la sua innocenza e con un sospiro rumoroso ripresi a raccontare.
Il suo sguardo attento mi faceva capire che era avido di informazioni, che aveva sempre bramato i miei segreti.
"Mio padre aveva incominciato a dormire nella stanza degli ospiti, non poteva più sopportare mia madre, teneva la camera chiusa a chiave, che portava sempre appesa al collo, come se custodisse chissà quale segreto".

Arrivai a casa e accesi la televisione, al telegiornale davano la notizia della piccola Samantha, scomparsa da ormai trentasei ore, a lato dello schermo c'era una sua foto, aveva gli occhi blu come quelli del fratello e del padre e i capelli erano una cascata di boccoli rossi, come quelli della madre.
Il suo volto esprimeva tutta la solarità e la purezza che solo una bambina di sette anni poteva possedere.
Pensai alla mia, di madre, non era in casa in quel momento, era in giro a cercare un lavoro migliore.
Ma avevo altre cose in testa di cui preoccuparmi, talmente tante che il mio cervello non resse a tutto quello stress e mi addormentai sul divano.
Quando mi risvegliai era quasi ora di cena e io non avevo ancora fatto i compiti.
Anche se la voglia di farli era pari a zero, svogliatamente mi sforzai ad alzarmi dal divano e mi diressi in camera mia.
Ma non ci arrivai, mi fermai in mezzo al corridoio, davanti alla porta che dava alla stanza di mio padre.
Accostai l'orecchio sul legno e lo sentii di nuovo: un gemito.
Piegai la maniglia e spinsi, ma non si apriva, era chiusa a chiave. "C'è qualcuno?" chiesi riappoggiando l'orecchio. In risposta ci fu un urlo soffocato.
Mi staccai e incominciai a prendere la porta a calci, finché i cardini si ruppero e potei entrare nella stanza.
Una bambina era sdraiata sul letto, indossava la divisa scolastica e le mani erano legate alla testiera da una corda, il nastro adesivo le tappava la bocca.
Faticava a respirare a causa del muco che si era rinsecchito attorno alle narici.
I capelli rossi erano appiccicati sulla fronte e sulle guance, a causa del sudore e gli occhi blu erano inondati di lacrime.
"Samantha" sussurrai.
Lei gemette, molto probabilmente voleva dire il mio nome.
In un batter d'occhio salii sul letto e le tolsi lo scotch dalle labbra, lei sputò il pezzo di stoffa che le riempiva la bocca e cominciò a respirare affannata.
"Toby..." piagnucolò, dimenando le gambe "...tuo padre".
Io annuii e incominciai a slegarle i polsi.
Lei immediatamente se li massaggiò, incominciando a piangere.
"Vado a chiamare la polizia" la tranquillizzai, lei si agitò ancora di più e guardò l'orario sulla sveglia appoggiata al comodino: mancava poco all'arrivo di mio padre.
Mi fiondai in cucina e, mentre chiamavo gli sbirri, mandavo un messaggio a David.
Quando finii, vidi Sam appoggiata allo stipite della porta, barcollava terrorizzata o forse era senza forze, chissà se quel porco l'aveva fatta mangiare?
"Adesso torni a casa, okay?" la consolai, prendendo un pacchetto di fazzoletti e porgendoglielo.
Lei lo accettò. "Perché mi ha fatto questo?" domandò, incominciando ad asciugarsi le numerose lacrime.

INSANEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora